Il 2017 volge al termine: quest’anno è stato denso di avvenimenti e sviluppi sia positivi che negativi sulla scena politica di tutto il mondo. Quello che sta per concludersi è stato il primo anno di presidenza Trump, iniziato con mille aspettative e curiosità intorno alla possibile azione del presidente, che ha finito per disattendere buona parte delle promesse fatte al proprio elettorato e ha corretto la linea di tiro in politica estera, passando dalle posizioni isolazioniste espresse in campagna elettorale a bombardare la Siria all’inizio di Aprile. Gli Stati Uniti si sono poi schierati in altre situazioni calde del Medio Oriente, gran parte delle quali vanno lette nel contesto del conflitto sotterraneo tra Iran e Arabia Saudita. Come ultimo colpo di coda in chiave anti iraniana, Trump ha deciso di spostare l’ambasciata statunitense in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, aprendo probabilmente una nuova stagione di sommosse nei territori dell’Autorità Nazionale Palestinese.
Nel contesto europeo si è approfondita la spaccatura transnazionale tra chi è favore dell’approfondimento del processo di integrazione europea e chi invece preferirebbe un ritorno alle istanze nazionaliste: buona parte di questi partiti hanno visto crescere il consenso generale nei loro confronti, ma sul piano elettorale si sono registrate fortune alterne: a marzo in Olanda le elezioni hanno sancito la crescita del partito di Geert Wilders (Partito per la libertà) che è diventato il secondo partito. In Francia, tra aprile e maggio, i timori di una possibile vittoria dell’estrema destra antieuropeista alle elezioni di marzo sono stati spazzati via dal nuovo centro che avanza di Macron, poi riconfermato alle elezioni legislative agli inizi di giugno. Durante la seconda metà dell’anno, a farla da padrone sono state le elezioni federali in Germania, che hanno visto una notevole rimonta dell’estrema destra di Alternative fur Deutschland e il suo posizionamento al terzo posto, mentre la sinistra socialista di SPD ha fatto registrare il suo peggior risultato di sempre. Ad ottobre si sono tenute anche le elezioni austriache, vinte dal partito conservatore del nuovo giovane cancelliere Sebastian Kurz, il quale sta cercando a tutt’oggi di formare un governo con l’ausilio dell’estrema destra.
In estremo oriente gli ultimi 12 mesi sono stati caratterizzati dalle tensioni tra Corea del Nord e i suoi vicini, con la prima che, con ogni probabilità, è riuscita a ottenere un ordigno atomico e dei vettori con i quali può portare la bomba perfino sul suolo statunitense. Cina e Russia tutelano Pyongyang, ma specie con Pechino le relazioni non sono propriamente idilliache, dato che la Corea del Nord rappresenta un fianco diplomatico aperto. Altra fonte di tensioni è lo status del Mar Cinese Meridionale: uno specchio d’acqua che i cinesi vogliono per sé per evitare che questo venga chiuso al traffico commerciale, reclamato invece dalle altre potenze per evitare che i cinesi lo chiudano al commercio. Le tensioni hanno provocato un aumento nella spesa militare nella maggior parte dei paesi dell’area, ivi incluso il Giappone dove ora il premier Abe ha i numeri per cambiare la costituzione e iniziare a riarmare il paese con una potenzialità che va oltre il semplice esercito difensivo.
Anche nel resto del mondo sono successi avvenimenti di un certo peso: in Venezuela si sono inasprite le tensioni relative alla crisi economica, mentre il Brasile e l’Argentina stanno uscendo entrambi da situazioni non semplici a livello politico, il primo, ed economico la seconda. In Africa si registrano notevoli tensioni nella parte centrale del continente, con una “sequoia” dello scenario politico africano come Mugabe costretto alle dimissioni da una sorta di “golpe leggero”. Tensioni simili si sono avute anche in Burundi con il rifiuto di abbandonare il potere da parte di Nkurunziza. In Sud Africa il cambiamento è rappresentato dal vecchio partito dei bianchi (la Democratic Alliance) che sta prepotentemente guadagnando terreno con un leader nero: l’African National Congress, ex partito di Mandela, è ancora in testa ma al momento perde punti nei sondaggi tutti i giorni.
Che mondo ci aspetta nel 2018? Le incognite sono davvero molte e nessuno possiede davvero poteri oniromantici, ma siamo già in grado di individuare degli possibili sviluppi. A Marzo si terranno le elezioni presidenziali russe: sebbene il risultato sia scontato, tale avvenimento darà la possibilità di vedere come cambiano i rapporti di alleanze al di sotto dello zar, quali notabili del regime saranno destinati al dimenticatoio e quali invece saliranno nelle grazie dell’ex burocrate del KGB. Sempre a marzo l’Olanda terrà un referendum sull’abrogazione di una legge che attribuisce notevoli poteri di sorveglianza al proprio sistema d’intelligence: la decisione sul referendum ha spaccato la coalizione di governo e rappresenta una svolta piuttosto importante dato che la materia è molto delicata e le competenze in merito sono appannaggio di poche persone.
Il primo gennaio sarà il turno della Bulgaria di assumere la presidenza di turno dell’Unione Europea, mentre nella seconda metà dell’anno sarà l’Austria ad occupare questo ruolo. In primavera avverranno le elezioni italiane, con due possibili risultati: una vittoria del Movimento 5 Stelle con il sostegno della Lega darebbe vita a un esecutivo che potrebbe decidere di interrompere il processo di approfondimento dell’integrazione europea, e una coalizione tra Forza Italia e Partito Democratico, sicuramente più propensa ad un diverso rapporto con l’Europa. A settembre avverranno anche le elezioni parlamentari in Svezia, dove i nazionalisti di Sverigedemokraterna sono in forte recupero. A novembre, infine, avverranno le elezioni di midterm negli Stati Uniti, dove verrà testata la stabilità, più che dell’attuale amministrazione, del Partito Repubblicano dopo il passaggio del ciclone Trump.
Il mondo inoltre vedrà una Cina molto più forte sul piano interno, con Xi Jinping che ha pienamente sfruttato l’occasione del congresso del Partito Comunista Cinese per rafforzare il proprio potere sul regno di mezzo. Pechino proseguirà nei propri tentativi di escludere l’India dalle proprie rotte verso l’Europa, aggirandola a nord con la nuova via della seta (altrimenti meglio nota come One Belt One Road Initiative), e a sud con una via marittima che passa dal miglioramento dei rapporti con nazioni situate in posti geograficamente rilevanti come Singapore (che si affaccia sullo stretto di Malacca), il Pakistan, Gibuti (dove i cinesi hanno terminato una base navale tra le più grandi del continente africano) e l’Africa tutta. In tale ottica l’anno prossimo un consorzio che vede presenti anche aziende cinesi completerà la rete ferroviaria che collegherà diverse città dell’Africa orientale (Mombasa, Nairobi, Kigali, Bujumbura, Kisangani, Juba e Addis Abeba) e rappresenterà il più grande progetto infrastrutturale mai portato a termine in Africa Orientale. La potenza e l’expertise militare sono ancora distanti da quelli statunitensi, ma il processo di rimodernamento dell’esercito (con la riduzione degli effettivi e un focus maggiore su tecnologia e addestramento) sta iniziando a dare i propri frutti.
Nel 2018 la NATO completerà lo schieramento del proprio sistema di difesa missilistica in Europa: l’inizio della costruzione è avvenuto nel 2011 e l’anno prossimo le ultime due postazioni missilistiche verranno approntate in Polonia presso la base di Redzikowo, vicina alla sensibilissima area baltica dove i russi sono presenti con la base militare di Kaliningrad, la quale funge da guardiano per l’entrata nel golfo di Finlandia, al termine del quale è situata San Pietroburgo. Tale base ospita imponenti riserve di missili che hanno la funzione di imporre la supremazia di Mosca sul baltico in caso di conflitto.
Sul fronte terrorismo, l’anno prossimo lo Stato Islamico dovrebbe definitivamente sparire dall’area levantina, probabilmente avviando una catena di eventi in seguito alla quale si potrebbe pervenire alla definitiva pacificazione del conflitto civile siriano: se la Siria rimarrà compatta sotto Damasco o verrà divisa in due porzioni con una seconda capitale a Raqqa dipende molto dalla posizione di forza dei rispettivi eserciti e dalla situazione di Stati Uniti e Russia al momento di redarre il trattato di pace. Lo Stato Islamico continuerà a sopravvivere in Yemen, nelle zone di confine tra Afghanistan e Pakistan, nelle Filippine, nelle zone rurali della Libia e nel nordest nigeriano a cavallo del confine con Niger e Ciad. La conclusione del conflitto siriano, tuttavia, potrebbe originare un’ondata di foreign fighters di ritorno in varie zone dell’Europa, dalla Francia al Belgio alla Russia: particolarmente in quest’ultimo contesto l’afflusso di molti elementi (il russo è la terza lingua più parlata nel califfato nero) potrebbe rischiare di scatenare tensioni e rivolte in zone calde come quella della Cecenia, regione dalla quale provengono la maggior parte dei combattenti di origine russa. Sarà ancora un’annata turbolenta dal punto di vista degli attentati in Europa: nonostante le varie agenzie stiano implementando una codifica adeguata dei comportamenti degli attentatori, le misure di contrasto sono ancora poco efficaci e con ogni probabilità assolutamente incapaci di coprire ogni singola opportunità di attentato (e data la natura degli attacchi non potrebbe essere altrimenti). Gli strumenti d’azione “a monte”, tuttavia, sono in via d’implementazione e daranno i loro frutti nel medio periodo.
L’anno prossimo il mondo vivrà una fase di rinnovamento o proseguirà sull’attuale percorso? È quantomai difficile a dirsi, probabilmente la risposta sta nel mezzo. Tutte le questioni esaminate nell’articolo sono questioni di lungo termine che affondano le loro radici negli anni precedenti e produrranno effetti molto oltre il 2018, plasmando il mondo a venire per gli anni futuri. Mai come di questi tempi il mondo somiglia a un orologio con sette miliardi di ingranaggi.
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