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I migranti che passano per le Alpi

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Ilaria Bertocchini

Le Alpi rischiano di diventare il nuovo Mediterraneo, quando la neve bianca e soffice cessa di essere la cornice di una giornata passata a sciare con gli amici e diventa una voragine pronta ad inghiottire chi la calpesti. L’onda di neve è sorella di quella del mare che inghiottisce migliaia di migranti sui barconi e centinaia di vite continuano così a essere in pericolo. Infatti, numerosi sono i migranti che cercano di attraversare a piedi le Alpi per abbandonare il Belpaese. In particolare modo, sono aumentati i casi di coloro che attraversano il confine italiano per arrivare nel dipartimento delle Alte Alpi in Francia.

Con il sole o con la neve, tutto pur di uscire dall’Italia

Già dallo scorso luglio, con l’inasprirsi dei controlli al confine francese di Ventimiglia, molti migranti hanno cercato di lasciare l’Italia attraversando le Alpi per giungere nell’arrondissement dipartimentale di Briançon. Infatti, bloccati a Ventimiglia e al Brennero dalle forze dell’ordine francese, arrivano in treno a Bardonecchia o a Oulx, in provincia di Torino, nella celebre Val di Susa, da dove decidono di partire attraverso la catena alpina verso la Francia. Si incamminano di notte, sperando di passare più inosservati alle forze dell’ordine, per oltrepassare il Colle della Scala, che è il più basso del complesso delle Alpi, seppure a 1760 metri di altitudine. Appena oltre il confine spesso li aspetta la polizia transalpina che in molti casi li ferma e li rispedisce in Italia, dove alcuni di loro hanno già ottenuto un documento, ma non vogliono restare preferendo andare in altri Paesi europei, dove magari hanno parenti ad aspettarli. Chi riesce a evitare i controlli cammina poi per altre ore per raggiungere Briançon o Névache, due città francesi a pochi chilometri dal confine italiano. Dall’inizio dell’anno sono passate più di millecinquecento persone, soprattutto uomini originari del Mali, della Guinea e della Costa d’Avorio, fra cui moltissimi minorenni. Anche adesso, con l’inverno e la neve alta, continuano ad incamminarsi e accanto alle piste di Bardonecchia si affianca la nuova strada, non battuta e piena di insidie, per i migranti che cercano di lasciare l’Italia, lunga circa quindici chilometri per raggiungere Névache e circa il doppio per Briançon. Neppure le temperature che possono scendere anche 20 gradi sotto lo zero li fermano. Persone che vedono la neve per la prima volta, mal equipaggiate, con spesso solamente una misera cartina per orientarsi, un cellulare che nel bosco non prende, senza provviste, che bevono la neve per idratarsi e camminano illuminati dalla luce della luna lungo i sentieri. Seguono a volte delle “x” lasciate sugli alberi da chi ha fatto il percorso prima di loro, anche se comunque finiscono quasi sempre per perdersi, ferirsi gravemente o soffrire di ipotermia. La tratta è ancora più pericolosa se si pensa che le autorità francesi hanno intensificato i controlli per evitare i passaggi illegali o riportare indietro i “dublinati”, ovvero i migranti registrati in altri Paesi europei. I numeri non sono grandissimi, ma è un flusso con una media di quindici/venti persone al giorno, che finisce per essere più ampio di quello che ha interessato la tratta Ventimiglia/Mentone e il confine di Tarvisio.

Cartelli di sensibilizzazione dei pericoli mortali possibili nell’attraversare la montagna

La risposta italiana

Il Presidente del Soccorso Alpino, Luca Giaj Arcota, denuncia la situazione dei migranti a Bardonecchia e il livello di emergenza raggiunto, difficile da sostenere, soprattutto dal momento che i migranti continuano a passare il confine nonostante le condizioni meteorologiche proibitive mettano a repentaglio la loro salute. Il problema principale è che il Soccorso Alpino non è una forza pubblica e per questo motivo non può impedire alle persone di affrontare i sentieri innevati. Dall’altro lato però, la Repubblica italiana gli ha conferito il compito di prestare soccorso, nonostante poi, una volta giunti sul posto, riceva i no dei migranti all’invito di seguirli a valle. Infatti quest’ultimi, malgrado le condizioni precarie di salute, una volta riscaldati con le coperte termiche e rifocillati, non abbandonano il desiderio di oltrepassare il confine e giungere sul territorio francese, ormai a pochi chilometri. Il pericolo della montagna è nulla rispetto a quello che hanno passato: alcuni di loro infatti sono stati schiavi in Libia, altri hanno perso familiari durante il viaggio dall’Africa all’Europa e altri ancora sono stati respinti almeno quattro volte a Ventimiglia. Un’altra iniziativa, promossa da parte del Soccorso Alpino e dall’Ong Rainbow for Africa, impegnata da anni in progetti di soccorso e sviluppo delle aree africane, è stata quella di utilizzare dei cartelli di sensibilizzazione dei pericoli mortali possibili nell’attraversare la montagna. Questi cartelli d’avviso, scritti in quattro lingue, inglese, francese, arabo e lingua Afar, assieme a disegni per gli analfabeti, sono stati posti lungo i sentieri e le strade che portano verso il confine francese, ma non sono riusciti a bloccare le partenze.

Al di là delle Alpi

Dal lato francese, invece, per far fronte alla situazione, in mancanza di una risposta diversa dalla militarizzazione della frontiera da parte dello Stato francese, gli abitanti dell’arrondissement dipartimentale di Briançon hanno creato una rete di solidarietà che coinvolge più di 1300 persone, pronte a dare una mano secondo le loro possibilità. Infatti c’è chi si offre di accogliere, chi li cura, chi li aiuta a fare il bucato e chi gli offre sostegno giuridico. C’è anche chi, consapevole dei rischi della montagna, organizza ronde notturne per cercare i dispersi nel bosco. Secondo quanto raccontato del reportage di télérama.fr, a Briançon, in un punto di ritrovo aperto l’estate scorsa e ironicamente chiamato CRS, Collettivo di rifugio solidale, vengono accolti i migranti salvati dalle montagne. La capienza della struttura sarebbe di sedici persone ma, vista l’emergenza, al momento ve ne sono anche quaranta, dopo aver raggiunto un numero di centotrenta l’estate scorsa. Lì i migranti possono chiedere di vedere un medico, dato che l’ospedale della cittadina è molto organizzato, mangiare, dormire, avere vestiti caldi e ottenere delle informazioni legali. La vita degli abitanti di Briançon è scandita dagli arrivi dei migranti, una regione di frontiera da sempre abituata all’arrivo di stranieri, in passato anche di italiani. Tuttavia, molti di coloro che portano aiuto sono stati arrestati per aver portato con sé i migranti nelle auto, e tutti si trovano a dover vivere in bilico tra il rispetto della legge e il desiderio di non lasciar morire le persone senza provare a fare qualcosa. Ogni volta i rischi aumentano e anche quando i migranti riescono ad attraversare i confini la loro speranza di ottenere asilo in Francia è molto bassa. Dall’altro lato, anche per le forze dell’ordine svolgere questo lavoro sta diventando stressante: in bilico tra la legge e l’etica, si lamentano di essere spesso strumentalizzati ed etichettati come i cattivi della storia, quando, molte volte, non hanno altra scelta che espellere i migranti dal territorio francese, rimandarli in Italia, e magari aspettare che ritornino più e più volte.

Una marcia solidale

Il prefetto delle Hautes-Alpes, Philippe Court, si è dimesso per svolgere la stessa carica nel dipartimento dell’Ardèche ed è stato sostituto l’11 dicembre da Cécile Bigot-Dekeyzer, che ha affermato la volontà di portare avanti un lavoro basato sull’ascolto e sul dialogo. Domenica 17 dicembre, alla vigilia della giornata mondiale dei migranti, con una temperatura di meno quattordici gradi, dei militanti della Savoia, dell’Alta Savoia, dell’Isere e della Droma, hanno formato una catena solidale nella Valle della Clarée. Fra di loro, membri dell’assiociazione Tous Migrants e del collettivo SOS Alpes solidaires. La manifestazione si è svolta in parallelo con quella a Mentone, lungo la costa francese, subito dopo il confine italiano, per chiedere di nuovo l’apertura delle frontiere. L’obiettivo era quello di sensibilizzare l’opinione pubblica, la stampa e lo Stato sui rischi che affrontano i migranti nell’attraversamento delle Alpi. La manifestazione nella Valle della Clarée, nata con lo scopo di essere una semplice azione dimostrativa, si è trasformata poi in un’operazione di salvataggio, quando un giovane della Guinea Conakry è stato ritrovato in un canalone di valanga senza scarpe, dopo che aveva iniziato a salire verso il passo dell’Echelle alle cinque del mattino.

Photo : Stefano De Luigi pour Télérama

In molti parlano di una crisi di accoglienza più che di una crisi di migranti, soprattutto da parte dello Stato che sembra aver intrapreso una svolta anti-migratoria. Quel che è certo è che i numeri di chi tenta questo percorso non sembrano calare, mentre le risposte dei governi, sia italiani che francesi, ma anche europei, tardano ad arrivare.

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Ilaria Bertocchini

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