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theWise incontra: Piera Russo, tra Dario Fo e il cinema

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Claudio Agave

La nuova puntata della rubrica “theWise incontra” ospita l’attrice Piera Russo, che dopo il teatro e la TV è pronta ad approdare al cinema.

Diventare attori affermati è il sogno di molti ragazzi. Un mestiere affascinante quanto estremamente complicato da portare a termine in maniera egregia, poiché richiede un intenso studio unito a un’inequivocabile passione. Non tutti riescono a raggiungere questo notevole obiettivo ma, nell’immensità dell’oceano, c’è sempre una goccia che riesce a emergere con inattesa bravura. In questo caso parliamo della giovane attrice campana Piera Russo, che parallelamente agli studi (e a una Laurea in psicologia a La Sapienza di Roma) si è ritagliata una carriera che recentemente l’ha portata ad essere coinvolta in progetti di notevole spessore.

Dopo averla ammirata nei teatri e nelle tv italiane – ad esempio nel programma comico Fatti Unici, nel quale interpretava il ruolo di Shana, la figlia di uno dei protagonisti – la vedremo anche al cinema, soprattutto in un progetto molto particolare. Nel frattempo abbiamo discusso con lei, nel nuovo episodio di theWise incontra, di quanto sia affascinante il mestiere dell’attore, così come dei sacrifici necessari affinché esso possa essere svolto con talento e ambizione.

Maestri d’eccezione

Quello dell’attore è forse uno dei mestieri più desiderati ma, al tempo stesso, più difficili da intraprendere. Quale pensi sia stata la qualità che ti ha permesso di riuscire in quest’obiettivo?

«La volontà di confrontarmi con la realtà lavorativa attraverso i provini e l’incontro con artisti che stimo. E più in fondo il desiderio di ricercare e di esprimere qualcosa che non può essere comunicato se non attraverso l’arte. Questo è un mestiere che necessita di una costante ricerca su sé stessi e non solo quando si lavora, anche quando ci si rapporta al contesto lavorativo e soprattutto quando non si lavora. Rappresenta la scelta di una libertà che può essere angosciante e se non c’è un forte desiderio, una spinta interna a volerlo fare, è molto più semplice rinunciare. Non sento di essere riuscita nell’obiettivo perché è una scelta e una sfida continua. Forse è proprio questa la “qualità”, accettare di mettersi costantemente in gioco e affrontare con coraggio l’ignoto».

Tu hai partecipato a molti progetti e lavorato con artisti estremamente rinomati – come Dario Fo, Giorgio Albertazzi e Lello Arena – sia in tv che a teatro. Qual è il collega che definiresti “maestro” e che ti ha aiutato maggiormente a sviluppare un metodo attoriale?

«Ho avuto vari maestri di un enorme spessore artistico e umano (cito anche Franca Rame e Nadia Baldi) e ognuno di loro mi ha aperto delle finestre in tempi diversi. Il mio metodo attoriale nasce da tutte queste luci che io ho organizzato in relazione alla mia logica emotiva, quindi sarebbe limitante citarne uno in particolare. Inoltre io non ho un metodo attoriale rigido, alleno il corpo e la voce all’elasticità affinché siano un unico strumento sensibile al testo con il quale mi confronto e alle intuizioni creative del momento».

Per un attore scavare nelle proprie emozioni a volte è fondamentale per garantire una performance di alto livello. C’è un ruolo particolare nel quale credi di esserti spinta oltre il limite per arrivare a un risultato del genere?

«Ultimamente ho girato un cortometraggio drammatico da protagonista, Uccia, con la regia di Elena Starace e Marco Renda e mi ha messo molto alla prova emotivamente. Mi sono spinta oltre il limite e in questo modo l’ho superato e ho raggiunto nuove consapevolezze. Non sento di averlo fatto per garantire una performance, ma perché sentivo di voler comunicare qualcosa di profondo che appartiene all’umanità, un moto di rivolta contro la violenza che attraverso me urlava per essere visto. Sono casertana e così come sono portatrice della bellezza della Reggia, lo sono anche del dolore della Terra dei Fuochi e la recitazione mi ha permesso di comunicare autenticamente quello che senza il contenitore dell’arte non avrei potuto esprimere in maniera così efficace. In tal senso più che spingermi oltre attraverso la recitazione, sento a volte limitante la vita quotidiana».

Il tuo è un mestiere che spesso nasconde qualche insidia, da un progetto rifiutato a un ruolo magari accettato troppo velocemente: hai qualche rimpianto? Avresti compiuto scelte differenti?

«Ho avuto un rimpianto nel passato in rapporto alla formazione accademica, ma, con le esperienze che ho fatto, oggi sono felice di come è andata perché quel cambio di rotta mi ha aperto delle strade che mi hanno dato modo di sperimentare una libertà che forse con la formazione accademica avrei avuto più difficoltà a mettere in atto. Per me l’arte è legata alla diversità, la ricerca di linguaggi differenti per comunicare un qualcosa di immateriale, e mi sono approcciata a contesti lavorativi molto diversi con curiosità e volontà di capire. Certo è importante fare delle scelte, ma mai per pregiudizio. È grazie a questa apertura che oggi ho maggiore consapevolezza di ciò che voglio professionalmente».

La tua abilità nel trasmettere emozioni davanti alla macchina da presa è ormai evidente, ma hai mai pensato di far qualcosa ponendoti dietro la stessa, in veste di regista o sceneggiatrice?

«Sì, è un pensiero che ho in mente. Come gioco, a volte osservo la quotidianità fingendo di essere dietro a una macchina da presa, cercando di guardare come se vedessi per la prima volta. Lo trovo un esperimento molto interessante perché mentalmente riesce a farmi cogliere elementi che altrimenti non vedrei, dando tutto per scontato. Come se mi aprisse a una vista più profonda e sensibile alla bellezza. Riuscire a concretizzare e quindi condividere questo punto di vista attraverso un film sarebbe estremamente soddisfacente».

Piera Russo insieme all’attore e doppiatore Massimo Popolizio sul set di “Lui è tornato” – FOTO per gentile concessione dell’attrice

Nuove esperienze, stessa passione

Pistola alla tempia, sei costretta a scegliere: teatro o tv?

«Teatro in tv!».

Però sei anche il cinema: sarai impegnata, ad esempio, in Lui è tornato, remake nostrano di un famoso film tedesco sulla “nuova venuta” di Mussolini. Magari tra i due litiganti il terzo gode.

«Il cinema è un’arte meravigliosa e ha una fortissima risonanza in me. In passato ero capace di chiudermi in casa e vedere quattro-cinque film in un giorno. E recitare davanti alla macchina da presa è un’esperienza paradossale, si è nudi e non c’è scampo, se non si è pienamente presenti in ciò che si sta facendo, si vede. Quello dell’attore cinematografico è un lavoro delicato e sottile, si basa su misure ed equilibri e mi affascina moltissimo. Inoltre è profonda l’esperienza di rivedersi altro da sé e di lavorare su di sé avendo un feedback così forte. Poi nel cinema l’immagine è la protagonista e  la vista è il senso che più mi emoziona».

Sei giovane, hai creduto in un sogno e lo stai raggiungendo. Come te, tanti altri provano a credere: cosa senti di poter dire a tanti giovani colleghi che per ora ci stanno provando ma che magari non ci sono ancora riusciti?

«Sposterei la logica temporale: non c’è un sogno da raggiungere, c’è una scelta, una consapevolezza e una responsabilità di essere attori, e non dipende da ciò che si fa. O meglio si fa ciò che si è. Quindi più che un consiglio il mio è un invito a interrogarsi dentro e a capire quanto si desidera questo lavoro, e se lo si desidera tanto da andare oltre le insicurezze proprie e della realtà circostante, già si sta mettendo in atto una grande rivoluzione. In tal cosa, il mio consiglio è di confrontarsi con professionisti di spessore e di creare rete in modo da dare vita a progetti a prescindere dalle grandi occasioni. Vedere tanto, per vedere che si può fare!»

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Claudio Agave

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