Il primo gennaio 2017 il dittatore Nord Coreano Kim Jong-un, nel suo abituale discorso di Capodanno alla nazione, annunciò di star testando dei missili balistici intercontinentali (ICBM). Fu quell’annuncio a dare il via alla crisi nucleare in corso; a un anno di distanza, i toni minacciosi non sono cambiati e la situazione internazionale ne ha risentito. Ora c’è la certezza che la Corea del Nord sta lavorando su un programma nucleare ben definito: i suoi missili potrebbero raggiungere il territorio non solo Giapponese e Sud Coreano, ma potrebbero spingersi fino agli Stati Uniti. Il 2018 si è aperto con delle minacce niente affatto velate. È stato di nuovo durante il discorso di Capodanno che Kim Jong-un, parlando alla nazione, ha lanciato un avvertimento agli Stati Uniti e al mondo intero: ha detto di avere sulla propria scrivania un “bottone nucleare” pronto per essere schiacciato. La replica del presidente degli Stati Uniti si è fatta attendere per appena due giorni: Il 3 gennaio Donald Trump ha risposto tramite Twitter al dittatore, dicendo di possedere un “bottone nucleare” ben più grande e potente di quello nord Coreano. Se in ballo non ci fosse la minaccia reale di una guerra nucleare che metterebbe in pericolo l’intero sistema internazionale, lo scambio potrebbe addirittura provocare ilarità. Peccato che i rischi siano fin troppo elevati.
Per il momento siamo davanti a provocazioni verbali e a test di avvertimento, ma la situazione potrebbe degenerare da un momento all’altro. Il “bottone nucleare” di cui parla Donald Trump non è ovviamente davvero presente sulla sua scrivania nello studio ovale. Il processo per avviare un attacco nucleare negli USA è più complesso rispetto a schiacciare un semplice pulsante (non sappiamo come funziona per la Corea del Nord, invece), ma è comunque attivabile in pochi minuti. La procedura è tutta nelle mani del presidente che deve solamente comunicare la sua volontà agli organi militari americani. Il gioco di “chi ha il bottone più grande” potrebbe avere delle conseguenze catastrofiche per il mondo intero.
La Corea del Nord è sempre stata una nazione “free-rider” nel contesto internazionale per quanto riguarda il tema delle armi di distruzione di massa. Non fa parte della Convezione internazionale sulle armi chimiche e ci sono prove evidenti di sviluppo e studio dell’arma biologica. Nel 2003, inoltre, è ufficialmente uscita dal Trattato di non proliferazione nucleare. I tentativi degli Stati Uniti e dell’intera comunità internazionale di arginare lo sviluppo del programma nucleare sono stati vari e vani. La crisi è definitivamente scoppiata nel gennaio dell’anno scorso, si è protratta lungo tutto il 2017 e la sua conclusione pacifica sembra ancora lontana. Gli scorsi dodici mesi hanno visto un susseguirsi di eventi e lo spettro del conflitto sempre dietro l’angolo. La Corea del Nord continua a fare progressi reali con il suo programma missilistico e nucleare e i tentativi di stringere la morsa da parte del mondo intero non stanno andando a buon fine.
L’escalation della crisi
Il 3 settembre 2017 l’U.S. Geological Survey registrò un terremoto di magnitudo 6.3 proprio nella zona in cui vengono effettuati i test nucleari nordcoreani. La Corea dichiarò di aver effettuato un test su una bomba ad idrogeno da montare sui missili balistici intercontinentali. L’ambasciatrice USA alle Nazioni Unite, Nikki Haley, richiese immediatamente l’intervento dell’ONU, proponendo le «sanzioni più dure di sempre» contro il comportamento inaccettabile di Pyongyang. Il Consiglio di Sicurezza l’11 settembre 2017 votò all’unanimità la Risoluzione 2375, inasprendo le restrizioni economiche contro il regime nord coreano. Il testo finale fu ovviamente ammorbidito rispetto all’iniziale proposta americana, così da poter essere accettato da Russia e Cina, membri con diritto di veto, da sempre alleati del regime. Dopo lunghe contrattazioni, le nuove sanzioni prevedono una considerevole limitazione delle importazioni di petrolio e il blocco degli export dei prodotti tessili, settore chiave dell’economia Coreana.
La posizione della Cina
La condanna contro il proseguimento del programma nucleare è ormai diventata universale. Per la prima volta anche la Cina, da sempre partner della Corea del Nord, ha deciso di allinearsi all’asse occidentale. La posizione della potenza asiatica rimane comunque ambigua e l’Occidente continua ad avere sospetti sulla sua reale collaborazione. Proprio negli ultimi giorni di Dicembre il quotidiano sudcoreano Chosun Ilbo ha pubblicato delle foto scattate da satelliti spia Usa che hanno acuito i sospetti. Le immagini ritraggono petroliere battenti bandiera cinese affiancate a navi nordcoreane nell’atto di rifornirle di greggio. Che Pechino stia facendo il doppio gioco, sostenendo ufficialmente le sanzioni ONU, ma chiudendo un occhio davanti a compagnie private cinesi che riforniscono di petrolio il regime di Pyongyang? La Cina sostiene una soluzione di doppia sospensione: il blocco dei test nucleari, ma anche delle esercitazioni militari congiunte tra Washington e Seul. L’eventuale escalation della crisi in un conflitto militare destabilizzerebbe l’intera regione asiatica. Il primo obiettivo cinese è quello di mantenere l’equilibrio nella sua zona di influenza geopolitica, seguito dalla volontà di ristabilire la sua egemonia sulla parte settentrionale della penisola Coreana. Pechino è il principale alleato della Nord Corea fin dalla guerra nella penisola degli anni ’50. Nel corso del tempo, è diventato anche il suo primo partner economico. Avere a che fare con un regime così imprevedibile sta però diventando difficile, per questo la Cina sta usando metodi coercitivi, diplomatici ed economici, in modo da spingere Pyongyang a riconoscere la sua dipendenza dalla potenza asiatica. Dopo i sospetti di defezione, comunque, Pechino ha ribadito lo scorso 5 gennaio la sua volontà di sostenere la decisione dell’ONU di imporre sanzioni. Le restrizioni commerciali riguardano non solo il limite all’import di petrolio, ma anche il blocco delle importazioni di acciaio e ferro.
La posizione della Russia
Trovando una Cina poco propensa a stare dalla sua parte, Kim Jong-un ha cercato appoggio nell’altro suo storico alleato: la Russia. Quando la Cina ha cominciato ad imporre restrizioni commerciali, il regime si è rivolto alla Russia come potenziale partner politico ed economico. Dal canto suo, Mosca ha violato più volte le sanzioni delle Nazioni Unite, rifornendo la Corea del Nord di materie prime. Fin quanto in là si spingeranno gli aiuti di Putin? L’avvicinamento tra il Cremlino e Pynonyang a scapito della Cina era già avvenuto nel 1992: all’epoca, la Corea del Nord non accettò il fatto che il governo cinese avesse ripreso relazioni diplomatiche con la Corea del sud e cercò nella Russia il nuovo partner economico. Gli aiuti offerti da Yeltsin, alle prese con un paese appena uscito dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica e con enormi problemi interni, furono limitati. Per cui, la Corea del Nord si trovò di nuovo costretta a rivolgersi alla Cina che tornò a essere il suo partner commerciale privilegiato. Che Xi Jinping stia tentando di seguire la stessa strategia? Spingere la Corea del Nord verso la Russia, imponendo restrizioni commerciali, fin quando il Cremlino non sarà più disposto a fornire aiuti e Pyongyang sarà costretta a riconoscere l’egemonia cinese. Per ora, le aperture diplomatiche che Pechino continua a lasciare dimostrano la sua disponibilità ad un riavvicinamento con il paese asiatico, se Kim dovesse decidere di rivedere la sua condotta.
La situazione attuale
Intanto, la popolazione civile Nord Coreana sta diventando sempre più povera. I costi enormi del programma nucleare uniti ai danni provocati dalle sanzioni internazionali stanno portando il paese sull’orlo del baratro. Se il regime non deciderà di bloccare la sua politica, il rischio di catastrofe umanitaria diventerà sempre più verosimile.
Segnali concreti di distensione sono arrivati lo scorso 9 gennaio dalle due Coree. Le delegazioni dei due paesi si sono incontrate nella zona demilitarizzata, precisamente nella “Casa della pace”. Si è deciso di mantenere il dialogo aperto per migliorare i legami diplomatici, di allentare le tensioni lungo il confine e, infine, di ammettere una delegazione di atleti nord coreani alle Olimpiadi di PyeongChang che inizieranno il prossimo 9 febbraio. La Corea del sud è ovviamente interessata a distendere i rapporti con il suo vicino settentrionale: un’eventuale guerra con gli Stati Uniti la coinvolgerebbe direttamente, in quando truppe militari americane sono presenti nel suo territorio. Ma la tregua olimpica, nonostante sia una tappa importante nella gestione della crisi, non è sinonimo di apertura del dialogo con gli Stati Uniti. La strada da percorre è ancora lunga.
Kim Jong-un non sembra voler rinunciare in alcun modo al suo programma nucleare. Fino ad adesso la situazione militare è rimasta stabile: le provocazioni sono rimaste sul piano verbale o dei test nucleari, come il mondo aveva già sperimentato durante gli anni della Guerra Fredda, quando le due grandi potenze in competizione hanno mantenuto per anni un equilibrio di mutua deterrenza nucleare (MAD): entrambe sviluppavano la tecnologia nucleare in modo da evitare l’attacco dell’altra. Le circostanze attuali sono però molto diverse. Durante la Guerra fredda la minaccia nucleare era una minaccia latente, sullo sfondo dei dialoghi tra due blocchi ben distinti. Oggi il dibattito è incentrato proprio sull’arma nucleare, non ci sono altre ragioni di conflitto. Il dialogo tra Corea del Nord e Stati Uniti è praticamente inesistente, i leader imprevedibili e le alleanze incerte. Il rischio di azioni impulsive e avventate da parte dei leader di Corea del Nord e Stati Uniti è estremamente alto. D’altra parte, la politica di deterrenza sembra l’unica soluzione attuabile, se Pyongyang non dovesse bloccare il suo programma. Un attacco militare al suolo da parte degli Stati Uniti probabilmente distruggerebbe l’arsenale Coreano, ma provocherebbe una risposta da parte del regime di Kim Jung-un con armi convenzionali e non. La discesa in campo delle forze militari porterebbe perciò alla pericolosa escalation del conflitto a livello mondiale. La deterrenza sembra di nuovo essere l’unica soluzione percorribile per mantenere un equilibrio, seppure precario. Ma per quanto altro Kim Jung-un e Donald Trump saranno in grado di camminare sul filo di questo rasoio senza cadere?