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Obrigado por tudo, Ronaldinho

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Andrea Braschayko

«Noi viviamo per dire sempre addio» scriveva nelle Elegie duinesi il poeta austriaco di origine boeme Rainer Maria Rilke. Lo sappiamo, lo scopriamo, lo temiamo non una sola volta nella nostra vita, ma a volte nella nostra incoscienza ce ne dimentichiamo, e quando arriva l’ora rimaniamo spiazzati. Eppure Ronaldo de Assis Moreira, per tutti Ronaldinho, ci aveva preparati: non disputava una partita ufficiale dal 2015, e dopo l’addio al Milan la sua carriera è stata una lunga parabola discendente.

L’annuncio di martedì scorso che ne ufficializzava il ritiro, però, fatto per il quotidiano brasiliano O Globo dal fratello-procuratore, ci ha comunque fatto rimanere, anche per un solo momento, impietriti. Con il suo ritiro si chiude una delle parentesi più belle che il calcio abbia mai vissuto. Magari è stata una parentesi fugace, effimera, sfuggente, ma è stata altrettanto intensa e ardente da averci fatto amare questo sport per sempre.

La parte sinistra di Dio, con un bacio alla mano celebra la sua parte destra.

Il calcio di Ronaldinho era istintivo e scenografico: un’imprevedibilità che prima di arrivare ai piedi partiva dalla mente, vero fulcro del fenomeno brasiliano. «Dinho era un genio, e non solo in campo. Il giorno in cui non si sentiva felice non giocava bene. Spesso, però, arrivava nello spogliatoio sorridente e mi diceva felice: ‘Samuel, come ti senti?’. Se gli rispondevo anch’io ‘bene’, lui replicava: ‘Perfetto, andiamo a vincere’». Così dichiarò Samuel Eto’o, uno dei suoi compagni storici. La felicità, insomma, come motore dello spirito del Gaucho. Una sorta di Maestro Yoda del pallone; un inguaribile ottimista, rimasto orfano all’età di otto anni, dalla cui magia è impossibile non rimanere affascinati.

Dinho è la parte estetica del calcio: un giocoliere con una tecnica mai vista prima, ma che racchiude intrinsecamente la comprensione stessa del gioco. Giocate spettacolari da guardare in loop per ore, mai banali, mai fini a sé stesse, ma sempre con un senso più ampio. I tricks del brasiliano, per quanto ridicolizzino il ruolo dell’avversario, non sono mai volgari né traboccanti, a differenza dei vari Neymar, Kerlon, Mastour e compagnia varia, ma sono alla stregua di un’opera d’arte.

Il tunnel a Rigoni del Chievo non è una mera espressione di superiorità tecnica, ma è funzionale al proseguo dell’azione: Ronaldinho non aveva altro modo di superare l’ostinato centrocampista clivense.

Un giorno Ronaldinho decide di scrivere una lettera al sé stesso del passato, ripercorrendo tutte le tappe della sua carriera. Si parte dalla scomparsa del padre («Tuo padre ti ha sempre detto di essere creativo, di giocare libero») per finire con l’incontro con Lionel Messi: «Vedrai questo ragazzo e capirai che sarà più di un grande giocatore. I giocatori del Barcellona parleranno di lui come parlavano di te. Digli di giocare con gioia, grazie a lui il freestyle rimarrà nel club blaugrana quando tu lo lascerai».

Il 2 maggio 2005, il Barcellona sta giocando una delle ultime partite di campionato contro l’Albacete, in una Liga che i blaugrana stanno dominando davanti al Real Madrid. A tre minuti dalla fine l’allenatore Rijkaard decide di regalare una standing ovation al proprio capocannoniere Samuel Eto’o, facendo entrare un giovane della cantera. Provate a immaginare chi.

Al Gaucho bastano pochi secondi per imbeccare il giovane Messi, che batte il portiere con un pallonetto. L’arbitro non è d’accordo: fuorigioco e gol annullato. Passano altri trenta secondi, e in un’azione fotocopia Ronaldinho si inventa l’ennesimo passaggio sontuoso per il diciassettenne argentino, che batte nuovamente Valbuena con il pallonetto. Il passaggio di consegne tra il maestro e l’allievo è avvenuto. Tutto quello che succede dopo, è storia.

Al secondo tentativo, Dinho riesce a far cominciare – con il primo gol nel calcio professionistico – la favola del giocatore più forte dei nostri tempi.

«Andrés, me ne vado al Madrid»: genesi della partita perfetta

Prima del Clàsico del 19 novembre 2005, Ronaldinho aveva rischiato di giocare per il Real già in due occasioni. La prima volta per davvero, la seconda per finta. Nel 2003 sembra che i Galacticos gli abbiano preferito David Beckham per una questione più estetica (non calcistica, ma fisica) piuttosto che tecnica. Ronaldinho era troppo brutto, secondo alcuni dirigenti, per giocare nei blancos. Non sapremo mai la veridicità di questa teoria, ma in effetti non sembra neanche un’ipotesi così remota.

La seconda volta ce la racconta Andrès Iniesta, all’epoca giovane promessa in una squadra di campioni. «Mancava qualche giorno al Clàsico con il Real Madrid, Dinho mi telefonò in piena notte. Risposi al telefono e disse: ‘Andrés, lo so che sono le 3 del mattino, ma devo dirti una cosa. A giugno vado via. Mio fratello si sta mettendo d’accordo con il Real. Sono cifre incredibili, non posso dire di no. Tu sei giovane, puoi capirmi. Mi raccomando però non dire nulla nello spogliatoio e alla società, non tradirmi, mi fido di te più di chiunque altro. Notte Andrés…’» questo il riassunto della telefonata tra i due.

Una notizia scioccante, ma ancora più scioccante è l’atmosfera a cui Iniesta assiste all’allenamento della mattina dopo: «Il giorno dopo eravamo sul campo ad allenarci e sentivo intorno uno strano silenzio. Tutta la squadra era strana, coccolavano Dinho come mai prima. C’era un’atmosfera surreale». Poco prima dell’inizio della partita, il brasiliano chiarisce la tenebrosa situazione: «Ragazzi, oggi giochiamo una partita importante, questi sono forti, ma in questi giorni ho scoperto che siamo come una famiglia. Ho chiamato tutti voi in piena notte dicendo che sarei andato via a giugno, ma nessuno di voi ha parlato». Da vero leader Ronaldinho ha sfruttato l’espediente per dare una carica motivazionale in più alla squadra: «Dopo questa cosa, ho capito che siamo disposti tutti a morire dentro pur di non tradirci. Io rimarrò qui per molti anni ancora. Ora usciamo in campo e andiamo ad insegnare calcio a questi di Madrid». Nei novanta minuti al Santiago Bernabeu il Barça non fa vedere palla ai rivali, uscendo dal campo con un inoppugnabile risultato di 3 a 0.

Dopo il gol iniziale di Eto’o, il fantasista carioca comincia a dare spettacolo e realizza una doppietta in quella che probabilmente è stata la sua partita più devastante in carriera. Dribbling e passaggi fuori dal normale, con Sergio Ramos e Casillas ancora con l’emicrania per quanto accaduto. Dopo aver fischiato la propria squadra per (quasi) l’intera partita, il pubblico madridista al terzo – fenomenale, fiabesco, assurdo – gol del Gaucho si alza in piedi per una standing ovation commovente. Dopo gli applausi, il pubblico lascia lo stadio. Lo spettacolo è finito, l’attore principale è stato omaggiato in casa degli eterni rivali. Se qualcuno dovesse in futuro chiedervi cos’era Ronaldinho, fategli ammirare questa partita.

Dopo la partita perfetta, che gli ha aperto la strada per la conquista del Pallone d’Oro e della Champions League pochi mesi dopo, riviviamo i 5 gol e assist più belli della carriera del fenomeno Ronaldinho.

L’incredibile cavalcata contro il Guingamp

Dinho arriva in Francia dal Gremio a seguito di un trasferimento non poco turbolento (non ai livelli del possibile erede Neymar, ma poco ci manca) nel quale rischia persino di finire in Scozia, nel St Mirren. Al PSG incanta per due stagioni, vincendo nel mezzo anche il Mondiale 2002 con il Brasile, diventando uno dei giocatori più in vista d’Europa. Nel 2003, il suo gol al Guingamp viene premiato come Gol dell’anno in Ligue 1. Alla metà del primo tempo riceve palla da Nyarko a centrocampo e parte nella sua volata verso la porta: uno-due con Rocchi per poi saltare il difensore del Guingamp in un modo che credevamo fosse possibile solo su FIFA Street, doppio passo su quel che rimane della difesa avversaria e palla alle spalle del portiere.

Ronaldinho ferma il tempo, il gol al Chelsea

Una delle reti più famose del Gaucho. Ottavi di finale di Champions League, si gioca a Stamford Bridge il ritorno contro il Chelsea. Iniesta recupera un pallone sulla trequarti e lo scarica per Ronaldinho. Il brasiliano è stretto nella morsa di cinque o sei maglie blu, le possibilità di continuare l’azione sono davvero poche. Il frangente che intercorre tra la finta a passo di twist e il tiro dura poco più di un secondo, nel quale però tutti eccetto Dinho sono paralizzati. Per tutti quell’attimo sembra durare molto di più di quello che sembra, come quelle scene banali nei film americani dove in pochi secondi ti passa tutta la vita davanti. Ma quella sera a Londra Ronaldinho ferma davvero per un momento la frenesia del calcio e della vita stessa: quando il pallone è ormai in rete Cech e i giocatori del Chelsea si accorgono troppo tardi di essere rimasti incantati dall’incantesimo del brasiliano, in un secondo che è durato una vita.

L’assist a Giuly a San Siro

Nei centottanta minuti della semifinale contro uno dei Milan più forti di sempre viene segnata una sola rete, dall’attaccante francese Ludovic Giuly. A propiziarla, però, sono i piedi e il cervello del fantasista brasiliano. Ronaldinho si libera dal pressing asfissiante di Gattuso (e nel 2006 non è facile) con una facilità disarmante, per far partire subito dopo un lancio inspiegabile tra Nesta e Kaladze che Giuly ha la bravura di capire e concretizzare.

La rovesciata contro il Villareal

Il fallimento del Brasile al Mondiale 2006 è, purtroppo, un punto di non ritorno nella carriera del brasiliano. La delusione della sconfitta con la propria nazionale è un trauma emotivo per qualsiasi brasiliano, ma per Ronaldinho lo è ancora di più. Di ritorno dalla rassegna iridata, nonostante le prestazioni siano ancora da top mondiale, il calciatore blaugrana non è più lo stesso. Ciò non gli impedisce di deliziare il Camp Nou con una delle rovesciate più belle di sempre, sfruttando un delizioso cross di Xavi contro il Villareal.

L’assist da spiaggia in Milan-Udinese

Ronaldinho arriva a Milano in un’afosa giornata del luglio 2008, e nonostante l’ultima stagione al Barcellona avara di soddisfazioni e ricca di infortuni, i tifosi rossoneri lo accolgono a San Siro con un entusiasmo senza precedenti per colui che comunque fino a poco prima era il più forte al mondo. E che poteva tornare a esserlo in qualsiasi momento. Con compagni come Pirlo, Kakà, Beckham, Inzaghi, Pato, Maldini e il figliol prodigo Shevchenko ci si aspettava che con Ronaldinho il Milan aprisse una nuova era di successi. Così non è stato, e dopo tre anni di alti e bassi Dinho ritorna in Brasile fuggendo dal ritiro rossonero a Dubai. Nel mezzo, ha comunque regalato sprazzi di altissima classe alla Serie A, diventando nel 2009 il giocatore con più assist in campionato in una sola stagione, ben 14. Uno dei più belli, questo contro l’Udinese, dove con una serie di finte rovina la giornata ai difensori friulani e di suola serve l’assist a Pato sul primo palo, in un’azione che sembra più da beach soccer che da calcio vero e proprio.


Durante la permanenza al Milan, Carlo Ancelotti disse: «Aveva il permesso per tornare dalla discoteca alle 5. È tornato alle 3, significa che non si stava divertendo». Il carattere positivo ed esuberante di Ronaldinho sfocia spesso in comportamenti poco sani fuori dal campo, una costante in tutta la sua carriera, però molto più evidente a Milanello rispetto che a Barcellona, dove gli veniva graziato tutto visti i risultati. Proprio questa è stata una delle cause principali del suo andamento altalenante in Italia. Chissà se – con uno stile di vita diverso – Ronaldinho sarebbe diventato a tutti gli effetti il calciatore più forte di tutti i tempi. Magari sì, ma non sarebbe stato Ronaldinho.

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