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Diffamazione per tutti

Published by
Michele Corato

Il reato di diffamazione è considerabile come il primo punto di contatto con il mondo del diritto e, in particolare, del diritto penale. A tutti, infatti, sarà capitato di ricevere una minaccia di querela per diffamazione o, di converso, di minacciare il ricorso a tale provvedimento. Questo reato, dunque, conosciuto quanto meno per nome ai più, acquista particolari punti di rilievo negli ultimi anni grazie alla diffusione di massa dei social network almeno in riferimento ad un duplice punto di vista. In primo luogo, infatti, non sono rare le situazioni in cui i più svariati soggetti si sentono in diritto di berciare contro tutto e tutti, convinti che la massima tutela dell’anonimato sia garantita dallo schermo di un computer. Da un secondo punto di vista, poi, capita che qualcuno tenti di instaurare un dialogo con i soggetti di cui sopra, e immergendosi nella cloaca da questi generata finisca con l’affogarci. Come facilmente intuibile, il più delle volte le frasi fatte non riescono a colmare un vuoto nella dialettica, ed è allora che i famosi esponenti del libero pensiero minacciano una denuncia per diffamazione. Parimenti osteggiato, poi, il diritto alla libera espressione che dovrebbe giustificare qualsiasi pensiero, anche il più sconnesso, purché espresso.                                                                                  Fortunatamente, in questo triste scenario, la diffusione generale dei social network ha portato anche alla nascita di realtà positive. Il riferimento, qui, è alle pagine di informazione quelle, praticamente, di stampa online. Anche in questi casi però il rischio della diffamazione è dietro l’angolo. Oltretutto nella stampa opera un particolare bilanciamento di interessi. Da un lato l’ordinamento tutela il singolo ed il suo onore dall’altro, invece, tutela il diritto all’informazione.

In entrambi i casi, dunque, appare necessario analizzare quando il delitto si compie, ovvero dove il legislatore abbia voluto tracciare la linea di confine tra le singole libertà individuali e il reato.

Gli elementi costitutivi della diffamazione

Per il configurarsi della diffamazione, così come per tutti i reati del diritto italiano, è necessario il concorso dell’elemento soggettivo e dell’elemento oggettivo in capo al soggetto agente. Quanto all’elemento soggettivo è sufficiente che quanto detto sia idoneo a offendere il soggetto leso o, meglio, a ledere la sua reputazione o dignità. Sullo stesso piano, poi, è necessaria la consapevolezza di comunicare l’offesa a più persone in assenza del soggetto passivo. Tale ultimo elemento appare particolarmente rilevante perché permette la distinzione tra la diffamazione, che avviene in assenza della vittima, e l’ingiuria che, recentemente depenalizzata, si qualifica come di minor gravità. Ciò che il legislatore ha inteso tutelare con l’istituzione del reato di ingiuria, o che dir si voglia, il bene giuridico che viene leso dalla condotta dell’agente è l’onore. Tale elemento non è da intendersi in senso stretto ma piuttosto in senso lato e sotto un duplice punto: la percezione che il soggetto ha di se e quella dello stesso percepita dalla comunità. Ovviamente non acquistano rilievo una particolare situazione personale del soggetto offeso, le scelte di vita o la status sociale di quest’ultimo; ogni soggetto, nel pieno rispetto degli articoli 2 e 3 della Costituzione ha infatti il diritto di autodeterminarsi e, pertanto, la sua personalità necessita una tutela da qualsiasi offesa esterna. Successivamente all’articolo che prevede il reato in esame è ravvisabile una norma che individua le particolari circostanze aggravanti dello stesso quelle che, nella pratica, comportano un aumento della pena detentiva o pecuniaria. Per quanto attiene alla presente analisi, oltre all’attribuzione di un fatto specifico o alla qualifica della persona offesa come corpo politico o esercente funzioni pubbliche, rileva particolarmente la diffamazione posta in essere a mezzo della stampa.

La diffamazione a mezzo stampa e via Facebook

Particolare circostanza aggravante della diffamazione, quella operata tramite mezzo stampa o altro mezzo di pubblicità, trova la propria ragione d’essere nell’enorme capacità diffusiva del mezzo impiegato. Tale particolare aggravante risulta, in linea con le ultime interpretazioni giurisprudenziali, applicabile alla maggior parte dei casi in cui la lesione avviene per mezzi di comunicazione elettronica. Questi strumenti, social network, mailing list, testate online, consentono la diffusione immediata di qualsivoglia comunicazione e quindi anche lesiva, a un numero di persone potenzialmente illimitato. In questi particolari casi, soprattutto in riferimento alla stampa, operano e collidono due fondamentali principi come quello all’onore, previsto dagli articoli 2 e 3 della Costituzione, e quello previsto dall’articolo 21 della stessa nonché tutelato a livello sovranazionale. Quest’ultimo, ovviamente, fa riferimento al diritto del cittadino alla libera manifestazione dl pensiero e al diritto di cronaca. Tale diritto infatti prevarrà sempre al verificarsi di determinati presupposti come la veridicità della notizia, l’interesse pubblico alla sua diffusione ed un rigoroso controllo sulle fonti. Molto simile a quello appena osservato è il diritto di critica la cui differenza sta sostanzialmente nel riportare valutazioni personali e, come tali, prive di obiettività. Esso è soggetto ai medesimi requisiti appena postulati per il diritto di cronaca tuttavia, data la natura strettamente soggettiva dello stesso, il requisito della verità avrà un peso differente senza possibilità, però, di scivolare nella falsità.

Per quanto invece riguarda quanto anticipato in apertura, la diffamazione posta in essere sulla propria bacheca Facebook o comunque in generale attraverso lo stesso social, la pubblicazione di un messaggio denigratorio a mezzo informatico integra il reato di diffamazione se il soggetto è individuabile e se fosse intenzione di chi pubblica ledere all’altrui onore. Come detto, poi, sarà sicuramente applicabile la particolare aggravante date le potenzialità di diffusione che contraddistinguono il social network di Zuckerberg che conta milioni di iscritti. L’equiparazione di questa forma diffamatoria con quella perpetuata a mezzo stampa ci porta all’analisi della disciplina inerente all’informazione online. Nella stampa “ordinaria”, quella cartacea, opera una particolare forma di responsabilità personale nei confronti del direttore ossia quella che viene definita come culpa in vigilando che prevede un vero e proprio onere di controllo in capo allo stesso. Questa, però, deve escludersi nelle testate giornalistiche online. Tale forma di responsabilità fa riferimento alla stampa che, in base alle specifiche leggi in materia, è rappresentata solamente da un’attività tipografica diretta alla diffusione. In assenza quindi di una riproduzione cartacea, non è possibile l’estensione di tale reato e ciò nel rispetto del divieto di analogia in negativo, pilastro fondamentale dell’ordinamento penale italiano. Infine, in giurisprudenza, gli interpreti si sono posti il problema dell’equiparazione dell’informazione operata tramite Facebook e quella delle testate online. L’elemento distintivo tra queste due distinte ipotesi, ai fini del riconoscimento dei diritti di cronaca e critica accennati in apertura, è dato dal fine delle due figure. Il noto social network non ha finalità informative ma di rete sociale e non è pertanto equiparabile in nessun modo al concetto di “stampa”.

In conclusione le opinioni ed i giudizi personali sono “sacri” almeno finché non si scontrano con l’altrui diritto. L’accessibilità incontrollata alla pubblicità ha trasferito discussioni, un tempo relegate a qualche bettola, all’attenzione di chiunque. Questo, oltre a provocare diffusi casi di ulcere gastriche, facilita lo sviluppo e la commissione del reato di diffamazione. Non sarebbe necessario ricordarlo, ma prima di pubblicare qualsiasi contenuto è bene ricordare che uno schermo non è uno strumento di anonimato assoluto e che la difesa del proprio pensiero non è estensibile ad ogni opinione in particolare alla più becera ed offensiva che, sarebbe meglio, non esprimere proprio in una società civile. Le conseguenze legali, come abbiamo visto, ci sono e sono particolarmente gravi per 15 minuti di popolarità.

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Michele Corato

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