Caffè Greco: “Nun je da’ retta Roma”
Da anni, ormai, il centro storico della Capitale è divenuto teatro di uno spiacevole moto sostitutivo, di una svendita identitaria all’ineffabile autorità dei grandi brand e delle multinazionali a detrimento dei piccoli artigiani e dei lavoratori precarizzati, sepolti dal peso di una vessazione economica che va facendosi sempre più soffocante a ogni rinnovo di contratto. La “storicità” unica di cui la città eterna può ancora avvalersi è quella archeologica, quella dei (trascurati) residui delle grandi infrastrutture romane divenuti simboli dell’italianità stessa: ma in una nazione che potrebbe vivere di solo turismo e che tuttavia lascia all’abbandono e al degrado quelle stesse vestigia da cui trae il grosso del suo sostentamento, non è difficile immaginare a quale marginalità culturale sia relegato il Caffè Greco, un “misero” caffè letterario.
Dalla piazza di Venezia a quella del Popolo, dal Palazzaccio di Cavour alla scalinata di Spagna, Roma è un instancabile crocevia di politica e competitività commerciale, un habitat tanto affascinante quanto dispendioso: i privati della zona, infatti, non sono nuovi ai rialzi dei costi affittuari (secondo osservazioni eseguite in loco, al rinnovo del contratto, si assiste a un aumento medio del costo pari al 200%, ossia quattro volte la cifra precedente). Lo scorso settembre è stato il turno del celebre Antico Caffè Greco, l’ultimo grande locale storico della città, sito in via dei Condotti sin dal lontano 1760, fondato dall’italo-levantino Nicola di Madalena (o della Maddalena a seconda delle traduzioni). L’istituzione cittadina ha a suo consuntivo più di 250 anni di storia, cristallizzati in un patrimonio artistico di respiro mondiale in ragione delle 300 e più opere ivi contenute e degli illustrissimi suoi frequentatori: il luogo adatto, insomma, per godersi un lento espresso in tazzina, accompagnato magari dai quadri delle vedute veneziane o dall’eco dell’inchiostro su carta di grandi autori quali Schopenhauer, Gogol, Goethe e D’Annunzio. Ma non saranno i tavolini in marmo pregiato, i corridoi adibiti a pinacoteche, l’acqua servita in bicchieri di cristallo o i camerieri nell’immancabile frac a dissuadere l’Ospedale Israelitico (possessore dell’immobile) dal compiere l’infimo spodestamento: quattro mesi fa, i proprietari delle mura hanno deciso per l’incremento della locazione mensile sorpassando la già vertiginosa soglia dei 18.000 euro (16.000 più Iva); qualora non si dovesse raggiungere un accordo entro il 20 marzo dell’anno corrente, come prescritto dalla sentenza del Tribunale di Roma lo scorso 6 novembre, l’attuale direzione del caffè sarà costretta allo sfratto.
Lo scandalo Mastrapasqua
Ma a cosa è dovuto questo improvviso innalzamento delle cifre di esborso? Cosa spinge la clinica ebraica a “estorcere” denaro dalle casse del sacrario intellettuale? Per dovere di cronaca, è bene ricordare che l’Ospedale Israelitico, a seguito dello scandalo che vide coinvolto l’allora direttore generale Antonio Mastrapasqua (all’epoca anche presidente dell’Inps e vicepresidente di Equitalia), è tutt’ora in fase di risanamento dei conti e necessita, pertanto, di valorizzare quanto più possibile il suo patrimonio immobiliare. La ripresa miracolosa dell’azienda ospedaliera, che nel decennio 2001-2011 capovolse le sue condizioni critiche triplicando gli introiti (da 17 milioni annui a 54), con un conseguente aumento esponenziale del personale dipendente (da 180 unità a 2000), si rivelò essere il prodotto di una truffa di proporzioni mastodontiche alla Sanità nazionale: nel 2015, al termine di due anni di indagini, Mastrapasqua fu accusato di aver chiesto alla Regione una lunga serie di rimborsi gonfiati per le prestazioni sanitarie, truccando il 94% delle cartelle cliniche dei pazienti ricoverati, riuscendo a ottenere 13,8 milioni di euro non dovuti; a questi si aggiunsero altri 71,3 milioni di euro di presunto “vantaggio patrimoniale” (dispositivo dell’art. 323 del codice penale).
Morituri te salutant
Come da manuale, il caos dell’allarmismo ha immediatamente attecchito, lasciando il popolo in balia della disperazione patologica – e questa volta, forse, a ragion veduta –: benché l’Antico Caffè Greco – ci confermano a domanda gli intervistati –, in forza del suo status di istituzione storico-culturale sia tutelato fin dal lontano 1953 dalla Legge 1 giugno 1939, n. 1089 per la tutela delle cose d’interesse artistico o storico (successivamente abrogata e sostituita dalla Legge 8 ottobre 1997, n. 352 e dal Decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, in partic. l’Allegato A del medesimo testo per la categorizzazione dei beni culturali tutelati), intimorisce non poco l’idea del possibile cambio gestionale; alla luce dei costi affittuari, infatti, chi se non una multinazionale estera potrebbe subentrare all’attuale Antico caffè Greco srl? Ma soprattutto, alla luce dell’obbligatorietà del mantenimento dell’esercizio storico, quali le garanzie per l’individuazione di un sostituto più in generale che intenda sottostare alle direttive statali senza apportare modificazioni all’attività? Fanno pensare le parole spese dall’associazione per la salvaguardia dei beni culturali della Capitale che, in una nota di appello al Presidente dell’Unesco Italia, Franco Bernabè, si chiede fino a che punto il centro storico, mutilato e sbrindellato, sia degno del titolo di patrimonio dell’umanità; e rattrista ancor di più il nullo responso del titolare del MiBACT, Dario Franceschini, e della prima cittadina romana, Virginia Raggi.
Il che ci conduce, in ultima istanza, al problema cardine: a cosa ricondurre questa becera indole nostrana, sradicata dalla cultura e dai valori, priva di ogni difesa dell’identità cittadina e nazionale? Perché risvegliarsi dal sonno della noncuranza solo a cosa fatta, quando il danno è inevitabile o, peggio ancora, irreversibile? Cosa ci predispone ad essere favorevoli a spendere 7 euro per un cocktail annacquato in una squallida discoteca, ma ci fa astenere dalla medesima spesa se volta alla degustazione di una cioccolata calda circondati da acquerelli ottocenteschi e busti bicentenari? Sulla nota monocorde di questo tasto dolente, terminiamo con l’auspicio di un tardivo ma quantomai gradito intervento delle autorità competenti, e con la speranza che le redini dell’Antico Caffè Greco passino a mani di attori più capaci e consapevoli della valenza storico-culturale dell’istituzione, piuttosto che a quelle di un magnate straniero disinteressato che, con qualche modifica strutturale ad hoc, applicando magari un foro di congiunzione tra le due sale “omnibus”, ne approfitti per far sparire nei suoi salotti qualche cornice o qualche bassorilievo a cammeo.
Per consultare il testo dell’articolo 323 del codice penale (Abuso d’ufficio), si veda qui.
Per consultare il testo della Legge 8 ottobre 1997, n. 352 (Disposizioni sui beni culturali), si veda qui.
Per consultare il testo del Decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali), si veda qui.