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Xi Jinping nella leggenda e nella costituzione Cinese

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Carlo Paganessi

La scorsa settimana il Partito Comunista cinese ha elaborato una proposta di iscrizione delle teorie prodotte dal proprio segretario (ancora in carica come Presidente della Cina) nella costituzione del paese. Tale onore è stato riservato (durante il periodo di presidenza) solo a Mao Tse Tung, il padre della nazione: con questa presa di posizione Xi Jinping si pone come la guida della rifondazione dell’impero celeste, l’uomo destinato a produrre la scintilla della “nuova era” (un’espressione che nel corso del congresso di ottobre 2017 ha utilizzato per ben 36 volte) che porterà la Cina nel terzo millennio e al dominio mondiale, rilevando la declinante leadership degli Stati Uniti.

Il perno della dottrina poggia sulla volontà di attribuire maggiori poteri decisionali al Partito Comunista: tale accentramento risulterebbe in una maggior presenza degli organi centrali nell’organizzazione di industrie, villaggi, scuole. Per quanto concerne l’economia, come è da far suo, ha mandato segnali contrastanti che si dividevano tra allocazione delle risorse su logiche di mercato e un contemporaneo sostegno all’economia pianificata già anticipato in precedenza con la maggior presenza nel tessuto produttivo e sociale.

Scene dal Congresso del Partito Comunista Cinese dell’ottobre scorso. Nuova Cina.

Al centro del capitolo relativo alla politica estera si trova il rinnovamento dell’esercito, dove la direzione sta tagliando effettivi (che dovrebbero scendere sotto i due milioni quest’anno) per puntare maggiormente sulla qualità e sulla capacità d’intervento in tutto il globo: laddove Hu Jintao poneva l’obiettivo sulla “vittoria in una guerra locale nell’era dell’informazione” Xi Jinping pensa in grande e si disfa della parola “locale”. Pechino ha già dato prova di saper condurre operazioni in modo convincente anche lontano dalle proprie coste con l’intervento in Yemen per l’evacuazione dei cittadini cinesi in loco ai tempi dell’offensiva Houthi su Aden.

Il discorso di Xi Jinping al Congresso del Partito durò quasi tre ore e mezza, nell’occasione delle quali ebbe a più riprese l’occasione di rimarcare come la Cina fosse ormai un paese adulto in grado di prendersi il posto che le spetta al centro della scena mondiale e guidare il resto del mondo nelle questioni ambientali, militari, economiche e politiche. La Cina sarà progressivamente chiamata a fornire un contributo sempre più importante all’umanità. Nel corso dell’intervento Xi Jinping ha anche rinnovato i propri timori relativi alla corruzione, una battaglia con i giusti propositi che gli ha permesso di eliminare larga parte degli oppositori politici.

Il presidente cinese ha continuato il proprio discorso rimarcando la necessità di affrontare i problemi di concerto con le altre nazioni, senza prevedere l’isolamento come accaduto in altri momenti della storia cinese o come era previsto, in una certa misura, nel programma elettorale di Trump. È proprio nel confronto con quest’ultimo che Xi guadagna maggiormente anche a livello di visibilità estera: mentre a Washington determinate tematiche (come quella ambientale o quella della cooperazione allo sviluppo) vengono completamente archiviate, ecco che Xi si mostra sensibile a tali tematiche menzionandole in uno dei discorsi più importanti della sua carriera. Dal lato della credibilità politica internazionale il presidente cinese si mostra come un uomo politico più forte di Trump e come un interlocutore affidabile. Ponendosi a confronto con l’omologo americano, il cinese è emerso come uno statista di razza sullo scenario internazionale.

Trump e Xi Jinping durante la visita del primo in Cina. Reuters.

Proseguendo nel proprio discorso nel quale delineava i principi della “New Era”, il Segretario del Partito Comunista Cinese riaffermò che non avrebbe tollerato distorsioni del modello cinese del “two systems, one country”, il quale fornisce a Hong Kong un regime di trattamento speciale così come concordato con i britannici al momento della cessione nel 1997. La città è stata teatro di numerose proteste nel 2014, nel corso del primo mandato di Xi Jinping, culminate con un’occupazione di luoghi pubblici durata per 79 giorni e la nascita di un movimento indipendentista della città.

Nei mesi successivi il presidente cinese ha confermato con le proprie azioni quanto espresso sul piano della politica interna: ha rinsaldato la presa su Hong Kong e sulle aree più occidentali del paese, alle prese con l’estremismo islamico. Una forma dell’aumento del controllo del centro sulla periferia è anche il giro di vite sulla corruzione menzionato in precedenza, che ha mietuto diverse vittime anche presso gli alti gradi delle sezioni periferiche del partito. Le azioni di Xi Jinping suggeriscono che una democratizzazione del paese è ad oggi più lontana che mai, e il presidente ha avuto occasione di riaffermarlo durante il suo discorso: non necessariamente la Cina si dovrà uniformare agli altri paesi, ma può proseguire con la propria visione del “socialismo con caratteristiche cinesi” (espressione mutuata da Deng Xiaoping) che rimane una “grande creazione” ancora adatta al contesto.

Dal lato della politica estera, invece, i proclami del discorso possono essere riscontrati solo in parte. L’intero impianto ideologico relativo alle misure ambientali è un mero tentativo di riempire il vuoto lasciato dagli Stati Uniti dopo l’elezione di Trump. Copia carbone di questa situazione è quella legata all’affidabilità nel contesto politico: indubbiamente l’attuale presidente cinese si sta dimostrando un uomo politico migliore dell’omologo americano, ma la capacità di produrre soft power della Cina è ancora troppo embrionale per poter arrivare a colpire là dove conta. Ad oggi la fedeltà al celeste impero si deve ancora solo per mere questioni d’interesse prima ancora che per affinità ideologica o comportamentale. Gli Stati Uniti, al contrario, possiedono ancora questa capacità, sebbene l’attuale amministrazione stia facendo di tutto per farla a pezzi giorno dopo giorno. La scorsa settimana Trump è arrivato a farsi “riprendere” da Xi Jinping che gli ha consigliato di accettare con serenità la distensione in atto tra Corea del Nord e Corea del Sud dopo le tensioni dei mesi scorsi.

Il dossier sulla Corea del Nord pesa molto sulla prima scrivania di Pechino. Nuova Cina.

In politica estera la Cina deve fare i conti anche con una serie di dossier in cui la linea politica di guida benevola del mondo annunciata da Xi Jinping viene clamorosamente disattesa: un esempio è tutto il discorso concernente il Mar Cinese meridionale su cui si affacciano diversi altri paesi che ne traggono mezzi di sostentamento energetico, alimentare e finanziario. Nella fattispecie, Pechino ha iniziato una serie di costruzioni di piattaforme che si appoggiano su secche create da barriere coralline preesistenti (come la secca di Scarborough) nel tentativo di farle apparire come isola vera e propria e non come semplice scoglio (la differenza secondo il diritto internazionale fa ballare più di 150 miglia nautiche di zona economica esclusiva). Un arbitrato internazionale invocato dalle Filippine ha dato sentenza sfavorevole a Pechino, intimando la fine delle operazioni di costruzione sulle isole. La Cina ha proseguito ignorando il pronunciamento, con notevoli danni per la barriera corallina.

Con l’iscrizione dei principi sopra menzionati nella costituzione cinese Xi Jinping viene posto sullo livello di Mao Tse Tung e Deng Xiaoping, il quale però non è riuscito a vedere i propri principi inseriti nella fonte primaria del diritto cinese. La formalizzazione del cambiamento della costituzione dovrebbe avvenire con una votazione parlamentare che avverrà con ogni probabilità a marzo. Con il congresso di ottobre, come da pronostico, il presidente è riuscito anche a stringere la propria presa sul paese, sebbene con scarso riguardo nei confronti della società civile, ed è pronto a guidarlo verso nuovi lidi e a una nuova concezione della Cina sul piano strategico e politico mondiale.

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Carlo Paganessi

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