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Chiamami col tuo nome: un grande successo Italiano

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Anastasia Piperno

Il nome di Luca Guadagnino, regista italiano, non ha mai avuto tanta risonanza come in questo momento in patria. Trionfatore all’estero per il suo ultimo film, Chiamami col tuo nome, tra critica e pubblico, arriva persino agli Oscar 2018, ottenendo quattro candidature: miglior film, miglior sceneggiatura non originale, miglior attore protagonista per il giovane Timothée Chalamet e miglior canzone a Sufjan Stevens per Mystery of Love. Proprio la posizione di rilievo mediatico data dall’Academy risveglia l’attenzione degli italiani su questo connazionale che prima non era stato mai granché considerato, nonostante una carriera già più che avviata e le lodi già conquistate da una parte non esigua della critica statunitense per i suoi precedenti Io sono l’amore (2009) e A Bigger Splash (2015). Il pubblico e l’industria cinematografica nostrani se lo ricordano tuttavia per un suo gravoso insuccesso di critica, Melissa P. (2005), ispirato al romanzo 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire di Melissa Panarello. Il film in verità incassò sette milioni, ma secondo un’inchiesta condotta dalla rivista Ciak fu giudicato il peggiore dell’anno insieme a Troppo belli di Ugo Fabrizio Giordani. Quest’uscita poco felice per la carriera di Guadagnino compromise le sue possibilità di lavorare, nonostante l’esito commerciale. Proprio in seguito alle numerose porte chiuse causate da ciò, il cineasta si rivolse all’estero, imboccando una strada vincente e di certa dignità artistica con i primi due film della sua «trilogia del desiderio» ideale, i già citati Io sono l’amore e A Bigger Splash, il primo girato tra Milano e la zona sanremese e il secondo a Pantelleria. Pur rialzandosi notevolmente con un discreto successo commerciale e di critica (quel che è stato il critico cinematografico più popolare degli Stati Uniti, Roger Ebert, inserì Io sono l’amore tra i suoi preferiti del suo anno di uscita), e ottenendo un riscontro positivo internazionale (Germania, Corea del Sud sono due esempi), questi due titoli non hanno attecchito nel nostro botteghino. È lo stesso Guadagnino a dire a Repubblica: «I miei film escono sempre in Italia, ma senza successo. (…) Io come regista in Italia non esisto». È da ribadire infatti che fino ad oggi per lui lavorare all’estero non è una scelta del tutto libera, ma un adattamento costretto dalle circostanze. Non sono pochi quelli che si domandano ora se i produttori italiani non si stiano pentendo dei finanziamenti negati a questo talento promettente, considerando dove è riuscito ad arrivare Chiamami col tuo nome.

L’Italia di Guadagnino

Chiamami col tuo nome è ambientato principalmente nelle campagne cremasche, dove Guadagnino vive. Foto: thevision.com

Erotismo e un senso di comunione con il paesaggio italiano si intrecciano allora nella trilogia di Guadagnino. Si spiega in parte perché quest’ultimo vada a genio al pubblico statunitense: senza cadere nel cliché della cartolina ad hoc per l’occhio del turista, riesce a calare le vicende dei suoi personaggi in ambienti suggestivi, restituendo la loro bellezza attraverso un approccio intimo, un’immersione sensoriale e sensuale nella natura. I luoghi prediletti da Guadagnino sono quelli della tregua dalla ferrosità urbana, dello spazio d’oasi personale ritagliato nella quiete pura del verde rigoglioso, di un’attività ritrovante e sfruttante le risorse naturali locali o ancora della libertà oziosa delle vacanze estive, magari nell’isola di Pantelleria (A Bigger Splash) o nelle campagne cremasche. Proprio in quest’ultime è ambientato Chiamami col tuo nome, adattamento dell’omonimo romanzo di André Aciman. È l’estate del 1983, il diciassettenne Elio (Timothée Chalamet) passa le sue giornate nella casa dei genitori sfaccendato, leggendo libri su libri, ascoltando e suonando musica, uscendo in bicicletta nei borghi vicini. Il padre, un professore di archeologia, come ogni anno ospita uno studente per le tesi di post-dottorato, e così arriva in famiglia Oliver (Armie Hammer), ventiquattrenne americano, che attira l’attenzione di Elio. Un senso di sospensione permea il tempo e lo spazio della storia: con ritmo lento si rendono i tempi dilatati della stagione, l’apparente immobilità nel trascinarsi di ora in ora senza programmi, l’attesa e l’esitazione iniziale, ribollente tra Elio e Oliver, sempre più attratti uno dall’altro, ma c’è anche la cristallizzazione di una storia d’amore cara, un passato storico e personale. Attraverso una meticolosa ricostruzione storica, sempre attenta al dettaglio, Guadagnino immortala i primi anni Ottanta, in modo talmente vivido da aver la sensazione che non ci sia una cesura, ma di star vivendo effettivamente il presente dei diciassette anni di Elio (d’altronde ha rimosso dalla sceneggiatura, scritta da James Ivory, l’idea di un’esplicita narrazione retrospettiva per far calare maggiormente gli spettatori nel momento). La fotografia chiara del thailandese Sayombhu Mukdeeprom valorizza le rive del Lago di Garda, i borghi di Crema, Montodine, con le loro costruzioni antiche o decadenti, incrementando l’immersione nella concretezza di questa bolla spazio-temporale. Il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha contribuito ai finanziamenti per il film, investendo pertanto in un ottimo esempio di una resa cinematografica del territorio italiano preziosa e non banalizzante.

Inoltre eros e cibo erano presenti emblematicamente in Io sono l’amore, e non mancano neanche qui: il piacere del mangiare, di cogliere sul momento i frutti dagli alberi del proprio giardino sono integrati nella vita quotidiana in modo naturale. Si tratta di un elemento di “italianità” che piace molto all’estero e che può spiegare ulteriormente l’attrattiva di Guadagnino in generale. Il connubio tra questo elemento e l’esuberanza sessuale del protagonista di Chiamami col tuo nome culmina poi nella tanto chiacchierata scena di masturbazione con una pesca, presente anche nel romanzo, trattata in verità delicatamente, dal momento che si temeva in partenza di cadere nel ridicolo.
Di nuovo, peraltro, la Storia accade ma in sottofondo, senza dell’attenzione coscienziosa dei personaggi verso di essa, come per il caso dell’immigrazione contemporanea in A Bigger Splash. In Chiamami col tuo nome è suggerita dai dettagli ricostruiti da Guadagnino, pur essendo presente nella sceneggiatura un accenno alle elezioni politiche che danno inizio al primo governo di Craxi, un periodo certamente significativo per il paese.

L’amore qui ha radici greche

Sarà significativo che un momento di evoluzione decisivo del rapporto tra i due ragazzi sia condotto nel contesto letterale del ritrovamento di un braccio di una scultura antica, attraverso cui i due fanno pace dopo una lite. Foto: thevision.com

L’intento primario di Chiamami col tuo nome però è poter raccontare con semplicità lo stupore e l’urgenza del primo amore, più che rivendicare un’ideologia identitaria di genere, complici le incertezze e oscillazioni dell’età adolescenziale. Nell’inserirsi nel filone del cinema queer infatti non presenta spiccate e aspre dinamiche pregiudizievoli o antagoniste, se non la consapevolezza dell’esistenza di un’opinione pubblica avversa fuori campo, che obbliga ad agire con cautela, ma che non ostacola drammaticamente la voglia di esplorazione sessuale di Elio. Contribuisce l’ambiente intellettuale e colto in cui si muovono i personaggi, in linea con l’estrazione sociale borghese ritratta dai precedenti Io sono l’amore e A Bigger Splash. Nell’ambiente domestico e poliglotte di Elio – si passa dal francese, al tedesco, inglese e italiano – i libri straripano dagli scaffali, riversandosi ammassati sui tavoli, si discute sull’etimologia di “albicocca”, si suona Bach su un pianoforte a coda e si coltiva uno spiccato interesse per la scultura greca. Non sorprende allora che i due amanti siano tacitamente supportati da una famiglia forse idealizzata, certamente di mentalità aperta e acuta. Sull’atteggiamento conciliante e sereno dei genitori di Elio Guadagnino è ben consapevole, dicendo nella stessa intervista sopracitata: «Ho sempre considerato la pratica dell’utopia il discorso più politicamente sensato da fare. Ho sempre diffidato dei realisti. Se quella del film può apparire una famiglia che non ha appigli nella realtà, nella norma, penso che può funzionare come uno specchio su cui lo spettatore si può confrontare, con le proprie dinamiche». Ergo si tratta di genitori eccezionali per il tempo, ma proprio la loro atipicità permette di riflettere su cosa invece è drammaticamente tipico nell’ordinaria omofobia appartenuta al passato e ancora viva.

Foto: thevision.com

D’altronde lo scrittore e accademico André Aciman e poi lo sceneggiatore James Ivory – regista di numerosi adattamenti letterari – non potevano che riversare nella materia in questione la loro passione culturale: già nei titoli di testa è istituito un parallelismo tra l’ideale di amore e bellezza nell’Antica Grecia e la relazione intercorrente tra Elio e Oliver. Come delle polaroid ricordo, scorre nell’opening una serie di fotografie di sculture del periodo classico, con riferimento esplicito a Prassitele, contornati dall’oggettistica degli anni Ottanta (Collateral.al mostra ad esempio il set design curato da Violante Mosconti di Modrone e non sbaglia dicendo che «la villa stessa si può considerare infatti come un protagonista della vicenda»). Le fisionomie di Timothée Chalamet e di Armie Hammer – in un cinema carnale e di occhio erotico verso i corpi degli attori che si rifà a Bernardo Bertolucci – sono molto diverse, ma sono il segno fisico di ciò che Socrate nel Simposio di Platone definiva come il desiderio erotico, il quale si mostra come «qualcosa che è contemporaneamente desiderio di ciò di cui manca, dunque di ciò che è dissimile, dall’altro di ciò che nella sua diversità è profondamente simile e affine», come dice Bruno Centrone nell’introduzione al testo in edizione Einaudi. Hammer incarna il modello greco: oltre che essere vigoroso, rimanda a un’armonia nella corretta proporzione delle parti, infatti la fotografia e la regia si calano nella percezione ammirata di Elio per esaltare, tramite fasci di luce e angolazioni del quadro, la desiderabilità di Oliver. Se Oliver quindi è stentoreo, Elio invece ha un corpo più esile, spigoloso, ancora puberale, ma la performance incredibile e sfumata di Timothée Chalamet, degna della candidatura conquistata, lo rende desiderabile invece agli occhi di Oliver per l’agilità e l’energia fibrillante che emana, per dei movimenti sinuosi e arditi, propri di chi si sa in carenza, quindi in desiderio, affamato di vita e teso alla ricerca passionale. Anima e corpo però qui sono in armonia: Oliver è molto di più di una mera riproduzione fisica degli uomini di Prassitele, ma riveste agli occhi di Elio ciò che si può definire una kalokagathìa. Quest’ultimo termine è un sostantivo sempre derivato dalla cultura greca classica che fonde i due aggettivi kalòs, bello, e agathòs, buono, e rispecchia più profondamente l’inevitabilità della complementarità tra bellezza fisica e condotta etica secondo l’estetica ed etica antica.  La bellezza greca ideale difatti si accompagna sempre a un suo riflesso nelle virtù morali, tanto che lo stesso termine kalòs già contiene questo duplice aspetto. Oliver quindi non è soltanto desiderabile per il piacere della vista, ma è stimabile. Differenti nei corpi, i protagonisti di Chiamami col tuo nome sono appunto affinità elettive, hanno il genuino piacere di stare insieme. Guadagnino, Ivory e Aciman quindi portano al cinema una storia che non è soltanto puro fuoco sessuale, ma è un rapporto amoroso a tutto tondo, dove la ricerca del contatto fisico è ricerca anche dell'”anima” dell’amato, di una fusione di due personalità capaci di crearsi un proprio spazio di corrispondenze sublimi. In particolare Elio, poi, tende al più grande Oliver perché ritiene che lui possa insegnargli qualcosa. Oltre che avere fiducia nelle sue capacità intellettuali (legge con curiosità gli scritti di ricerca universitaria di Oliver) in una scena in particolare lascia intendere il suo desiderio, il suo sostanziale non saper nulla delle cose che contano davvero di contro alla sua erudizione, ovvero di voler che l’uomo trasmetta la sua esperienza di tipo intimo. Un fatto che ha provocato discussioni è la differenza di età tra i due personaggi, motivo per cui è ancora più ragionevole l’attenzione di Guadagnino a non far sì che le scene di nudità scadessero nel puro intento di scandalo, ma rimanessero trattenute, e che fosse sempre evidenziata la natura consensuale dei loro rapporti, oltre che la profondità emotiva di essi. Si dà di nuovo adito a un altro parallelo, poiché l’omosessualità nella società greca non solo era vissuta come un impulso nella norma e anzi più che degno, ma era molto frequente che ci fossero relazioni tra uomini di età adulta e ragazzi in età ancora puberale. Notoriamente questo è un tema centrale anche del Simposio platonico. In esso un rapporto omosessuale di questo tipo nasce primariamente da un’amicizia destinata a durare, come accade in Chiamami col tuo nome, che culmina in amore a causa del desiderio dell’amante – identificato con l’individuo più giovane – di attingere al sapere dell’amato, contatto che appunto ad un primo passo avviene per un desiderio e una fusione di bei corpi, e che si sposta gradualmente verso la contemplazione della bellezza immateriale e per di più non soltanto risiedente in un solo individuo, ma in tutte le cose. Peraltro la sessualità dei due protagonisti è similmente fluida, libera: ad esempio Elio prova piacere sessuale sia con donne, sia con uomini, come accade anche nella società di Platone.

«Chiamami col tuo nome e io ti chiamerò col mio»

Foto: quartaparetepress.it

Senza legare eccessivamente un film lieve come Chiamami col tuo nome all’apparato teorico platonico, esso può essere di largo spunto per intendere un sentimento di primo amore sincero come un’iniziazione quasi misterica. Non è un caso di certo che la canzone originale candidata agli Academy Awards sia intitolata Mystery of Love. Elio non può prefigurarsi che l’estate del 1983 sarà così significativa per lui, tanto che l’arrivo di Oliver si può definire tranquillamente una folata di sensazioni crescenti e imprevedibili, che portano all’insorgenza di una sessualità fluida con una joie de vivre alla base. Il sentimento di Elio è anche un tempio di prime volte, primi tumulti e profondità svelate per la propria formazione personale e da cui si crea uno spartiacque tra prima e dopo. L’amore qui vissuto è anche un sentimento di co-appartenenza, che ridefinisce l’identità di chi vi è coinvolto: Oliver dice a Elio «chiamami col tuo nome e io ti chiamerò col mio». Ciò che si è nel presente, ad amore germogliato, ingloba la persona dell’amato in maniera pervasiva e diventa parte costitutiva di sé, tanto che Elio è Oliver e Oliver è Elio. Per quanto sia più sviluppato nel libro e soltanto accennato nel film, Oliver inoltre porta una collana con una stella di David, in segno di appartenenza alla religione e genìa ebrea. Aciman, esperto di Proust, pensava alla condivisione di questa caratteristica tra i due amanti in riferimento anche al riconoscimento dell’omosessualità in Sodoma e Gomorra, quarto volume di Alla ricerca del tempo perduto. È proprio lo scrittore a dire, come riportato da Tablet Magazine«They have one thing in common, and it’s very important. It’s their Jewishness. In other words, their Jewishness becomes their bond that’s already implicit. It is also a metaphor for the thing that is not revealed, and in this case, it is the metaphor for homosexual desire». Elio infatti, a una conoscenza più approfondita di Oliver, fa seguire una vicinanza più forte con la propria religione di origine, cominciando a portare la stessa collana e contemporaneamente l’identità dell’uomo che ama.

Tuttavia, se è un’esperienza colma di mistero, l’amore non può che portare dolore in una seconda faccia della medaglia, come dice il padre di Elio in uno splendido monologo della parte finale, non a torto amato da molti spettatori. Incorporando anche riferimenti al pensiero del pantha rei (tutto scorre), ma anche all’originale teoria di Eraclito di armonia tra forze contrarie, la fluidità con cui si accettano e si soddisfano i propri impulsi sessuali liberi si trasferisce all’accettazione più generale del flusso di sentimenti che comporta una storia d’amore così incisiva per la propria vita, al non respingere ciò che si prova per paura di soffrire, ma anzi, a lasciar sfogare la fiamma ancora accesa del dolore della separazione senza cercare di guarire anzitempo, soffocando le proprie emozioni. Così anche nel film di Guadagnino scorre il tempo dell’estate nelle sue piccole variazioni e ricorrenze, cangianza, scorre il fiume di sensazioni, a volte sussurrate, senza appariscenze clamorose, ma con vitale naturalezza. Si cattura una stagione personale nel suo fulgore destinato a riverberare nel ricordo per lunghissimo tempo. Tuttavia si coglie anche come ogni cosa non possa mai rimanere uguale a se stessa e sia soggetta, quindi, al divenire, con un sentimento di accettazione profondamente sorprendente.

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