Giovedì 1 febbraio l’agenzia europea Frontex, responsabile del controllo delle frontiere dell’Unione Europea, ha attivato una nuova operazione nel Mar Mediterraneo. Il suo nome è Themis e sostituisce l’operazione Triton, inaugurata il primo novembre del 2014. Le voci circolate su molti giornali italiani si sono concentrate sulla fine dell’obbligo per le navi delle operazioni Frontex di portare i migranti in Italia, facendo così diminuire il numero di arrivi. In realtà, la situazione non cambierà molto. Vediamo perché.
Cos’è l’operazione Themis
Dal nome della dea greca della giustizia, l’operazione Themis, avviata con un patto sottoscritto tra il Viminale e Frontex, ha l’obiettivo principale di assistere le autorità italiane nel controllo del Mediterraneo, incluse le attività di ricerca e soccorso. Tuttavia, se con l’operazione Triton i migranti recuperati sia nelle acque italiane che in quelle internazionali sotto la copertura delle operazioni navali di Frontex potevano essere sbarcati sempre in Italia, adesso devono essere riportati nel porto del Paese più sicuro, non necessariamente italiano. Di conseguenza, le autorità italiane sperano che anche gli altri paesi dell’Unione Europea, tra i quali Malta in primis, diano piena applicazione alle nuove regole. Inoltre, è stata estesa l’area di copertura dell’operazione alle aree del Mediterraneo centrale, attraversate dai flussi provenienti da Libia, Algeria, Tunisia, Egitto, Turchia e Albania. Paesi verso i quali in futuro potrebbero essere destinati anche i migranti, qualora risultassero i più vicini alle operazioni di salvataggio. Un’altra novità è data dal cambiamento della linea di pattugliamento delle unità navali italiane, che viene adesso posta a 24 miglia dalle coste nazionali, arretrando e riducendo la zona operativa di ricerca e soccorso dell’Italia, la cosiddetta area SAR (Search And Rescue), rispetto a quella attuale. In questo modo, al di là della linea torneranno a valere le leggi internazionali, senza l’obbligo di tenere i porti aperti a tutti i soccorsi. In pratica se i migranti saranno intercettati in acque internazionali, per esempio con mezzi spagnoli, francesi o maltesi, verrà valutato di volta in volta il porto più sicuro, e non necessariamente quello più vicino. Inoltre, rispetto a Triton la nuova missione avrà una nuova componente di sicurezza, che includerà la raccolta di intelligence e altre misure mirate a individuare i foreign fighters e altre minacce terroristiche ai confini esterni. Altri scopi di Thamis saranno la prevenzione nei confronti dei gruppi criminali o terroristici che cercano di entrare nel territorio dell’Ue di nascosto su piccole barche, i cosiddetti “sbarchi fantasma”, e il contrasto delle attività criminali come il traffico di droga attraverso il Mar Adriatico. Le attività di ricerca e di soccorso restano tuttavia il punto fondamentale del piano.
Perché non cambierà molto
Per prima cosa, bisogna sottolineare come già l’operazione Triton riguardasse solo una piccola parte degli sbarchi in Europa. Infatti, su 186.410 arrivi nel 2017, Triton ha contribuito al soccorso di circa 38.000 persone, poco più del 20%, in alcuni casi senza compiere l’operazione principale ma fornendo solo assistenza. Inoltre, nonostante le navi dell’operazione Themis non abbiano più l’obbligo di sbarcare i migranti in Italia, vi saranno obbligate dal diritto marittimo. Infatti, la convenzione di Amburgo del 1979, quella di Montego Bay del 1984 e altre norme successive sul soccorso marittimo, non derogabili da accordi bilaterali tra agenzie europee come Frontex e singoli governi, prevedono che le persone soccorse in mare debbano essere riportate nel primo porto sicuro, sia in termini di vicinanza geografica, sia dal punto di vista del rispetto dei diritti umani. E l’Italia è l’unico paese oltre alla Grecia (che si trova però geograficamente più lontana) a essere attrezzata per sbarchi di questo genere. Infatti contemplare la possibilità di un aiuto da parte di Malta, situata proprio nel tratto di mare fra la Libia e l’Italia, aiuterebbe poco la situazione. Oltre ai problemi circa la volontà del Paese di accogliere, Malta è comunque un’isola grande più o meno quanto la città di Genova, e le sue capacità di soccorrere e accogliere i migranti restano da verificare.
Salvatore Fachile, avvocato dell’Asgi, intervistato a Radio3 ha spiegato come le basi di questa nuova operazione non siano inoltre ben chiare, soprattutto in termini di diritti dei migranti e nella definizione degli obblighi e dei doveri dell’Italia sulle operazioni di soccorso in mare. Infatti, secondo lui, la riduzione del raggio di intervento italiano significa solo un maggior numero di persone non soccorse, dal momento che laddove non interviene la guardia costiera italiana è molto facile che aumenti il numero di persone che muoiono o che vengono soccorse forzatamente dai libici. Isabella Cooper, portavoce di Frontex, ha però specificato che la riduzione della zona operativa sarebbe avvenuta su richiesta delle autorità italiane. A rincarare i dubbi sull’efficacia dell’operazione vi sarebbe poi la posizione di chi sostiene che le attività di ricerca e soccorso debbano essere svolte nel più breve tempo possibile, a qualsiasi distanza dalla costa, soprattutto dal momento che in genere i gommoni che partono dalle coste libiche affondano molto prima delle 24 miglia di lontananza dalle coste italiane, se non sono soccorsi dalle ONG o intercettati e distrutti dalla guardia costiera libica – se così possiamo definirla. Inoltre, a queste conseguenze vanno aggiunte anche quelle derivanti dalla decisione di molte ONG di ritirarsi dopo la campagna di criminalizzazione lanciata alla fine del 2016.
Cosa dicono gli altri Paesi
Paesi dalle politiche ambigue, come quelli del Nord Africa, sono stati inclusi nella lista dell’area di azione di Themis, e quindi in teoria potrebbe esserci l’eventualità di un approdo nei loro porti con questa nuova missione, cosa che non poteva succedere invece con l’operazione Triton. Tuttavia, è stata smentita l’ipotesi che i migranti soccorsi da Themis vengano sbarcati in Paesi non europei come la Libia e la Tunisia, rendendo in pratica questo cambiamento poco effettivo. Infatti, la Tunisia ha già da tempo dichiarato di non essere disposta ad accogliere migranti vista la difficile situazione economica e sociale attraversata dal Paese, anche alla luce delle recenti proteste. Malta, nonostante abbia un’area SAR più estesa di quella italiana, si è sempre dimostrata restia all’accoglienza dei migranti e avrebbe già iniziato a protestare chiedendo all’Ue di rivedere la decisione. A largo della Libia, più volte condannata per le condizioni disumane riservate ai migranti nei centri di detenzione, rimarranno attive le navi delle ONG, quelle della missione europa EUNAVFOR MED e le imbarcazioni della Guardia Costiera Italiana. Inoltre, Tripoli non ha mai firmato la convezione di Ginevra, tanto da non riconoscere neanche lo status di rifugiato.
Un’operazione dalle conseguenze incerte e il numero di sbarchi che inizia a crescere, nonostante il calo iniziale, in seguito all’accordo siglato da Minniti con Tripoli. La cosa certa è che la nuova missione mantiene come priorità l’attività di ricerca e soccorso ma con le navi arretrate fino a 24 miglia dalle nostre coste. Il risultato di questo restringimento del campo di azione renderà più lungo l’intervento, soprattutto in periodo di emergenza, e soprattutto se si considera che difficilmente arriverà l’aiuto da parte di altri Stati, Malta in primis.