Lo scorso 5 febbraio Roma ha ospitato la visita diplomatica turca, breve ma molto intensa. Il presidente Recep Tayyip Erdogan si è recato prima a Città del Vaticano per il colloquio con Papa Francesco, poi ha incontrato anche il presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella e il premier Paolo Gentiloni.
L’incontro con il Santo Padre
Incontro storico, quello di Erdogan con il Pontefice: è il primo presidente turco in 59 anni a fare visita alla Santa Sede. Il colloquio con Papa Bergoglio e il cardinale Pietro Parolin è durato all’incirca 50 minuti con un’agenda molto fitta. Le premesse iniziali non erano delle migliori: in passato nel rapporto tra i due leader non erano mancate tensioni. Nel 2014 alcuni episodi avevano spinto le autorità turche a criticare aspramente le parole di Francesco sullo sterminio armeno e su altri temi, tanto che la Turchia aveva addirittura ritirato il proprio ambasciatore dalla Santa Sede. Questa volta, invece, Erdogan ha tenuto a ribadire l’importanza di mantenere un dialogo aperto con il pontefice. La discussione tra i due si svolge su un doppio binario, quello politico e quello religioso, essendosi Erdogan eretto a rappresentante dell’intera comunità mussulmana. L’incontro è stato blindato alla stampa, ma da quanto emerso da fonti della presidenza turca, si è parlato di diversi temi: del destino del Medio Oriente, di lotta al terrorismo, emergenza umanitaria Siriana e di islamobofia.
Tema caldo su cui il Sultano ha particolarmente fatto leva è stato quello della crisi sullo status di Gerusalemme. Erdogan ha parlato in qualità di presidente dell’Organizzazione per la Cooperazione islamica erigendosi a protettore della comunità mussulmana. Ha criticato aspramente il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele da parte del presidente americano Donald Trump. Ha tenuto a ribadire che nella vicenda israeliana la Turchia è sullo stesso fronte del papa nel difendere la Città Santa quale capitale dello stato di Palestina. Nonostante i toni si siano mantenuti amichevoli per l’intera durata dell’udienza, non sono mancati elementi di divergenza tra le parti. Sulla protezione delle minoranze cristiane e curde, sulla fine delle violenze in atto sui civili e sull’accoglienza dei profughi, la Santa Sede ha tenuto a ribadire la sua posizione a favore dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Secondo quanto riporta la stampa vaticana, il colloquio si è poi concluso con il consueto scambio di doni. Papa Francesco ha donato ad Erdogan un medaglione rappresentante un angelo della pace nell’atto di strangolare il demone della guerra; in cambio ha ricevuto delle ceramiche di Iznik rappresentanti una panoramica di Istanbul e alcuni libri di Rumi Mevlana, teologo mussulmano.
Gli incontri con le istituzioni italiane
Su ben altri toni si sono invece svolti gli incontri con le due cariche istituzionali italiane. Dopo essere stato a città del Vaticano, il presidente turco si è recato al Quirinale dal presidente Mattarella. La presidenza della Repubblica ha parlato di un colloquio «franco e rispettoso», dove sono state ribadite le posizioni dei due paesi sui principali temi attuali. L’Italia si è detta interessata a mantenere un dialogo aperto con Ankara e dei buoni rapporti bilaterali, ma, in linea con l’Unione Europea, rimane critica su alcuni temi. L’ultima tappa della giornata romana di Erdogan è stato Palazzo Chigi. Durante il colloquio con il premier Paolo Gentiloni si è parlato di economa e di diritti civili e i toni si sono mantenuti, allo stesso modo, freddi e diplomatici.
La visita di Erdogan in Italia è durata solamente 24 ore, ma è stata molto intensa. Le polemiche non sono certamente mancate, sia nel nostro paese, sia fuori dai confini. Il Sultano è mal visto dall’opinione pubblica del paese e dai partner europei, che gli rimproverano la deriva autoritaria della Turchia. L’Italia è l’unico paese Europeo ad aver ospitato il presidente turco dopo i raid portati avanti dalle forze turche nella regione siriana di Afrin. Nell’operazione militare nel Nord della Siria dello scorso gennaio sono morti numerosi combattenti e civili curdi; può essere considerata una vera e propria invasione del territorio di uno Stato sovrano. È inoltre emerso che la Turchia nel raid ha impiegato carri armati di fabbricazione tedesca ed elicotteri d’attacco prodotti con la collaborazione di varie aziende internazionali, tra cui anche l’italiana Leonardo (sotto il controllo del nostro governo, ex Finmeccanica). In Germania sono scoppiate numerose polemiche, sia tra le forze politiche, sia nell’opinione pubblica, che hanno indotto il governo tedesco a sospendere l’accordo con la Turchia per l’ammodernamento dei carri armati. In Italia, invece, la classe politica ha tentato di far passare inosservata la collaborazione della nostra industria bellica con le forze militari turche. Le critiche al pericolo dittatoriale, alle violazioni dei diritti umani e alla posizione ambigua della Turchia nella guerra in Siria sono state fin troppo flebili.
I rapporti con la Turchia
La verità è che la Turchia è uno stato chiave per l’assetto geopolitico dell’area Mediorientale: perdere completamente il controllo su di essa vorrebbe dire mettere a repentaglio quel precario equilibrio che i sta pian piano instaurando nella zona. Per quanto l’Unione Europea voglia fare la “voce grossa”, il paese guidato da Erdogan rimane fondamentale in termini politici ed economici. Innanzitutto, c’è il pericolo che Ankara stringa ancor di più i rapporti con Mosca, sia sul fronte siriano che su altri temi, ridisegnando gli assetti dell’area. Altro pericolo si presenta sul fronte caldo degli immigrati e dei richiedenti asilo. Un eventuale ritiro della Turchia dall’accordo sui migranti stipulato nel 2016 farebbe ripiombare l’Unione Europea nella stessa crisi migratoria che ha scosso gli equilibri dell’intero continente nell’estate del 2015. L’Italia, in particolar modo, ha un interesse diretto a mantenere in vita l’accordo, essendo uno dei paesi di confine in cui arriva un importante numero di immigrati.
In termini economici, è chiaro che il nostro paese sia particolarmente interessato a mantenere in vita rapporti amichevoli con la Turchia. Il presidente turco, terminate le visite istituzionali, si è infatti recato all’Hotel Excelsior di Via Veneto per una cena con gli amministratori delegati di grandi industrie italiane, tra cui Leonardo, Pirelli, Ferrero. Roma è il secondo partner economico di Ankara e perdere un mercato così grande sarebbe un danno enorme soprattutto per la nostra industria bellica. Sono, per giunta, in corso delle importanti trattative tra il governo di Ankara e un consorzio di industrie francoitaliano per lo sviluppo di un programma di difesa aerea e missilistica di nuova generazione. Erdogan era già stato a Parigi a inizio anno per discutere con il presidente francese Macron alcuni dettagli sui negoziati. Dopo l’operazione militare turca nella provincia di Afrin, l’accordo potrebbe subire un arresto, ma nessuna delle parti coinvolte avrebbe alcun interesse ad annullarlo.
Le proteste
La visita romana può essere considerata una vittoria per il presidente turco che, nonostante il clima di polemiche, si è visto riconosciuta una certa importanza. Non sono però mancate le voci di protesta. A partire dal sit-in organizzato dalla Rete Kurdistan Italiana, scesa in piazza a Roma, blindata per l’occasione, per manifestare contro Erdogan. L’Associazione nazionale magistrati, il Consiglio nazionale forense e la Federazione nazionale stampa italiana hanno poi inviato una lettera al presidente delle Repubblica Sergio Mattarella affinché sollevasse con il Sultano il tema della libertà di stampa, delle epurazioni e delle continue violazioni dei diritti umani in Turchia a danni di giornalisti, avvocati, giudici. Le associazioni di categoria e le ONG sono concordi sul fatto che non si possa ignorare lo stato semidittatoriale in cui versa la Turchia dopo il tentato golpe del 2016. Infine, una petizione di 25.000 firme chiede il rilascio di alcuni giornalisti ingiustamente incarcerati dal regime turco.
La poca apertura e fiducia di Erdogan nella stampa è dimostrata dal fatto che tutti gli incontri avvenuti a Roma sono stati blindati a giornalisti italiani e internazionali. A termine dei colloqui con le varie personalità non c’è stata nessuna conferenza stampa: le informazioni emerse dagli incontri sono state riportate da fonti interne alle parti coinvolte. Il problema della libertà di stampa e di opinione in Turchia rimane dunque fondamentale, nonostante piccoli segnali di apertura. Il presidente turco, proprio lo scorso 5 febbraio, ha permesso il rilascio di alcuni medici il cui arresto aveva indignato l’intera comunità internazionale. Un gesto troppo piccolo in confronto alle massicce epurazioni in corso nella penisola anatolica.
Nel clima italiano infuocato dalla campagna elettorale, poi, le opposizioni hanno colto l’occasione per criticare il governo per aver accettato la visita di Erdogan. Il segretario della Lega Nord Matteo Salvini, in difficoltà dopo i fatti interni di Macerata, ha definito una vergogna il fatto che «l’Italia ospiti il rappresentante di un regime estremista sanguinario». Voci polemiche si sono alzate anche dai partiti di estrema sinistra e dal Movimento 5 Stelle. In generale, comunque, si è cercato di far passare nel silenzio la visita del presidente turco. Né i media, né i politici, presi dai fatti interni e dalla campagna elettorale in corso, hanno dato troppa rilevanza a un evento che forse avrebbe meritato maggiore attenzione, date anche le voci contrarie del resto dei paesi Europei.