Le puntate precedenti:
1. Mama Africa – le origini africane del blues
2. Sinful Tunes: il blues afroamericano tra ribellione e rassegnazione
3. La Guerra di Secessione, il blues dall’emancipazione alla segregazione
4. Da che era Folk: come il blues divenne pop(ular)
Nello scorso articolo abbiamo lasciato la storia del blues in un punto molto delicato, cioè nel passaggio da una fase folk a una fase pop, un cambiamento che rifletteva quello della società americana dopo la Guerra di Secessione, in pieno sviluppo capitalistico. Negli anni seguenti alla morte di Robert Johnson, che abbiamo preso come punto di arrivo tra blues di matrice folk e quello di matrice pop, il blues fa un enorme balzo in avanti verso la città di Chicago, con il suo panorama industriale in pieno fermento e un’industria dell’intrattenimento in procinto di espandersi vertiginosamente.
Già Robert Johnson aveva cantato, nella sua Sweet Home Chicago, la città come la sede preferita dove divertirsi e suonare dei blues radicalmente diversi da quelli suonati fino ad allora. Tuttavia, il vero sviluppo di Chicago come capitale del blues sarebbe esploso solo a partire dal 1941, anno in cui Muddy Waters, da molti considerato il padre del Chicago style, iniziò la sua lunga carriera: tra la morte di Johnson (1938) e l’ascesa di Waters ci fu grande fermento a Chicago dal punto di vista musicale, cosa che appare quasi contraddittoria visto che proprio nel 1941 gli Stati Uniti entreranno nella Seconda Guerra Mondiale contro le potenze dell’Asse.
Uno degli elementi determinanti ai fini della nascita del Chicago blues fu sicuramente la rivoluzione tecnologica portata dai primi pickup per chitarra. Non a caso i primi artisti a servirsene sono stati tutti afroamericani, distribuiti (dal punto di vista musicale) nell’area del Chicago blues e del jazz, che al tempo andava sviluppandosi sempre più come genere diametralmente opposto al blues. Per capire la portata di questa rivoluzione tecnologica e musicale insieme, bastano le parole di Charlie Christian, chitarrista jazz morto proprio negli anni in cui le sue parole sarebbero diventate un esempio per i suoi colleghi bluesman di Chicago: «Chitarristi, svegliatevi e pizzicate quelle corde, fate sentire che suonate!». Christian intendeva riferirsi alle possibilità offerte dai nuovi sistemi di amplificazione, che resero la chitarra uno strumento protagonista e non più di semplice accompagnamento.
Un secondo punto di riferimento per i futuri bluesman di Chicago fu Charley Patton, un chitarrista contemporaneo di Robert Johnson. Patton può essere considerato una figura in antitesi con Johnson e le sue canzoni costituiscono un corpus di musica largamente diffuso e popular, tuttavia sulla sua figura non gravano leggende come per la figura di Robert Johnson. Al contrario, Patton sembra aver ispirato molti suoi successori di persona, dopo averli incontrati. Howlin’ Wolf, uno dei protagonisti della stagione del Chicago blues, riferisce che per lui e i suoi contemporanei fu Patton il vero riferimento, tanto da considerarlo quasi un mentore. Al contrario, Robert Johnson all’epoca non godeva di una fama ispiratrice come oggi, soprattutto presso i musicisti neri, che a Chicago si affacciavano per la prima volta a una vita musicale diversa da quella del classico bluesman ramingo.
Il maggior debito dei protagonisti del Chicago blues nei confronti di Patton risiede nello stile tenuto sul palco più che negli elementi prettamente musicali del suo stile: infatti Patton era famoso per le sue esibizioni al limite dell’istrionico, basate su balli frenetici, numeri da circo e altri espedienti che con la sua musica contribuivano a fissare nella mente dell’audience l’immagine di un nuovo tipo di bluesman, corrispondente per molti versi a quella di ogni artista che (anche oggi) voglia calcare con successo i palchi dello show business.
Già da questo vediamo una contrapposizione tra il modello incarnato da Robert Johnson e quello introdotto da Charley Patton: per Johnson il blues era stato – come per generazioni di artisti prima di lui – un espediente per vivere alla giornata, in balìa degli eventi, senza una sistemazione stabile. A riprova di questo ricordiamo che Johnson era ritenuto più un fenomeno da baraccone, e con un’aura di misticismo dovuta più all’insistenza con cui faceva passare il suo messaggio che non a una preparazione artistica come la intendiamo oggi. D’altra parte va comunque specificato che, se Johnson è riuscito a costruire uno storytelling efficace, gli vanno riconosciuti altri meriti attinenti più alla sfera delle sue personali predisposizioni come cantastorie.
I primi eredi di queste novità furono senza dubbio Muddy Waters e, al polo opposto, Howlin’ Wolf. Definire il loro blues risulta impossibile per il semplice fatto che, pur essendo entrambi dei veri e propri padrini del Chicago blues dal punto di vista musicale e performativo, sul piano contenutistico furono agli antipodi.
Il blues di Waters è sempre stato molto più apertamente elettrico di quello del suo collega, tanto che gli appassionati ricordano Muddy Waters con in braccio la sua Fender Telecaster bordeaux e non con una chitarra resofonica amplificata da un rudimentale pickup, come avviene per Howlin’ Wolf.
A livello più strettamente musicale c’è un’altra differenza tra i due padrini del Chicago blues, questa volta per quanto riguarda gli ensemble da loro usati: teniamo conto che il Chicago blues fu essenzialmente il blues di un bluesman con una band, al contrario dei bluesman solitari delle generazioni precedenti. Da una parte Muddy Waters non si faceva troppi problemi a collaborare con ensemble di quattro o cinque musicisti anche nelle fasi iniziali della sua carriera, andando man mano verso degli ensemble di tipo quasi orchestrale negli anni di massima fama. Sul lato opposto, Howlin’ Wolf non è noto per aver suonato con ensemble comprendenti più di quattro o cinque membri. Questa differenza, che sembra essere di natura semplicemente stilistica, in realtà ha un’origine più sociale che musicale: infatti la differenza più importante tra i due Chicago bluesman è stata l’audience di riferimento. Per l’uno (Waters) si trattò di una fetta di bianchi e afroamericani di condizione stabile dal punto di vista economico, non di persone provenienti dalla Chicago ricca o dalla middle class di Chicago ovviamente. L’altro (Wolf) ebbe come pubblico abituale (prima di un discreto successo) una parte di Chicago in cui figuravano anche criminali di ogni sorta.
Questa differenza di audience andò a esprimersi anche sul piano contenutistico del repertorio dei due di Chicago: infatti i due musicisti, pur facendo uso di quell’ironia tipica dei bluesman ed ereditata dal Chicago blues, sostanzialmente prendono in giro ambienti radicalmente diversi. Muddy Waters attaccava la Chicago per bene, quella parte di Chicago che probabilmente sarebbe andata a vedere i suoi spettacoli qualche anno più tardi, ed ebbe sempre maggior fortuna di Howlin’ Wolf dal punto di vista degli ingaggi live. Il suo ambiente di riferimento fu sempre quello dei posti “perbene”, seppur si trattasse di posti “perbene” in ambiente afroamericano, quindi sempre parte della Chicago povera. Howlin’ Wolf viaggiava su temi totalmente opposti: se Waters prendeva in giro i figli della Chicago perbene e i fannulloni della classe piccolo-borghese, Howlin’ Wolf includeva nelle sue canzoni attacchi a prostitute e criminali di ogni sorta, spesso includendoli in storie di esperienze personali purtroppo non verificabili.
Questo modo diverso di intendere la quotidianità è forse ciò che allarga a dismisura il solco tra i due: per Waters la quotidianità della sua Chicago non doveva essere raccontata in prima persona, pena il poco coinvolgimento del pubblico, che nel suo caso era di stampo pop. Per Wolf la quotidianità deve essere raccontata in prima persona perché facendo il contrario avrebbe perso in termini di realismo: la Chicago di Wolf è cantata costruendo storie (veritiere o meno, ma sempre verosimili) che possono coinvolgere il suo pubblico in quanto oggetto di avvenimenti comuni, ma che danno al pubblico sempre l’idea che dietro alle parole l’autore sia totalmente a nudo. Un esempio può essere la famosa Spoonful, ripresa da un precedente blues di Charley Patton, in cui Wolf narra le sue disavventure con una prostituta.
I contenuti molto diversi dei due padrini del Chicago blues non devono stupire più di tanto: la Chicago dell’era d’oro del blues non era omogenea come lo è ai giorni nostri. Ai tempi dei primi vagiti del Chicago blues, la città era presa da un fermento industriale che si tradusse presto in grandi cambiamenti sociali. A scuotere ancor di più la situazione contribuì l’entrata degli Stati Uniti nella Seconda Guerra Mondiale al fianco degli Alleati. In questo clima Chicago vide le spaccature sociali acuirsi, e così da una parte abbiamo Muddy Waters che prende in giro la nuova classe “industriale” e piccolo-borghese, dall’altra abbiamo Howlin’ Wolf che parla delle sue disavventure.
Nonostante questa divergenza contenutistica (e di pubblico), i due padrini del Chicago blues avevano in comune l’unica cosa che allora importasse: erano entrambi afroamericani in una Chicago e in un paese che dopo oltre settant’anni dalla Secessione ancora faceva fatica a percepire gli afroamericani come parte integrante della loro società e non come degli schiavi liberati. È importante sottolineare questo aspetto perché conferma ancora una volta che pur avendo un pubblico molto più ampio, il blues era ancora “musica da neri”. Questo a conferma del fatto che il blues stava ancora andando nella direzione verso cui si muovevano le istanze culturali degli afroamericani, ma non sarebbe stato così a lungo: gli artisti che avrebbero reso Chicago una capitale musicale degli Stati Uniti sarebbero caduti nel dimenticatoio a partire proprio dal momento in cui gli afroamericani cominciarono a lottare per i loro diritti civili.
La stagione del Chicago blues è forse quella più ricca di spunti da approfondire. Per farsi un’idea di cosa volesse dire essere un bluesman nel posto giusto al momento giusto, sono utili le biografie dei due artisti citati nell’articolo: Muddy Waters e Howlin’ Wolf, rispettivamente con Can’t Be Satisfied: The Life and Times of Muddy Waters e Moanin’ at Midnight: The Life and Times of Howlin’ Wolf. Oltre a questi due testi, uno che risulta indispensabile per capire come si presentasse Chicago prima e dopo l’esplosione del Chicago blues può essere utile Music Publishing in Chicago Before 1871 di Dena J. Epstein.
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