Il conflitto civile siriano prosegue nonostante l’ormai sempre più esigua presenza (autonoma) dello Stato Islamico: è proprio la progressiva ritirata dell’organizzazione jihadista che sta aumentando le occasioni di contatto tra le forze lealiste e coloro i quali non riconoscono più l’autorità di Damasco (una galassia che va dai curdi alle forze di autodifesa e via dicendo) e che compongono le SDF (Syrian Democratic Forces), ormai principale forza di opposizione al regime di Assad dopo che il Free Syrian Army è stato “dirottato” in parte da Ankara e in parte dalle sigle estremiste che ne facevano parte. La Siria è ora diventata teatro di un conflitto per procura tra Russia e Stati Uniti, con Mosca impegnata a difendere l’integrità territoriale di Damasco attraverso la cessione di risorse e la presenza dei propri consulenti militari in loco, e Washington occupata nella trasmissione di risorse e training all’SDF.
Queste circostanze provocano inevitabilmente una vicinanza decisamente pericolosa tra due forze che hanno interessi confliggenti e che danno luogo a scontri di varia entità in cui, de facto, gli effettivi di Russia e Stati Uniti giungono a fissazione. Un avvenimento del genere si è verificato nel corso della scorsa settimana presso Deir ez Zor: la città è stata liberata dallo Stato Islamico già nei mesi scorsi, ma alcune zone nei dintorni sono ancora occupate dagli estremisti, la cui ritirata lascia spesso delle zone annoverabili come res nullius e verso cui i vari attori in gioco si precipitano per occupare un pezzo di terra in più dell’avversario.
Il 7 febbraio un gruppo di mercenari affiliati alla compagnia CVK Wagner è stato bombardato dagli aerei statunitensi mentre stava cercando di prendere la sommità della collina di Khsham, a ridosso dell’Eufrate, dove è situato l’impianto di produzione gassifero di El Isba. Il pentagono ha riferito di aver avvertito dell’imminente raid il centro di deescalation di Amman, in Giordania, esattamente come era stato fatto prima dell’attacco della scorsa primavera alla base siriana da cui partirono gli attacchi al Sarin su Khan Sheykhoun, dando modo e tempi per evacuare la zona. Le fonti sono discordanti sul numero dei morti tra le fila dei mercenari: la portavoce del Ministero degli Esteri Maria Zacharova ha detto che 5 cittadini russi sono morti nello scontro, ma si trovavano in Siria e agivano senza alcun coordinamento o benestare dell’apparato militare russo. La cifra, nelle conferenze stampa successive è stata corretta a 11. I feriti sono stati aviotrasportati in quattro ospedali divisi tra San Pietroburgo e Mosca a bordo di aerei cargo attrezzati per poter gestire quattro casi di terapia intensiva contemporaneamente. La Reuters, citando fonti mediche vicine al Cremlino, parla di oltre 300 tra morti e feriti. Il ministero della difesa russo ha immediatamente precisato che non è al corrente delle attività della CVK Wagner in Siria.
La colonna di combattenti era formata complessivamente da 550 effettivi, la maggior parte dei quali appartenenti alla CVK Wagner: la sigla all’inizio del nome sta per Chastnaja Voennaja Kompanija, Compagnia Militare Privata. La società è stata fondata nel 2014 da un Dmitri Utkin, ex comandante di brigata dei reparti Spetsnaz, le forze speciali dell’esercito russo. Il militare si ritirò dall’esercito nel 2013 per iniziare a lavorare, l’anno seguente, presso la Moran Security Group. Più tardi, nel corso dello stesso anno, gli viene affidata anche la direzione della Slavonic Corps, una controllata della Moran con il compito di proteggere i campi gassiferi e petroliferi in Siria, compito che svolgerà con scarso successo. Tra il 2014 e il 2015 la Slavonic cambia nome e assume il nom de guerre del suo leader: Wagner, in ossequio al compositore preferito di Adolf Hitler.
L’esordio della compagnia avviene in Crimea durante la crisi del 2014 in un blitz contro i regolari ucraini prima del referendum. L’anno successivo in Siria la Wagner è nuovamente protagonista con l’offensiva a protezione della base navale russa di Laodicea, mentre in seguito i suoi effettivi si distingueranno per un elevato numero di missioni in contesti come quello della riconquista di Palmira, nell’offensiva su Hama e nell’attacco a Deir El Zor. Al di fuori del contesto siriano, la Wagner è intervenuta anche in diversi contesti africani come quello sudanese. In questi anni la compagnia ha sempre ingaggiato ex personale dell’esercito russo di un’età compresa tra i 35 e i 55 anni (quindi per la maggior parte reduci da contesti bellici come quello ceceno o medio orientale) che percepiscono uno stipendio compreso tra gli 80.000 e i 250.000 rubli (tra i 1.000 e i 3.000 Euro). La società possiede un campo di addestramento situato poco fuori Krasnodar e la maggior parte dei suoi uffici sono situati a San Pietroburgo. Arrivate al centro di addestramento le reclute non possono più usare internet per un mese e devono firmare un patto di segretezza della durata di 10 anni. I documenti e i passaporti vengono consegnati e posti sotto custodia, mentre al nuovo operatore viene consegnata una medaglietta con il nome e la matricola.
La Wagner è una società legata a doppio filo a determinati membri dell’oligarchia russa: il legame più forte è probabilmente quello con Yevgeni Prigozhin, magnate della ristorazione e indicato come uomo molto vicino al presidente Putin, il quale è stato accusato dagli statunitensi di aver partecipato ai brogli che avrebbero inficiato la validità del voto presidenziale americano del 2016. Prigozhin è anche molto vicino alla Evro Polis, compagnia che gestisce l’estrazione di materie prime energetiche attualmente impegnata nella gestione di alcuni giacimenti in Siria. Date le circostanze che avvolgono le azioni della Wagner è anche impensabile che queste avvengano senza un beneplacito da parte del Ministero della Difesa russo. La compagnia, infatti, con l’andar del tempo sta assumendo sempre più i toni di un agente a cui il Cremlino affida determinate operazioni che potrebbero comprometterne la posizione a livello internazionale.
Per quanto concerne l’attacco statunitense, sono piovute immediate critiche da parte del governo di Assad, che lo considera un crimine di guerra, Il ministro degli Esteri siriano ha inviato una lettera alle Nazioni Unite denunciando l’azione volta, secondo Damasco, a stabilire delle basi permanenti all’interno del paese. La Wagner aveva stretto degli accordi con la Evro Polis al fine di proteggere i giacimenti di El-Isba per conto del governo siriano che ne aveva affidato la gestione alla Russia. Tale gestione è stata concordata sulla base di un memorandum sottoscritto da entrambi i ministeri competenti, nullo ai fini legali in quanto non supportato da una legge vera e propria. L’esistenza del patto non è mai stata commentata da Mosca in quanto legata al segreto sia di stato che aziendale della singola compagnia di estrazione.
I primi contraccolpi di quest’azione iniziano ad arrivare anche in Russia: la settimana successiva all’attacco, il portavoce del Cremlino Dimitrij Peskov ha annunciato l’annullamento di tutti gli impegni del presidente Putin a causa di un raffreddore e ha riaffermato il non coinvolgimento del Cremlino in merito alla sorte o alle azioni intraprese dagli effettivi della Wagner. Nonostante il tentativo di insabbiamento delle perdite da parte di Mosca, parte della stampa russa ha confermato la presenza di russi nella colonna attaccata dall’aviazione statunitense: anche la Novaja Gazeta cita fonti mediche e il CIT (Conflict Intelligence Team) che nasce come organo di informazione sulle attività russe nell’Ucraina orientale.
Sebbene le mani di Putin siano già salde sul seggio presidenziale, anche grazie a un’opera certosina di marginalizzazione dell’opposizione, le bare contenenti i propri connazionali che ritornano in patria dopo essere morti in operazioni “fumose” non fanno mai bene al consenso elettorale. La situazione in Siria, per contro, sembra stare diventando sempre più calda, avendo portato due potenze nucleari (Stati Uniti e Russia) a fissazione per la prima volta dalla fine della Guerra Fredda. Sul paese gravano ormai troppe linee da non oltrepassare interposte da troppi attori, che hanno avuto gioco facile nel poterle porre grazie al vuoto di potere lasciato sia dallo Stato Islamico ma anche dallo stesso Assad, che ha consentito a Russi e Iraniani di impadronirsi di buona parte del paese suscitando le ire del rivale supremo di Teheran, ovvero Israele, il quale negli ultimi tempi sta assumendo un peso sempre maggiore nel conflitto.
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