Ci sono momenti della politica in cui, per il bene e la salute del proprio partito, i “dissidenti” farebbero bene a prendersi i famosi “dieci secondi” prima di parlare, qualora siano interessati più alla maggior gloria della loro formazione politica (o, più banalmente, a vincere le elezioni) rispetto alla gloria personale. Michele Emiliano, come pare evidente dalle sue recenti dichiarazioni, non deve aver interiorizzato molto bene né il suddetto principio, né la sonora scoppola (69% a 11%) patita poco meno di un anno fa alle primarie del Partito Democratico, quando venne sconfitto nettamente dall’attuale segretario PD Matteo Renzi dopo una campagna per la segreteria che aveva visto il Presidente della regione Puglia arrivare addirittura a un clamoroso dietro front sul caso TAP pur di racimolare qualche votarello in più, senza peraltro ottenere granché da questa operazione grillino-populista. Ecco, si diceva, grillino-populista: ieri come allora il buon Emiliano sembra strizzare l’occhio alle simpatie degli elettori della formazione pentastellata, e le sue dichiarazioni a Telenorba (un’emittente locale pugliese) sembrano andare proprio in questa direzione:
«Se il PD non dovesse essere il primo partito e l’incarico dovesse essere dato al Movimento 5 Stelle, perché ad altre ipotesi non voglio neanche pensare, siccome sarà un governo di emergenza perché nessuno avrà la maggioranza assoluta bisognerà far in modo che il gruppo parlamentare che riceverà l’incarico poi possa formare un governo. Lo dico in modo ancora più chiaro: se il Presidente Mattarella dovesse dare l’incarico a Di Maio, io farò ogni sforzo perché il PD sostenga il M5S nella formazione del governo».
Tralasciando il fatto che, quando fu proposto ai 5 stelle di partecipare alla formazione di un esecutivo “di emergenza” (alle elezioni politiche del 2013) in quanto seconda forza politica per numero di parlamentari, questi rifiutarono sdegnosamente l’offerta PD, parlare di situazione di emergenza sembra una affermazione piuttosto iperbolica e affrettata: il Presidente della Repubblica, prima di dare l’incarico a una qualsivoglia formazione politica, solitamente ha la convinzione che detta forza politica possa avere ragionevoli possibilità di ottenere la fiducia dalle Camere, e per assicurarsene si passa attraverso un periodo più o meno lungo di consultazioni con tutte i vari leader dei partiti eletti da noi cittadini. Se proprio non si riuscisse a formare un governo solido, il ritorno alle urne potrebbe in extrema ratio rimescolare le carte in tavola. In caso lo statista napoletano non riuscisse a ottenere i numeri per governare, piuttosto che allearsi con lui (e consegnare di fatto il timone del paese a una formazione politica dai discutibili meriti e dalle ancor più discutibili competenze, generando sì in questo mondo un’emergenza!) si potrebbe cercare un altro tipo di alleanza con le altre forze politiche, con le quali in linea teorica si dovrebbe ugualmente arrivare a un numero di parlamentari sufficienti a garantire la fiducia a un ennesimo governo di coalizione, facendo così fronte alla “crisi” paventata da Emiliano senza doversi affidare alla guida dei cinque stelle. D’altro canto, è difficile ipotizzare che i grillini possano essere interessati a una intesa con i democratici o con chiunque altro, visto e considerato che per anni hanno proclamato ripetutamente di voler governare da soli, senza inciuci, dimostrando così peraltro la loro totale mancanza di comprensione della natura compromissoria della politica; va però detto che i “ragazzi meravigliosi” non hanno mancato in questi cinque anni di legislatura di sorprendere tutti con i loro repentini cambi di opinione, per cui nessuna ipotesi sarebbe da scartare.
Un pratico esempio di coerenza a cinque stelle.
Qualcosa di condivisibile però è emerso da questa intervista: «Ho l’impressione che […] otterremmo qualche punto in più se Renzi indicasse già adesso Gentiloni come la persona che deve guidare questa traversata nel deserto nell’eventualità in cui il PD […] riceva l’incarico dal Presidente». Il punto di Emiliano sembra essere corretto, almeno secondo alcuni sondaggi che vedono il premier uscente Gentiloni come molto gradito e come figura quasi trasversalmente apprezzata fra le forze politiche non antisistema, diversamente da Renzi. Tuttavia candidare apertamente il nobile di Filottrano come leader di coalizione potrebbe essere per varie ragioni una mossa potenzialmente suicida da parte del PD. In primo luogo va sottolineato come da statuto sia il segretario del partito, che peraltro ha ricevuto un supporto non indifferente dagli iscritti – e quindi dai potenziali votanti -, a dover correre come candidato presidente alle elezioni. Inoltre Gentiloni non ha il carisma comunicativo dell’ex sindaco di Firenze, e candidarlo già da ora come premier in caso di vittoria sarebbe una ammissione implicita di una non vittoria già scritta: mentre l’ambizione (almeno a parole) del segretario dem è quella di governare da soli e il modo di porsi è quello del “noi contro tutti” l’ex ministro degli Affari Esteri incarna la classica figura da “larghe intese”, che sembra essere poco appetibile per chi voglia compiere una scelta netta nel segreto dell’urna (il disastroso risultato di Scelta Civica alle consultazioni del 2013 ha fatto scuola in questo senso).
La sparata di Emiliano, infelice sia per tempistica che contenuti, ricorda molto un vecchio proverbio: «Meglio tacere e passare per stupidi che aprire la bocca e dissipare ogni dubbio».
Ecco, forse era meglio tacere.
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