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Milan Kundera e il confine tra realtà e sogno

Published by
Bianca Giacalone

Milan Kundera è uno scrittore ormai in età avanzata quando viene pubblicato nel 1997 uno dei suoi ultimi libri dal titolo L’identità, in Italia edito da Adelphi. È già noto per aver pubblicato altri romanzi, come L’insostenibile leggerezza dell’essere, che ha avuto un enorme successo. La vita di Kundera presenta un passato fortemente influenzato dalla politica: inizialmente, nel 1948 si iscrive al partito comunista. In quegli anni scrive alcune raccolte di racconti e con una in particolare, Amori ridicoli (1963), ottiene maggior successo. Negli anni Sessanta debutta come drammaturgo e nel 1967 pubblica il suo primo romanzo Lo scherzo. Successivamente, poiché era a favore della concessione ai cittadini cecoslovacchi di maggiori diritti e libertà, decide di schierarsi in favore della Primavera di Praga nel 1968, e dunque contro il partito comunista. Per questo, viene costretto a lasciare il suo posto da docente e si trasferisce in Francia, dove continua a insegnare lettere e viene insignito della cittadinanza francese. Le sue opere sono state vietate in Cecoslovacchia fino alla caduta del regime filo-sovietico, infatti tutti i suoi recenti romanzi, compreso L’identità, sono stati pubblicati in francese. Tutt’ora vive e lavora in Francia.

Milan Kundera.

Kundera contro il regime totalitario

I suoi romanzi rispecchiano il passato politico di Kundera e anche ne L’identità si può notare lo sguardo critico dell’autore nei confronti della dittatura. In questo caso, essa è analizzata per quanto riguarda le ripercussioni sulla sfera individuale e soggettiva: la protagonista, Chantal, capisce che nella società odierna non si può avere intimità dopo che il suo datore di lavoro le ha detto che è stata filmata interamente la vita di un feto dentro l’utero.

«Uno non è al sicuro nemmeno nel ventre, cosiddetto sacro, della propria madre. Ti filmano, ti spiano, ti osservano […]. Da vivo non sfuggirai di sicuro alle loro grinfie, questo lo sappiamo tutti. Ma neanche prima della tua nascita ci riuscirai, e neanche quando sarai morto. […] E la storia di Einstein, che aveva lasciato precise disposizioni testamentarie per essere cremato? Gli hanno obbedito, ma prima della cremazione un suo fedele devoto e discepolo, incapace di vivere senza lo sguardo del maestro, ha prelevato gli occhi dal cadavere e li ha messi in una bottiglia piena di alcol perché potessero fissarlo fino al giorno in cui anche lui fosse morto».

Inoltre, nel romanzo Chantal riceve alcune lettere da un ammiratore segreto: inizialmente lei si sente lusingata e affascinata e cerca in tutti i modi di trovarne l’autore. Il suo umore cambia, cambia il suo modo di vedersi e di vedere gli uomini (chiunque potrebbe essere il suo ammiratore segreto, dal suo vicino di casa al mendicante sotto il platano), si sente meglio con sé stessa e arrossisce agli sguardi come un’adolescente. Presto capisce però che ha preso un abbaglio, si sente esaminata, manipolata e addirittura derisa da un osservatore ignoto che le fa fare ciò che vuole, è in balia di qualcuno che non conosce (o forse sì?) e che controlla la sua vita. Chantal si sente inevitabilmente violata. È così che Kundera ci descrive ciò che di peggio c’è nella dittatura: l’individuo manipolato non riesce a formulare un proprio pensiero perché è continuamente influenzato da qualcuno che lo osserva dall’alto e che lo porta a vivere in base alle sue regole, sul filo delle sue idee.

Il romanzo dell’equivoco e il dualismo corpo-identità

L’identità è un romanzo polifonico, in cui si alternano in modo bilanciato due diversi punti di vista, quello di Chantal e quello di Jean-Marc: i due sono compagni di vita. Il ritmo dato dal romanzo è proprio quello del susseguirsi dei due punti di vista, dai quali possiamo vedere due diverse realtà e nei quali conosciamo profondamente, fin dentro il subconscio, le identità dei personaggi. Ma cosa spinge Kundera a scrivere questo libro? L’anno in cui veniva redatto, Kundera aveva pubblicato un saggio sulle opere del pittore Francis Bacon come introduzione a un catalogo, in cui scrive:

«I ritratti di Bacon sono un’interrogazione sui limiti dell’io. Fino a quale grado di distorsione un individuo resta ancora sé stesso? Fino a quale grado di distorsione un essere amato resta ancora un essere amato? Dov’è la frontiera, al di là della quale un “io” cessa di essere un “io”?».

Tre studi per un autoritratto di Francis Bacon.

Ed è proprio da qui che è partita la sua riflessione, il suo viaggio alla ricerca di una risposta che farà compiere ai suoi personaggi. Bacon, infatti, mostra sulla tela gli aspetti più nascosti dell’animo umano, trasferendoli ed esternandoli in sembianze che di umano non hanno quasi più niente: i corpi che dipinge sono deformati, mutilati e appaiono distorti.

Kundera osserva soprattutto i quadri di Bacon intitolati Studi sul corpo umano e si rende conto che al di là di ogni aspirazione, ogni sogno, ogni illusione, l’uomo è il proprio corpo. L’identità dell’uomo è intrappolata nel corpo. Questo è uno dei temi portanti del romanzo: il dualismo identità-corpo. Nel libro il corpo viene descritto come qualcosa di negativo, quasi come una macchina imperfetta che è in continuo contrasto con il concetto di identità. Per esempio, in uno dei primi capitoli del libro, Jean Marc incontra un suo vecchio amico del liceo, morente. I due cominciano a parlare e l’amico gli ricorda di come all’epoca del liceo fosse convinto che un bel corpo non servisse ad altro che a produrre secrezioni. Jean-Marc era d’accordo, tanto che gli avrebbe risposto che gli bastava vedere una ragazza sbattere gli occhi per provare disgusto. Ma questo Jean-Marc non lo ricorda e si mette a riflettere su ciò che l’amico gli ha detto.

Studi sul corpo umano di Francis Bacon.

Guardando la sua amata Chantal e il modo con cui sbatte le palpebre, si accorge che la sua anima è intrappolata là dentro, dietro a quegli occhi che hanno il continuo bisogno di essere puliti. Ma c’è qualcosa che cambia nella sua concezione: Jean-Marc vede il corpo sotto una luce diversa da quando è innamorato di Chantal. E si ricorda di quando l’ha conosciuta: lei è diventata tutta rossa, dalla faccia fino al décolleté. Questo è un ricordo del loro amore. Allora forse Jean-Marc non si vuole più soffermare sull’imperfezione del corpo, ma, attraverso gli occhi ciechi di un amante, guarda il corpo come qualcosa di tutt’uno con l’identità dell’amata ed è terrorizzato al pensiero di non riconoscerlo, come gli successe:

«Adesso che la vedeva di profilo Jean-Marc si rese conto che quello che aveva preso per lo chignon di Chantal era un foulard annodato intorno alla testa; e a man a mano che lei si avvicinava […], quella donna che aveva scambiato per Chantal diventava vecchia, brutta – e beffardamente diversa. […] è dunque così irrilevante la differenza tra lei e le altre? Com’è possibile che lui non sia capace di riconoscere la figura dell’essere che ama più di ogni altro, dell’essere che considera impareggiabile?»

Il romanzo è anche costruito su una serie di equivoci. Quello di Jean-Marc che scambia Chantal per un’altra ne è un esempio. Ma tutto inizia quando Jean-Marc si finge un ammiratore di Chantal e le invia delle lettere: da lì le identità dei due personaggi iniziano a cambiare, prendono altre forme. Jean-Marc diventa il compagno, l’amante e il traditore e Chantal cade nel gioco della seduzione attraverso quelle lettere. Poi tutto si mescola ed è come essere entrati in una sorta di subconscio buio e profondo in cui non si riesce a capire quale sia il limite tra la realtà e il sogno. Forse questo limite non esiste in assoluto e il lettore si chiede quando sia iniziato il sogno e dove è finita la realtà.

«Ma le ha poi mandate davvero, quelle lettere? O le ha scritte solo nella sua immaginazione? In quale preciso momento il reale si è trasformato in irreale, la realtà in fantasia? Dov’era la frontiera? La frontiera, dov’è?»

Ciò descrive perfettamente i mutamenti dell’identità, che non è mai stabile, non è subalterna ad alcune regole, ma cambia e si modifica, è in continuo movimento. All’identità appartengono sia la realtà che il sogno ed è impossibile scindere questi due aspetti. Kundera ha scritto un libro introspettivo e profondo, ha scritto un libro sull’essere umano che si interroga costantemente sulla propria identità e sul proprio io. Pietro Citati, in un articolo pubblicato su Repubblica nel 1997, ci dice a proposito del romanzo:

«Di questo ultimo libro, intiepidito dalla luce rosea della vecchiaia, posso dire soltanto una parola: è perfetto. Non c’è personaggio, episodio, immagine, parola, spazio bianco, virgola: non c’è luogo dell’incantevole intreccio che sia segnato da una minima ombra. Nessuno scrittore, oggi, ha l’eleganza di Kundera: la sua naturalezza; il suo tocco delicato e sovrano».

L’identità è un romanzo puramente introspettivo, in cui si alternano sogno e realtà, corporalità e pensieri, due visioni differenti della vita. Kundera, in questo romanzo, infonde sicuramente tutta la sua saggezza e la sua esperienza da scrittore navigato. È un libro che pone delle domande, non solo ai personaggi, ma anche al lettore stesso che si immedesima in loro e non riesce a trovare più il confine tra realtà e immaginazione. E più si guarda indietro, meno riesce a trovare il filo che lo ha portato direttamente a quella fine. Kundera scava a fondo nella mente dei personaggi e ciò che trova è spesso l’equivoco, l’amore e il disgusto per il corpo e per la fisicità e più scava, più si addentra verso un inconscio che ha la forma del sogno.

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Bianca Giacalone

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