Mercoledì 14 febbraio è stata finalmente approvata, dopo cinque anni di discussione, una legge contro la violenza sulle donne, per proteggere a livello giuridico le donne vittime di questi episodi. Nonostante ciò, i movimenti femministi giudicano tale mossa ancora insufficiente per sconfiggere il problema e superare il peso delle tradizioni che ostacolano l’uguaglianza di genere nel Paese.
Il Marocco è un Paese del Maghreb, a maggioranza musulmana, ex protettorato francese, governato dal re Mohammed VI, diciottesimo sovrano della dinastia di sceicchi alawide, che reclama la discendenza diretta dal Profeta Maometto. Il regno si vanta di essere promotore di un Islam più moderato, dove gli atti di estremismo sono rari, e dove, sul piano dei diritti, la donna è in una posizione più avanzata rispetto ad altri Paesi musulmani. Tuttavia, il codice penale e quello della famiglia, la Mudawwana, riformato nel 2004, continuano a mantenere dei principi che favoriscono gli uomini e limitano la libertà delle donne, come il riconoscimento, a livello legale, del capofamiglia nella figura paterna e l’affidamento automatico della custodia dei figli al padre in caso di divorzio. Per quanto riguarda la violenza sulle donne, diversi movimenti e organizzazioni non governative si battono da anni per far fronte a questa problematica, dal momento che, secondo le statistiche, durante la loro vita, una donna su tre in Marocco è vittima di violenza fisica, una su quattro di violenza sessuale e una su due di violenza psicologica. Inoltre, secondo un recente sondaggio pubblicato dall’HCP, l’Istituto Nazionale di Statistica e di Economia Applicata, che in Marocco si occupa appunto di statistiche, il 40,6% delle donne comprese tra i 18 e i 64 anni, che vive nelle città, è stato vittima almeno una volta di un atto di violenza. Nonostante molte delle violenzesi consumino nella sfera coniugale o in ambito familiare, i luoghi pubblici sono quelli dove la violenza sulle donne è statisticamente più elevata.
È innegabile infatti che in Marocco persistano ancora con forza gli stereotipi di genere, trasmessi sui giornali, in televisione, nelle scuole e nelle moschee. Per esempio, la violenza sulle donne coniugale è qualcosa di socialmente accettato tanto che, nel rapporto sull’uguaglianza e la parità in Marocco, pubblicato due anni fa, alla domanda se fosse legittimo per un marito picchiare la moglie, il 47% degli uomini marocchini ha risposto di sì, così come anche il 27% delle donne. Innumerevoli sono poi le molestie che le donne subiscono nello spazio pubblico, che possono sfociare anche in episodi di aggressione, spesso raccontati sulle prime pagine dei giornali, soprattutto a partire dallo scorso agosto, dopo il caso di un video diffuso sui social che mostrava l’aggressione sessuale di gruppo contro una giovane donna su un autobus di Casablanca, tra l’indifferenza della gente. Emblematico anche il caso del video che mostra una ragazza a Tangeri, città a nord del Marocco, inseguita e fischiata da decine di ragazzi perché camminava indossando dei jeans e una t-shirt.
Cosa dice la legge
La legge 103-13 è conosciuta come legge Hakkaoui, dal nome della responsabile del Dicastero della Famiglia, della Solidarietà, della Donna e dello Sviluppo Sociale, membro del Partito della giustizia e dello sviluppo (PJD), partito di destra e islamista, che fa parte della coalizione di governo. La ministra Bassima Hakkaoui era già stata al centro delle polemiche lo scorso novembre, dopo aver lanciato la campagna contro la violenza sulle donne definendo quest’ultima come un atto di codardia e la lotta contro questo fenomeno come un atto di virilità e ricevendo quindi le critiche da parte dei movimenti femministi per aver usato uno slogan dagli stereotipi maschilisti e obsoleti. La legge 103-13 è stata presentata per la prima volta nel 2013 per poi essere ammendata molte volte prima dell’approvazione finale, avvenuta il giorno di San Valentino, da parte della Camera dei Rappresentanti, in seconda lettura, con 168 voti a favore e 55 contrari, ed entrerà in vigore dopo la pubblicazione sul Bollettino ufficiale. Il testo, volto a proteggere giuridicamente le donne vittime di violenze, condanna per la prima volta atti considerati come forme di abuso, aggressione, violenza e sfruttamento sessuale, includendo molestie via sms, messaggi vocali, foto, oltre all’aggressione sul posto di lavoro. La legge è giudicata dal governo come uno strumento giuridico di riferimento, utile a garantire una migliore protezione delle donne, dal momento che prevede delle sanzioni e dei meccanismi per tutelare le vittime: d’ora in poi chi molesta una donna per strada sarà punibile con sei mesi di prigione e fino a un anno chi forza il matrimonio di una minorenne. Inoltre, le pene sono inasprite in casi di situazioni aggravanti quali la gravidanza o nel caso in cui la violenza sia perpetrata da persone conosciute. Un intero capitolo è poi consacrato alle misure preventive che incitano le autorità pubbliche a elaborare delle politiche e dei programmi volti alla sensibilizzazione circa i pericoli e le conseguenze della violenza sulle donne. La legge prevede, infine, un sistema per la tutela e l’assistenza alle vittime di violenza, così come dei meccanismi di coordinazione degli strumenti per la lotta a questo tipo di problema, e sottolinea il ruolo chiave giocato dalle associazioni della società civile in questo campo.
Perché si dice non sia sufficiente
Tuttavia, molte sono state le critiche. Infatti, secondo Nouzha Skalli, militante per l’uguaglianza dei sessi ed ex-ministra in carica per i diritti delle donne, la legge modifica solamente qualche articolo del codice penale, lasciando però il testo basato su dei concetti obsoleti, come atti osceni in luogo pubblico o la condanna delle relazioni extraconiugali. Il testo non prende in considerazione le definizioni internazionali circa la violenza sulle donne: infatti, secondo alcuni esperti, il codice penale marocchino all’articolo 486 punisce la violenza sessuale ma presenta delle ambiguità nella sua definizione. Un’altra critica molto forte, portata avanti in particolar modo dal Mouvement alternatif pour les libertés individuelles (Mali), riguarda l’impunità della violenza coniugale. Il Parlamento, accusato per questo di una visione retrograda e misogina, non ha previsto nella legge i casi in cui la violenza si consumi nella sfera coniugale, lasciando le mogli vittime di violenze senza protezione e facendo prevalere la visione conservatrice delle forze politiche islamiste e delle autorità religiose.