Il mondo del calcio italiano – e non solo – piange l’improvvisa scomparsa di Davide Astori, difensore di trentun’anni in forza alla Fiorentina e da svariate stagioni presenza quasi fissa in Nazionale. Quella di oggi doveva essere una domenica tranquilla, piena di calcio ma anche di politica e cinema, con un occhio ai campi e uno ai seggi: dopo gli anticipi del sabato, con l’inerzia della corsa scudetto cambiata e la sempre accesa corsa alla Champions League, con il derby di Milano la domenica sera (e con gli exit poll dalle 23 e la notte degli Oscar). Tutto ciò passa tremendamente in secondo piano sin dalla mattina: intorno alle 11:00 comincia a rimbalzare, prima su testate minori locali e poi su quelle nazionali più importanti, la notizia di Astori ritrovato morto nella sua camera d’albergo a Udine, dove la sua Fiorentina si trovava in trasferta per la gara delle 15:00. Sulle prime l’incredulità è totale, il rifiuto è l’emozione più diffusa, si spera quasi nella possibilità di trovarsi dinanzi a una fake news. Alle 11:59, il comunicato ufficiale della Fiorentina spazza via ogni dubbio. La prima partita della giornata – l’anticipo di mezzogiorno tra Genoa e Cagliari – viene subito rinviata e a cascata tutte le altre.
Già, Cagliari: proprio in terra sarda Astori si è consacrato nel calcio che conta. Arriva al casteddu nel 2008, direttamente dalla Serie C1 alla corte di Massimiliano Allegri. Dopo il primo anno di ambientamento Davide esplode in maglia rossoblu, collezionando 179 presenze e tre reti in sei anni. Con la maglia del Cagliari Astori si guadagnerà anche la Nazionale: quattordici presenze per lui, il secondo posto agli Europei del 2012 e una rete, nella finale per il terzo posto nella Confederations 2013, contro l’Uruguay. Dopo la Sardegna – alla quale Astori rimarrà sempre legato, avendo aperto nel capoluogo sardo una gelateria e avendo conosciuto lì la moglie – arriva la chiamata di una big: nella Roma di Rudi Garcia, tuttavia, non riuscirà a imporsi in una stagione complicata. Arriva comunque l’offerta di un altro club storico, la Fiorentina. In maglia viola, Astori tornerà ai livelli ammirati a Cagliari: 109 presenze per lui, tre gol, e la stagione attuale iniziata con la fascia di capitano al braccio, dopo la partenza di Gonzalo Rodriguez.
L’attribuzione della fascia di capitano è stata una scelta assolutamente automatica per un calciatore come Astori. Il centrale mancino è sempre stato un professionista esemplare, rispettato da tutti, mai invischiato in polemiche. In un mondo caratterizzato da eccessi, drammi, emozioni, Astori era una persona comune, tranquilla, normale, capace di essere un difensore competitivo e uno dei migliori nel suo ruolo nel nostro campionato. Per questo non stupisce nessuno il cordoglio mostrato dai colleghi e dagli addetti ai lavori: ex compagni di squadra, rivali in campionato, club esteri apparentemente “lontani”: il lutto è comune e ha unito tutti, soprattutto a causa del suo carattere improvviso.
Non è la prima volta che il mondo del calcio si ferma per una morte improvvisa di un atleta ancora in attività: Jarque, Puerta e Morosini, rimanendo in tempi recenti, sono tutti nomi stampati nella memoria. Tutti con un grosso interrogativo in comune: com’è possibile che un atleta professionista di vertice possa morire in questa maniera? In un mondo pieno di tecnologie all’avanguardia, con controlli serrati, ci sono ancora patologie che non possono essere prevenute, come ha dichiarato a Premium il medico del Napoli, Alfonso De Nicola, interpellato sulla vicenda. Starà all’autopsia, il prima possibile, stabilire che tipo di patologia abbia portato alla morte dell’ormai ex calciatore viola.
La morte di Astori ha bloccato ogni aspetto del calcio nazionale. Un calcio che, di fronte a una tragedia del genere, ha visto scemare ogni polemica su VAR, errori arbitrali e querelle di altro stampo che da sempre caratterizzano il mondo sportivo nostrano. Il pensiero principale va alla compagna e alla figlia: il sistema calcio non dovrà commettere l’errore di lasciarle sole, di privare una famiglia della storia costruita sul campo da un uomo pregno di valori antichi e di una serietà quasi anacronistica. Davide Astori è morto e a ogni riga scritta è sempre più strano doverne parlare al passato. Certamente, però, il suo ricordo non morirà, nel cuore di chi gli ha voluto bene nella vita di tutti i giorni ma anche sulle tribune di uno stadio, nello spogliatoio di un club, nell’animo di uno sconosciuto che ha incrociato la sua strada unito dalla stessa passione per il pallone. In molti credono che la morte non sia altro che il principio di una nuova vita: speriamo per Davide che, nel caso, possa anche continuare a svolgere il suo mestiere con serietà, professionalità e amore, come nella sua esistenza terrena.
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