Sono passati ormai dieci anni dall’inizio del progetto cinematografico più ambizioso del secolo e, forse, dell’intera storia del cinema: il Marvel Cinematic Universe. La superpotenza della cultura Pop, “Mamma Disney”, ha cambiato pellicola dopo pellicola il modo di intendere i concetti di saga e di serialità, ha definito il genere del cinefumetto e ha letteralmente inventato l’ormai stracopiato e ambito “universo cinematografico”. Dopo ben diciotto film è diventato facile leggere il codice, intendere uno per uno gli ingredienti della formula Marvel-Disney: leggerezza, semplicità, qualità, azione e una continuità (accessibile) con gli altri film dell’universo narrativo; Black Panther non è diverso, la pozione brevettata da Kevin Feige (presidente del MCU) ha il solito effetto sullo spettatore, tutti i settori della produzione svolgono il loro lavoro per confezionare una pellicola action-fantasy misurata e divertente.
Regia, scenario e sonoro nell’Africa dei Sogni
La regia è affidata stavolta a Ryan Coogler, tutt’altro che un novellino: suoi sono infatti gli apprezzati Fruitvale Station e Creed. Coogler si muove sapientemente dietro la macchina da presa, mostrando il fianco solo in alcune delle sequenze di azione più spinte, lontane, forse, dal suo stile più compassato e attento ai personaggi. Qualcosa che ha del sorprendente è il comparto estetico: la fotografia ci mostra il Wakanda, i suoi abitanti e le meraviglie naturali e tecnologiche in maniera impeccabile, un’Africa immaginaria coloratissima, che prende il comune immaginario da National Geographic e lo eleva al cubo. Anche l’orecchio però vuole la sua parte e, possiamo dirlo, non rimane affatto trascurato; la colonna sonora prende la mano al comparto visivo facendoci esperire ancora più intensamente il Wakanda e “l’Africa dei Sogni”. Peccato solo per il concept album commissionato al rapper Kendrick Lamar, tanto bello quanto inutilizzato all’interno del film, risultando così più un oggetto di marketing correlato che non una parte del prodotto cinematografico (che comunque consigliamo caldamente da ascoltare in streaming o su Youtube). La Marvel non ha badato a spese neppure con il cast, scegliendo le facce più popolari tra i giovani afroamericani di Hollywood: il protagonista Chadwick Boseman è affiancato dal premio Oscar Lupita Nyong’o, dal candidato all’Oscar (proprio per l’edizione di quest’anno) Daniel Kaluuya e soprattutto da Michael B. Jordan, cattivo carismatico e ormai attore ricorrente nella filmografia di Coogler. Menzione d’onore per la giovanissima Letitia Wright, qui chiamata a interpretare Shuri, la sorellina del protagonista, già divenuta uno dei personaggi più amati dai fan dell’universo Marvel.
La controversia del razzismo e la sceneggiatura
La sceneggiatura, seppur con qualche buco qua e là e le immancabili imperfezioni di cinecomic leggero, riesce nel suo intento e ancora una volta finiamo catturati dalla storia di un supereroe atipico e tutt’altro che popolare tra chi non bazzica fumetterie e fiere del fumetto. Come già fatto con i Guardiani Della Galassia e con Ant-Man, la Marvel fa un po’ di spazio nell’immaginario collettivo e ci inserisce comodamente uno dei suoi personaggi meno famosi, chapeau. Fortunatamente il film riesce a non cadere nel pericolo di un’esagerata politically correctness: ci si sarebbe potuto aspettare, dati gli eventi dell’ultimo anno negli Stati Uniti (tra l’elezione di un presidente mai così controverso, ai rally di estrema destra ed estrema sinistra, alla police brutality) un messaggio forzato e controproducente. Così non è stato: Black Panther è una vittoria per l’antirazzismo e il team che ci ha lavorato merita grandi elogi. La trama si tiene lontana da facili dicotomie promuovendo un messaggio di pace e di progresso senza identificare buoni e cattivi con gruppi etnici o classi sociali.
Conclusione
Black Panther purtroppo, pur con i suoi personaggi memorabili, pur con la sua ambientazione d’impatto (forse la migliore del MCU fin ora), ha ancora una volta il sapore di occasione sprecata ormai caratteristico di tanti film made in Marvel: il film non osa, svolge il suo compito e nulla di più, non vi è un singolo fotogramma del film in cui possiamo individuare qualcosa di più dell’intrattenimento da classico cinefumetto di buona fattura, non una scena che possa definirsi “di genere”, che prenda la materia di base e la plasmi in qualcosa di nuovo, di più impegnato. E stavolta il peccato è doppio, perché l’attesa per il film era stellare. Dietro la macchina avevamo un giovane autore e non un mestierante qualsiasi, era lecito quindi aspettarsi un passo avanti nel Marvel Cinematic Universe che se non riuscirà a trovare in Infinity War non solo un punto di arrivo, ma anche uno di svolta, rischierà di sgretolarsi lentamente arrivando prematuramente alla fine della sua avventura.
In ogni caso, se siete appassionati di supereroi o volete passare un paio d’ore di sano divertimento audiovisivo, la pantera fa decisamente al caso vostro.