Neymar passa dal Barcellona al PSG per 222 milioni di euro. I blaugrana per coprirsi prendono Dembelè e Coutinho e finiscono per spenderne quasi 300. Il Liverpool, che ha incassato dalla vendita del brasiliano, puntella la difesa con il difensore olandese Van Dijk per quasi 80 milioni.
Sembra che il calciomercato sia uscito fuori da ogni logica – probabilmente se sono già accorti un po’ tutti – ma i motivi sono poco chiari e partono da lontano.
Spoiler: nonostante Caressa su Sky Sport 24 sia sembrato molto convinto, non si tratta di un riciclaggio di denaro internazionale, almeno per ora.
Le cause sono principalmente due: i trasferimenti “stile Neymar” (e vedremo tra poco che ce sono stati tanti negli ultimi quindici anni) causano un iper-inflazione nel calciomercato e scatenano un effetto a cascata. Il meccanismo è molto semplice e intuitivo: il Barcellona incassa 222 milioni per Neymar, e si presenta alla porta del Borussia Dortmund per comprare il sostituto (Dembelè). In tempi normali, sarebbe difficile che i tedeschi chiedano più di 50-60 milioni di euro per un classe ’97 che ha giocato la sua prima stagione ad alti livelli. La disponibilità economica degli spagnoli però è così grande che il Borussia può permettersi di chiedere (e vedersi accettare) anche una cifra come 105 milioni di euro (che con i bonus arriva a 150).
Contemporaneamente, il PSG per completare l’attacco punta il nome di Mbappè, enfant prodige del Monaco. A Montecarlo, dove i soldi li sanno contare bene, non sono disposti a fare sconti per il franco-camerunense. Di fronte hanno una dirigenza disposta a spendere di tutto pur di vincere la Champions League, sono passate solo poche settimane dall’affare Neymar, e nel frattempo sembra che il Barcellona voglia spendere 150 milioni per il connazionale Dembelè. E allora perchè Mbappè, potenzialmente più forte, di un anno più giovane, non dovrebbe valerne 180?
Barcellona e PSG hanno innescato un gioco pericoloso, che però non è il primo nella storia del calciomercato (il precedente fu quello tra Manchester United e Juventus per l’affare Pogba).
La seconda causa, che poi è quella più scontata e “ordinaria”, è la crescita monetaria dei bilanci delle società calcistiche negli ultimi anni, vuoi per inflazione (quella reale), vuoi perché il merchandising e il marketing dei club è cresciuto sempre più (anche in virtù dell’apertura verso nuovi mercati come Cina, India, USA, paesi arabi), infine e soprattutto per la macchina da soldi che sono diventati i diritti televisivi dei principali campionati e della Champions League.
La Premier League è stata la lega che più ha saputo sfruttare il mercato dei diritti tv e incrementare i budget dei propri club. Lo scorso gennaio i club inglesi hanno firmato il nuovo contratto con Sky e BT Group che frutterà circa 6,5 miliardi di euro per il prossimo triennio. La cifra arriverà a 12 miliardi con la vendita all’estero, secondo le stime di Ampere Analysis. Cifre da capogiro anche rispetto a pochi anni fa: per intenderci solo nel 2010 il contratto tra club e televisioni era di circa 3 miliardi a triennio.
Non sorprende quindi che nella Deloitte Football Money League dell’ultima stagione – classifica dei club con più alto fatturato – ci siano dieci squadre inglesi su venti e che il Southampton, che in Inghilterra lotta per non retrocedere, abbia ricavi maggiori del Napoli che guida la classifica di Serie A.
I trasferimenti che stravolgono il mercato: un fenomeno ciclico
Come si può vedere dalla classifica dei dodici (numero scelto per comodità, al fine di includere il passaggio di Zidane dalla Juventus al Real Madrid) trasferimenti più costosi della storia, presa dal sito specializzato transfermarkt.de, ben cinque (e il sesto sarebbe Mbappè, che però ufficialmente è in prestito con diritto di riscatto) acquisti sono di questa stagione, due la scorsa.
Salta all’occhio che i boom inflazionistici del calciomercato avvengono – con una precisione statistica che sicuramente è ben lontana dalla perfezione – circa ogni 7-8 anni, in mezzo ai quali c’è un periodo di relativa quiete. La sola eccezione è stata tra il 2013 e il 2014 dove il Real Madrid ha speso 100 milioni per strappare Gareth Bale al Tottenham e il Barcellona ha risposto comprando Neymar e Suarez.
Il botta e risposta sul mercato tra società rivali – come nel 2013 tra Barcellona e Real Madrid – causa storicamente un’impennata dei prezzi dei calciatori. La causa primaria è però ovviamente il first mover, il primo trasferimento record che stravolge gli equilibri della sessione di calciomercato. Nel 2017 è stato Neymar, nel 2001 fu Zinèdine Zidane.
La Juventus incassò dai blancos ben 77,5 milioni di euro, che reinvestì su Buffon e Thuram (complessivamente 94 milioni al Parma) e Nedved (39 milioni alla Lazio).
Le concorrenti di Serie A non potevano stare a guardare, e la stessa Lazio che aveva ceduto anche Veron al Manchester United (43 milioni) acquistò Mendieta (48), Stam (26) e Fiore (25). Il Milan rispose con gli acquisti di Rui Costa (42) e Inzaghi (37).
Quell’anno le squadre di Serie A spesero più di 700 milioni di euro sul calciomercato, cifre mai eguagliate nello stivale fino a poche stagioni fa. Ben otto trasferimenti di quella sessione estiva entrarono nella top 10 degli acquisti/cessioni della storia del calcio italiano.
Il 2001 (anche se l’anno prima c’erano state della avvisaglie con il solito Real Madrid che pagò Figo 60 milioni e la Lazio che spese 100 miliardi di lire per Hernan Crespo) segnò definitivamente un nuovo regime di prezzi per i calciatori in Europa, che perdurò per molti anni, ma le cifre non si avvicinarono minimamente ai 77 milioni di Zizou, una somma che sembrava irripetibile (fino al 2009 i trasferimenti più onerosi furono quelli di Rio Ferdinand al Manchester United, Ronaldo al Real Madrid e Shevchenko al Chelsea, tutti intorno ai 45 milioni).
Nell’estate del 2009, però, l’equilibrio del calciomercato viene stravolto irrimediabilmente: Florentino Perez torna alla presidenza del Real Madrid, con il dichiarato obiettivo di ricostruire i Galacticos. Un sistema fiscale favorevole nel paese (la celeberrima legge Beckham, abolita l’anno dopo) rende più semplice per i club spagnoli spendere cifre più alte. Arrivano nella Liga Kakà (65 milioni), Benzema e Xabi Alonso (35 milioni l’uno) e, soprattutto, Cristiano Ronaldo, che con la mostruosa (ai tempi, viene da dire) clausola di 94 milioni di euro. Il Barcellona reagisce con l’acquisto di Ibrahimovic dall’Inter per 70 milioni più il cartellino di Samuel Eto’o. In un solo mese, tre trasferimenti superano quelli degli otto anni precedenti.
Dove si spende di più?
Nello stesso anno, in Inghilterra, il Manchester City degli sceicchi compie la sua prima campagna acquisti estiva (l’anno prima c’era stato l’ingaggio di Robinho, nelle ultime ore di agosto): non si battono record a livello di singoli (gli acquisti più onerosi sono quelli di Tevez, Adebayor e Lescott, complessivamente 90 milioni), ma in una sola sessione vengono spesi più di 150 milioni di euro.
Tre anni dopo arriverà il PSG, che con i petrodollari di Al-Khelaifi si può permettere di comprare mezza Serie A (Ibrahimovic, Thiago Silva, Cavani, Lavezzi e molti altri).
Con l’arrivo dei capitali stranieri, sempre più frequenti nel calcio europeo, molte società si possono permettere di spendere cifre sempre maggiori per il mercato calciatori, con mosse di aggiramento – neanche tanto velate – del fair play finanziario imposto dall’UEFA (il che non è una prerogativa dei soli top team: basti pensare che il Sassuolo incassa 18 milioni di euro l’anno dalla Mapei, la cifra più alta in Serie A, insieme alla Juventus).
Ovviamente sono le più grandi squadre europee a influenzare maggiormente i prezzi dei cartellini, insieme alla macchina da soldi Premier League, che ogni anno batte nuovi record di “PIL calcistico”.
Dando un’occhiata alla variazione della bilancia dei trasferimenti dei principali campionati europei (e alcuni fuori dal vecchio continente, ma comunque coinvolti con l’Europa, sia dal punto di vista delle esportazioni – Brasile ed Argentina – che delle importazioni, tra cui Cina ed Emirati Arabi). Soffermandoci su cinque diverse sessioni di mercato (2001, 2006, 2009, 2013, 2017) si possono trarre diversi dati per capire l’andamento del calciomercato e capire i prezzi folli degli ultimi due anni (per fare qualche esempio, Andrè Silva a 40 milioni, Sighurdsson a 50, persino Higuain 94 fino ad arrivare a Dembelè, Coutinho, Mbappè e Neymar).
Nel 2001, nonostante il record di Zidane, la Liga è solo terza per spese sul calciomercato tra i campionati europei. Domina la Serie A, nei suoi anni d’oro, inseguita dalla Premier League.
Fuori dai primi cinque campionati campionati europei, con la parziale eccezione di Olanda e Grecia, il volume dei trasferimenti è abbastanza modesto.
A cinque anni dal boom, la situazione nella top five è piuttosto stabile, persino in negativo per Inghilterra (-6%), Germania (-21%) e soprattutto Italia (-67%). Crescono solo Francia (+26%) e Spagna (+43%, la Legge Beckham porta i suoi frutti).
Tra i campionati minori, però ci sono tanti exploit da segnalare: Belgio (+128%), Turchia (+158%) e la Russia che addirittura ingrandisce di quasi sette volte (+677%) le spese per gli acquisti.
Il 2009 è l’anno di Ronaldo, Kakà e Ibrahimovic: Spagna che spende (+66%) e l’Italia che incassa e reinveste (+124%).
Salgono a livelli più contenuti anche Ligue 1 (+31%), Bundesliga (+27%) e Premier League (+9%).
Quattro anni dopo, la situazione è completamente opposta. La Liga scende dell’11%, mentre la Serie A sale solo del 3%.
Oltre la Bundes (+27%), crescono a ritmi alti (+53% per entrambe) campionato francese (sono i primi anni del PSG) e inglese (grazie ai nuovi contratti televisivi, che iniettano liquidità senza precedenti).
Crescono sempre di più i campionati europei di seconda fascia: sia per gli incassi (Portogallo e Olanda vendono al doppio, rispetto al 2009) sia per le spese (+204% l’Ucraina e +182% la Russia).
Si affacciano nella classifica anche Cina ed UAE, che fanno entrare nuovi capitali nei club europei da cui acquistano calciatori.
L’ultima sessione di calciomercato batte tutti i record. La Premier League tocca quota 2 miliardi (+125%) mentre la seconda divisione inglese segna addiruttura un +510% di spese.
In generale crescono tutte le big: Bundesliga (+130%), Liga (+89%), Ligue 1 (+80%) e infine la Serie A (+59%).
Crescono anche le cessioni di paesi tipicamente esportatori come Belgio (+196%) e Portogallo (+75%).
Le cause esogene di questo boom sono sicuramente l’aumento degli scambi tra top five e campionati europei minori, che si sono rafforzati ogni anno nel nuovo millennio (Russia, Turchia, Portogallo e in minor parte Ucraina, Olanda e Belgio) e i soldi arrivati dai “nuovi ricchi” arabi e cinesi (nel 2016, i club di Chinese Super League hanno speso quasi 600 milioni, comprando prevalentemente dai campionati europei).
E quelle endogene? Bisogna andare a guardare i bilanci dei club e capire se la loro crescita giustifica la salita dei prezzi del calciomercato.
Quindi i club spendono tanto perché ora guadagnano di più?
Per chiarirlo leggiamo i dati della Deloitte Football Money League 2018, pubblicata qualche settimana fa. La prima pubblicazione di questa classifica, che stima i ricavi dei club europei più ricchi, è del 2006 (riferita cioè alla stagione 2004/2005).
I dati sui primi 20 club per fatturato ci dicono molto. Innanzitutto il prevedibile dominio delle squadre inglesi, ben la metà.
Per entrare in questo ristretto club bisogna avere un fatturato di almeno 200 milioni di euro; in Italia possono permetterselo solamente Juventus, Inter e Napoli. Oltre alle dieci inglesi e alle tre italiane, ci sono anche tre spagnole, tre tedesche e una francese.
Deloitte permette anche di identificare quali sono le fonti di entrata più importanti per i club. Secondo i dati crescono sempre di più i ricavi commerciali e quelli del broadcasting, che hanno superato i primi come principale entrata in percentuale dei club in esame nell’inchiesta. Questo conferma come i contratti crescenti dei diritti televisivi consentano ai club di spendere somme sempre maggiori sul calciomercato.
Per comprendere bene come sia aumentato il giro di denaro nel calcio europeo, confrontiamo i dati della Deloitte Money League in tre diversi anni: 2006, 2012 e quella del 2018, appena esaminata.
Nel 2006 la squadra più ricca era il Real Madrid, con circa 275 milioni di euro, seguita dal Manchester United a quota 246. Tra le italiane, terza e quarta Juve e Milan rispettivamente con 234 e 229 milioni. Per intenderci, con ricavi del genere, nel 2018 si entrerebbe a malapena nella top 20.
Chiudeva le prime venti posizioni la Lazio con 83 milioni, circa il 58% in meno dell’Everton ventesimo quest’anno. La media dei ricavi di tutte le squadre nel 2006 era di 156 milioni, cifra che non permetterebbe neanche di entrare in classifica nel 2018.
Sei anni dopo, la situazione è molto diversa. Guida ancora una volta il Real, ma con 479 milioni (+73% rispetto al 2006), seguita da Barcellona a 450 (+116%). L’italiana più ricca è il Milan con 235 milioni, praticamente la stessa cifra di sei anni prima (ha influito in questo caso la crisi recente dei rossoneri, ma della mediocrità finanziaria della Serie A – Juventus esclusa – rispetto agli altri campionati se non potrebbe discutere per pagine).
Nel 2012 chiudeva la classifica il Napoli con 115 milioni (-42% rispetto al fatturato attuale, in una posizione quasi uguale, la 19°). La media dei ricavi di tutte le squadre è di 220 milioni di euro, con un aumento del 41% rispetto al 2006.
Analizziamo in ultima istanza i dati del 2018, da cui si possono trarre le seguenti conclusioni:
– I tre club più ricchi – Manchester United, Real Madrid e Barcellona – producono ricavi per 2 miliardi di euro (circa il 64% di tutta la top 20 del 2006 e il 45% di quella del 2012).
– Il dodicesimo club del 2018, il Borussia Dortmund, sarebbe primo nella classifica del 2006 e il settimo PSG lo sarebbe nel 2012.
– La top 20 del 2018 ha un fatturato medio di 394 milioni di euro (+152% rispetto al 2006, +79% rispetto al 2012).
– Prendendo in considerazione i ricavi dei quattro top club europei mediamente più ricchi (escludendo però PSG e Manchester City che non hanno avuto ricavi costanti, per ovvi motivi) degli ultimi anni – Barcellona, Bayern Monaco, Real Madrid e Manchester United – notiamo che sono saliti nel 2012 del 76% rispetto al 2006, e del 181% nel 2018 rispetto allo stesso anno. In parole semplici, ogni milione di euro che uno di questi club prendeva nel 2006 per effettuare un trasferimento equivale oggi circa 2,81 milioni, a parità di budget in percentuale.
Prendiamo come esempio il trasferimento nel 2006 del centrocampista maliano Mahamodou Diarra dal Lione al Real Madrid per 26 milioni di euro. Nel 2018 Diarra ne costerebbe circa 73, avendo comunque lo stesso impatto in percentuale sul budget delle merengues.
Allo stesso modo, Coutinho pagato dal Barcellona lo scorso gennaio 150 milioni, nel calciomercato del 2006 il Liverpool avrebbe incassato “solo” 53 milioni.
Quindi la risposta è: sì, i club (soprattutto quelli più blasonati) guadagnano ogni anno più del precedente, grazie a contratti di sponsorship e diritti televisivi sempre più profittevoli. La macchina da soldi del calcio sembra non volersi più fermare, continuando a crescere a dismisura.
Dopo le cifre della scorso calciomercato, non è più fantascienza pensare a un giocatore che costi mezzo miliardo. Alcuni club sembrano già pronti a farlo, consapevoli di poter aumentare i propri ricavi quasi all’infinito. Molti sono convinti, però, che la bolla del calcio scoppierà prima. Chi avrà avuto ragione ce lo dirà il futuro, per ora ci godiamo lo spettacolo. The show (and business) must go on.