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Siamo persone, prima che accademici

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Paolo Simonetti

Raffaele Alberto Ventura ha recentemente pubblicato la sua analisi sociologica Teoria della classe disagiata. Si tratta di una denuncia generazionale, un manifesto di uomini e donne di venti, trenta e quarant’anni che si sono visti spingere verso una terra promessa di lavoro e soddisfazione personale. Tutto al modico prezzo di qualche anno di sforzi e lacrime nel sistema dell’istruzione. Basta una laurea, forse due. Meglio se ci aggiungi un dottorato poi.  Ah già, senza il post-doc – ma non uno solo, non siamo più ai tempi d’oro – non hai fatto nulla. Di questo meccanismo se ne accorgono in diversi, e molti altri non hanno neanche le possibilità economiche per accedervi. Coloro che intraprendono questo percorso e riescono a portarlo avanti sono un’interessante specie vivente, un curioso esperimento sociale edito dal capitalismo e dal post-capitalismo: gli accademici.

In un suo Ted Talk Ken Robinson, un educatore e scrittore britannico, descrive così (al minuto 9) i professori universitari: «Se vi fermate un attimo a chiedere a cosa serva l’istruzione pubblica, giungerete alla seguente risposta: produrre docenti universitari. Sono le persone che stanno in cima. Lo sono stato anch’io una volta, sapete? A me loro piacciono, eh, ma non dovremmo considerarli in cima. Sono semplicemente una forma di vita, un’altra forma di vita. Una forma di vita piuttosto curiosa, e lo dico con affetto per loro. C’è una cosa buffa nei docenti universitari, e lo dico per esperienza: vivono lassù nella loro testa, e solo in uno dei due emisferi. Sono quasi letteralmente privi di un corpo. Vedono il loro corpo come un mezzo di trasporto per il loro cervello, no? Un mezzo per portare i loro cervelli ai convegni! Se volete una vera prova di queste esistenze extracorporee, provate questo esperimento: andate a una conferenza di accademici attempati, prendeteli e portateli in una discoteca l’ultima sera. Lì lo vedrete: uomini e donne scuotersi senza alcuna coordinazione. Fuori tempo. Aspettando che finisca tutto per andare a casa e scrivere una pubblicazione in merito».

Ken Robinson, educatore e scrittore britannico.

Tra questi accademici disembodied, una figura in particolare regna sovrana: il matematico. Di biografie sui matematici sono piene le librerie e ci sono tanti divulgatori, dentro e fuori i social, che raccontano simpatici aneddoti sulle loro vite. Eppure, c’è qualcosa che manca, e qualcos’altro che viene sempre enfatizzato. Si parla tantissimo della loro genialità e della loro eccentricità; di com’erano, da piccoli, dei bambini speciali – un po’ in tutti i sensi. Fiumi di parole che tendono ad allontanarli dalla gente comune, creando, non solo negli altri ma anche e soprattutto negli stessi giovani studenti, un’aura di isolamento e anomalia rispetto agli altri.

Ecco un esempio, un personaggio abbastanza famoso: Kurt Gödel, matematico, logico e filosofo austriaco, noto al “grande pubblico” per il suo Teorema di incompletezza. Questo teorema e i lavori a esso collegati sono stati davvero fondamentali e hanno avuto risvolti filosofici enormi. Di lui però, le biografie sottolineano solo una cosa: la triste fine che ha fatto. Gödel aveva manie di persecuzione totalmente folli: mangiava solo il cibo cucinato dalla moglie; tutto il resto veniva fatto assaggiare ai suoi gatti, i quali, comprensibilmente, dopo un po’ morivano – il che costituiva agli occhi del matematico un’inconfutabile prova dei tentati omicidi da parte di ignoti, e non delle carenze nelle capacità metaboliche dei felini. Quando morì la moglie, Gödel non ebbe più nessuno di cui fidarsi: morì di fame di lì a poco, da solo, pesando 36 chili.

Ecco, le biografie dei matematici risaltano questi aspetti e sembrano collocare questa categoria in un mondo parallelo a quello delle altre persone. Questo articolo e i prossimi toccheranno allora diversi temi ed eccezioni notevoli a questo estraniamento dalla società e dalla realtà. Gli argomenti, in breve, saranno: le disuguaglianze di genere, le vite di alcune matematiche attualmente attive nei loro campi di ricerca, articolo che farà da ponte tra il primo e il terzo, i rapporti tra i matematici e le dittature, e infine lo Stato e le storie di chi non ha voluto rinunciare alla propria dimensione politica.

Disuguaglianze di genere e glass ceiling index

Il primo approccio per tentare di inserire i matematici nella società è prenderli tutti, insieme anche agli altri accademici, e guardare come sono composti. L’Università di Padova ha prodotto negli scorsi mesi un interessante bilancio di genere. In esso vengono presentati i dati di ateneo sulla composizione per genere di tutte le figure nell’Università, dagli iscritti ai corsi di studio ai docenti di prima fascia. Nella tabella 1 sono riportati i risultati per quanto riguarda i ricercatori a tempo determinato/indeterminato (RTD/RTI) e docenti di prima fascia (i cosiddetti “ordinari”) e seconda fascia (“associati”).

Tabella 1: Distribuzione del personale da ricercatori a docenti (2014-2016).

Quest’analisi è stata ulteriormente sviluppata calcolando il rapporto di femminilità (RF), ovvero il numero di donne diviso per il numero di uomini in un dato ruolo: per esempio, un rapporto pari a 0.25 indica che per ogni donna esistono quattro uomini a ricoprire lo stesso ruolo.

Nel caso di matematica, la situazione nel 2013 e, tre anni dopo, nel 2016 è la seguente:

  • Docenti di prima fascia: 0.071 nel 2013, 0.120 nel 2016, aumento del 68%; la media di Ateneo è rispettivamente 0.230 e 0.256, con un aumento del 12%.
  • Docenti di seconda fascia: 0.240 nel 2013, 0.229 nel 2016, diminuzione del 5%; la media di Ateneo è rispettivamente 0.472 e 0.514, con un aumento del 9%.
  • Ricercatori a tempo determinato: 0.67 nel 2016; la media di Ateneo è 0.72.

L’analisi della disparità tra i generi nei ruoli e nei dipartimenti si conclude con il calcolo del glass ceiling index (GCI). Il GCI è un indice che mette in relazione la percentuale di donne in un dipartimento, in tutti i ruoli, con la percentuale di donne nel ruolo accademico più elevato che operano nel medesimo dipartimento, ovvero professoresse di I Fascia. Se indichiamo per ogni dipartimento il numero di donne con D_dip, il totale docenti con N_dip, il numero di professoresse di prima fascia con D_1 e il numero totale di docenti di prima fascia con N_1, il GCI si calcola come rapporto tra D_dip/N_dip e D_1/N_1. Un valore dell’indice maggiore di 1 indica la presenza di un glass ceiling effect, a significare che la percentuale di donne nella posizione di I Fascia è inferiore alla medesima percentuale che considera tutti i ruoli del dipartimento. Questo indice rappresenta un indicatore della difficoltà delle donne di raggiungere il ruolo più elevato di carriera, quindi un mancato riconoscimento che ha al contempo un valore scientifico, accademico ed economico. Nel caso del dipartimento di matematica, la situazione è la seguente:

  • le donne sono il 23.53%, le professoresse di prima fascia il 10.71%, il GCI è pari a 2.20.
  • per quanto riguarda l’ateneo, le donne sono il 34.85% del totale, le professoresse di prima fascia il 20.41% e il GCI è 1.71.

Il grafico che ha il più forte impatto in quanto a composizione di genere nel corso della carriera accademica è noto come “grafico a forbice”, per la forma che assume in quasi tutti i corsi di studio scientifici: c’è una marcata differenza di genere fra gli iscritti ai corsi di studio; questa differenza diviene notevolmente più piccola tra i ricercatori, per poi dilatarsi di nuovo quando si considerano di professori ordinari. La strettoia verso il centro è motivata da un fatto ben noto nei corsi di studio scientifici: le ragazze si laureano mediamente prima e con voti più alti. Successivamente entrano in gioco altri fattori, come la maternità e un tessuto sociale ancora tradizionalista e conservatore, che fa sì che le donne tendano ad abbandonare la ricerca e a non occupare le posizioni al vertice (il glass ceiling effect  di prima). Nel caso di matematica, la situazione è rappresentata nella tabella 2.

Tabella 2: Grafico a forbice sulla composizione di genere.

Un sistema equo, inclusivo e sostenibile deve poter inserire la variabile sesso/genere a ogni livello della vita istituzionale e offrire un approccio plurale alla vita delle persone, che valorizza le differenze e sostiene le eccellenze di donne e uomini con politiche d’investimento e sviluppo strutturale. L’obiettivo da raggiungere è mettere ricercatori e ricercatrici in grado di competere a pari livello, senza che sia il genere a determinare le probabilità di successo. In questo senso, per le progressioni di carriera servirà investire fin dall’inizio in azioni di sostegno alle giovani ricercatrici offrendo programmi di mentoring, servizi di childcare (asili nido, spazi per mamme, bambini e bambine nei dipartimenti, servizi di baby-sitting, centri estivi, sostegno economico per ricercatrici con figli piccoli in missione all’estero…), flessibilità oraria nelle specializzazioni e in turni di laboratorio, e altre misure di intervento “sociale” che riguardano la famiglia e l’istituzione nel suo complesso, oltre che i percorsi scientifici e accademici delle donne.

Questo è un primo sguardo nel mondo dei matematici all’interno della società, una panoramica “dall’alto”. Dal prossimo articolo sarà affrontato il tema “dal basso”, grazie a un gran lavoro portato avanti da una matematica, Sylvie Paycha. Paycha ha l’enorme merito di aver ricordato a tutti, e specialmente ai suoi colleghi, il loro aspetto più trascurato: il lato umano.

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