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Qual è il ruolo del corpo nell’arte contemporanea?

Published by
Bianca Coluccio

Nella produzione artistica di ogni tempo, il corpo è sempre stato oggetto irrinunciabile delle più svariate pratiche. Basti pensare alla Venere di Willendorf, databile tra il 40.000 a.C. e il 15.000 a.C., o ai grandi scultori greci del V secolo come Fidia e Policleto, o anche in tempi meno lontani alla grande attenzione posta sul corpo dall’uomo del Rinascimento per poi finire in tempi relativamente recenti con le sculture di Auguste Rodin o i nudi di Egon Schiele. Ma in tutti questi casi il corpo aveva fondamentalmente due funzioni: poteva rappresentare l’idealizzazione di una figura categorizzata quasi come topos artistico o svilupparsi come ritratto di una figura coeva di una certa rilevanza.

Durante la militanza femminista degli anni Settanta le donne hanno fatto del corpo baluardo di libertà e mezzo di espressione creativa. Proprio questo è stato il periodo che ha gettato le basi per quel concetto di “essere corpo” che ha scalzato il concetto di “possedere il corpo”Ma se ognuno di noi altro non è che una sintesi di mente e corpo, perché considerare sé stessi come la mente, e invece il corpo come oggetto altro che ci appartiene – o al quale si appartiene – ma che vive con noi in maniera parallela, crescendo con noi, invecchiando con noi e con noi morendo?

Questo è uno dei concetti che sta alla base delle cosiddette “pratiche performative”, procedimenti che prevedono il coinvolgimento del corpo dell’autore, dello spettatore o di entrambi, un po’ come portare agli estremi quell’artificio adoperato da Picasso nelle Demoiselles d’Avignon in cui lo sguardo del fruitore diventava lo sguardo del cliente e giocava quindi sulla doppia personalità acquisita dallo spettatore. In questo senso nel corso del XX secolo si assiste a un passaggio del ruolo del corpo da passivo ad attivo in cui esso stesso si pone o come specchio di dinamiche umane, o come intervento nell’opera d’arte oppure in qualità di opera d’arte stessa. Così l’opera cambia il suo stesso format, modificando la sua natura di oggetto per diventare un evento.

La partecipazione da parte del pubblico all’opera d’arte impone uno scandaglio dell’interiorità umana più o meno percepito coscientemente. Ne è un esempio la performance Rhythm 0 di Marina Abramovic, famosa performer serba. Lei stessa si era posta al centro di una stanza all’interno della quale aveva disposto una serie di oggetti tra cui piume, corde, forbici e persino una pistola dando la possibilità ai fruitori di disporre del suo corpo in qualsiasi maniera si desiderasse. L’esito potrebbe apparire sconvolgente: con il passare del tempo chi sperimentava l’esperienza iniziava ad incattivirsi e accanirsi contro il corpo della donna, che fu oggetto di azioni progressivamente sempre più simili a sevizie, fino a che la pistola a disposizione non le venne puntata addosso. Seppur con un epilogo  quanto mai raccapricciante, la performance era effettivamente riuscita: l’Abramovic aveva dimostrato fino a che punto potesse spingersi un uomo se sicuro di agire impunito.

Marina Abramovic durante la performance Rhythm 0, Napoli, 1974.

Di impatto altrettanto suggestivo, se non destabilizzante, è la performance Succour di Kira O’Reilly. L’artista, dopo essersi applicata addosso una griglia di nastro adesivo, aveva praticato con un bisturi delle incisioni all’interno di ogni lembo di pelle esposto. Una volta eliminata la trama di nastro adesivo, se ne era creata un’altra, costituita dalle ferite procurate. È risaputo che infliggersi volontariamente del male fisico è percepito da alcuni soggetti come una forma di liberazione dalla sofferenza emotiva e psicologica ed è in seno a quest’assunto che si inserisce il senso metaforico della performance: l’azione del ferirsi potrebbe essere letta come un disvelarsi, se si individua la pelle come un rivestimento, come l’occultamento della propria intimità. Ne risulta una figura dell’artista tanto imponente quanto vulnerabile.

Kira O’Reilly, Succour, 2002.

Un’altra delle ragioni di queste forme artistiche risiede nel proposito di scardinare quella prassi alla categorizzazione a cui la società è abituata. A questo proposito nel libro Il corpo nell’arte contemporanea Sally O’ Reilly afferma: «Etichette come “donna”, “donna di colore” e “lesbica nera”, malgrado la loro crescente specificità, non possono mai essere un contenitore adeguato per le infinite differenze all’interno di ogni gruppo. Il corpo è simbolo di tale interazione: è la forma in cui si esprime nella società l’individuo e, nello stesso tempo, l’unità costitutiva della folla; è il luogo in cui è possibile esplorare, discutere e contestare il rapporto tra l’individuo e le masse, tra il sé e le categorie di alterità». L’artista cinese Zhang Huan nella sua To raise the water level in a fishpond aveva invitato un certo numero di operai arrivati a Pechino a immergersi fermi in uno stagno. La presenza di queste persone all’interno dell’acqua non ne aveva modificato se non minimamente il livello, eppure questa piccola modifica si presta a un’interpretazione ambivalente: se da un lato può essere letta come una negazione, dall’altro invece può farsi veicolo di un messaggio di fiducia e auspicio. Il cambiamento, seppur minimo, è avvenuto ed è riscontrabile, e se progressivo può condurre a un risultato evidente.

Zhang Huan, To raise the water level in a fishpond, 1997.

Gli esempi fino ad ora elencati sono volti a rendere manifesto quanto il corpo all’interno dell’arte, tramite le performance e la bodyart, sia stato protagonista di una sorta di innalzamento della considerazione, di un processo di riqualificazione che ne vede mostrate tutte le potenzialità sia in quanto oggetto che in quanto soggetto artistico.
Eppure per alcune opere definire la linea tra elevazione e mortificazione del corpo è difficile. Quand’è che vale la pena, infatti, che sia proprio il corpo il mezzo di espressione artistica e concettuale? Prendiamo come esempio Stelarc e il suo Ear on Arm. Per questo progetto l’artista si è fatto impiantare un terzo orecchio nell’avambraccio per richiamare un’idea di corpo fornito di molteplici capacità sensoriali. Con una successiva operazione è stato inserito un microfono che consente una connessione wireless a internet, di modo che l’orecchio diventi anche un dispositivo di ascolto a distanza e il corpo ne risulti potenziato. Davanti ad un avambraccio con un orecchio wireless inserito all’interno, quale reazione sarebbe più normale avere? Ammirazione per il suo coraggio, sgomento per la trovata bislacca o disappunto quando non disprezzo per la violenza che il corpo è stato costretto a subire?

Stelarc, Ear on Arm.

O ancora, quale reazione si dovrebbe avere davanti alla performance della mirror box di Milo Moirè, l’artista arrestata a Londra per essersi fatta masturbare in piazza? La performance era stata portata anche in Germania, in cui però la scatola a specchio era stata posta all’altezza del seno. Insomma, dove si pone e come si riconosce il limite tra glorificazione e usurpazione?

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Bianca Coluccio

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