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Sri Lanka: i nuovi scontri tra nazionalisti e musulmani

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Ilaria Bertocchini

Il paradiso dello Sri Lanka è da poco rimpiombato nell’incubo dei coprifuochi, delle leggi di emergenza e delle aree proibite, per evitare una nuova guerra civile. Questa volta il casus belli non è più quello dello scontro tra le minoranze tamil contro i cingalesi, ma è nel conflitto tra quest’ultimi e la minoranza musulmana. Ma andiamo per gradi.

Cosa sappiamo dello Sri Lanka

Il vero nome di questa isola nel sud-est asiatico, appena sotto l’India, è Repubblica Democratica Socialista dello Sri Lanka e ha ottenuto l’indipendenza dal Regno Unito nel 1972: fino a quel momento era conosciuta come Ceylon. La maggior parte dei suoi abitanti sono singalesi, che costituiscono il principale gruppo etnico, circa il 75% della popolazione. Ci sono poi i tamil srilankesi, ovvero l’11% della popolazione, a cui andrebbero aggiunti anche i tamil di origine indiana e i tamil musulmani. Per ventisei anni, fino al 2009, lo Sri Lanka fu devastato da una violentissima guerra civile che portò alla morte di centomila persone: la guerra fu combattuta tra l’esercito srilankese e le Tigri Tamil, un’organizzazione di etnica tamil che rivendicava il controllo delle parti nord ed est dello Sri Lanka e la conseguente creazione di uno stato indipendente. Le Tigri Tamil furono sconfitte definitivamente dall’esercito dopo una forte repressione ordinata dall’allora presidente Mahinda Rajapaksa. Da quel momento nel Paese è cominciato un processo di riconciliazione tra il governo e i tamil, che ha visto anche il coinvolgimento del Consiglio per i diritti umani dell’ONU, l’UNHCR. Nel gennaio 2015 le elezioni presidenziali sono state vinte da Maithripala Sirisena, leader del Partito della Libertà, di etnia singalese ma appoggiato anche dalla maggioranza dei tamil, compresi i musulmani. Tuttavia, l’influenza di Rajapaksa non è mai scemata, nonostante fosse stato sconfitto anche alle successive elezioni politiche per eleggere il primo ministro qualche mese dopo. Per formare il nuovo governo, il partito di Sirisena ha dovuto poi allearsi con una forza politica considerata molto vicina a Rajapaksa, i cui sostenitori hanno avuto poco interesse a seguire il processo di riconciliazione, che è quindi stato travagliato e difficile e i cui risultati sono ancora poco effettivi. Inoltre, alle recenti elezioni locali, il partito dell’ex presidente, il Fronte Popolare dello Sri Lanka, ha avuto una forte rimonta sconfiggendo l’alleanza di governo e portando il Paese verso il rischio di un’ulteriore instabilità politica.

Le ultime violenze

Non è la prima volta che violenze di questo tipo accadono, in un Paese dove la paura della maggioranza di trovarsi schiacciata dai musulmani è sempre presente. Questa volta a infiammare gli animi sono gli antichi conflitti tra musulmani e maggioranza buddista cingalese, presenti da sempre ma diventati più forti dopo la fine della guerra civile. La violenza interconfessionale è iniziata qualche giorno fa nel distretto di Kandy, città sacra per il famoso dente del Budda, quando un gruppo di uomini musulmani è stato accusato di aver ucciso un uomo appartenente alla maggioranza della comunità buddista singalese. Infatti, un buddista locale era rimasto ferito in seguito a una banale lite per il traffico. Inizialmente, sia i cingalesi che gli anziani musulmani avevano provato a risolvere in modo amichevole, pagando un risarcimento alla vittima. Quando però lo scorso 3 marzo l’uomo è morto a causa delle ferite, i musulmani sono stati costretti a barricarsi in casa mentre numerosi cittadini giravano per le strade con torce e armi in mano. Alcuni negozi e case posseduti da musulmani sono stati incendiati nelle aree di Digana e Teldeniya a Kandy, così come diverse moschee, e un ragazzo musulmano di 24 anni è rimasto ucciso. Dopo 27 arresti, una task force speciale di duecento soldati è intervenuta per aiutare la polizia. Una misura volutamente forte per evitare altre accuse contro il suo governo che tornerà presto alle urne, di non aver preso in tempo le misure per prevenire l’allargamento dei conflitti. Per cercare di evitare che la violenza si diffonda in altre zone del Paese, il presidente Maithripala Sirisena ha infine dichiarato lo stato di emergenza per una durata di dieci giorni con lo schieramento dell’esercito nelle strade e la chiusura di tutti i social network, dove video che incitavano agli scontri iniziavano a diffondersi.

La percezione del pericolo

Nonostante le due comunità abbiano per lungo tempo vissuto in armonia, per trovare un livello di odio e violenza analogo basta tornare nel 2014, quando esplosero le rivolte anti-musulmane di Aluthgama, guidate dai fondamentalisti buddisti del Bodhu Bala Sena del monaco Gnanasara Thero e di Ravana Balaya. Un banale diverbio tra un giovane musulmano e l’autista di un veicolo con a bordo un importante monaco Bhikku risvegliò l’odio anti-islamico in tutto il distretto di Kalutara, con quattro morti, decine di feriti, esodi massicci di intere popolazioni e case distrutte. L’episodio dette luogo alla drammatica decisione del clero fondamentalista di non accettare mediazioni, tanto da essere arrivato a imporre limiti alle donazioni per le comunità islamiche durante lo tsunami del 2004.

La polizia vicino a un edificio colpito dagli scontri, nei pressi di Kandi

Secondo alcuni, i motivi dei recenti scontri sono dovuti ai cambiamenti economici e culturali che la società sta vivendo, che hanno portato, in particolar modo, a un aumento del nazionalismo dei singalesi buddisti. Jehan Perera, direttore esecutivo del Consiglio Nazionale di Pace con sede a Colombo, ha detto che i sentimenti anti-musulmani hanno a che fare con la storica percezione dei singalesi di essere una minoranza in pericolo. Infatti, prima la minaccia era vista nella popolazione Tamil, mentre adesso nella comunità musulmana. Queste credenze hanno aumentato le paure verso la quest’ultima e la diffusione di notizie false, come quella del piano dei musulmani di ridurre la popolazione singalese mettendo di nascosto dei contraccettivi nel loro cibo e nei loro vestiti.  Un altro motivo è dato dalla percezione che i musulmani della zona abbiamo maggiore potere economico: in realtà, anche se in molte città ci sono negozi che appartengono ai musulmani, sono attività economiche molto piccole, che vendono cose di uso giornaliero dalle quali ricavano entrate modeste. Ad aggravare il tutto, il fatto che queste false credenze siano diffuse e amplificate sui social attraverso video, meme e post, soprattutto su pagine FB gestite da nazionalisti singalesi.

La (non) risposta dello Stato

Nonostante la proclamazione dello stato di emergenza, il governo sembra ancora incerto su come risponde alla diffusione della violenza. Non ha per esempio preso azioni concrete contro chi diffonde video che incitano alla violenza e allo scontro interreligioso, come nel caso dei nazionalisti singalesi. Le recenti elezioni locali hanno confermato l’instabilità della coalizione di governo e la necessità di un’azione decisa, forte e coerente per risolvere, ma soprattutto prevenire, futuri scontri tra le comunità del Paese.

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Ilaria Bertocchini

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