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La presunzione d’innocenza nell’epoca dell’immediato

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Michele Corato

Il sistema del diritto italiano, tanto civile quanto penale, è sorretto da un insieme di principi generali come quello di legalità, il ne bis in idem e la presunzione di innocenza volti a mantenere la stabilità dello stesso e a permettere una regolamentazione completa anche in quei casi dove la legge appare latente o contraddittoria.

Nel diritto penale, in particolare, tali principi trovano origine direttamente nella Costituzione e questo in quanto è proprio la legge penale a suscitare maggior scalpore nel sentire comune perché, tanto nelle pene quanto nelle condotte sanzionate, essa si incrocia in maniera pregnante con la vita umana. Fra queste colonne portanti, quindi, particolare importanza è assunta dal principio di non colpevolezza o, che dir si voglia, della presunzione di innocenza. Principio, questo, a cui si è recentemente appellato il famoso, suo malgrado, Capitano della nave da crociera Costa Concordia, Schettino, per ricorrere alla Corte di Giustizia Europea avverso il processo a suo carico appena conclusosi.

Storia ed evoluzione

La presunzione di non colpevolezza si contrappone al principio inquisitorio e prevede che l’imputato debba considerarsi innocente fino a prova contraria e fino al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, ossia, fino quando non è più possibile l’impugnazione della sentenza. La previgente normativa italiana, dal medioevo fino alla fine del XIX secolo, era impuntata su un sistema prettamente inquisitorio dove la prova dell’innocenza doveva essere fornita dalla difesa contrariamente, invece, a quello che avviene oggi dove è il Pubblico Ministero a dover provare la colpevolezza in un sistema che viene definito dalla dottrina come misto. Ad essere precisi, in realtà, il Pubblico Ministero persegue la verità e pertanto nel caso in cui emergessero prove favorevoli all’imputato è tenuto a presentarle. Con il regime inquisitorio, come è intuibile, la prova dell’innocenza era particolarmente difficile. La spinta per l’affermazione del principio in analisi deve ricercarsi, invece, a livello sovranazionale e si colloca storicamente dopo la conclusione della seconda guerra mondiale.

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Nonostante la necessità dell’introduzione della presunzione di innocenza cominciasse a farsi sentire già dagli scritti di molti studiosi della fine del 1700, primi fra tutti Pietro Verri e Cesare Beccaria, è appunto nella Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nell’articolo 6, che viene statuito tale principio e, di conseguenza, recepito in tutti gli ordinamenti europei. In Italia, infatti, esso è riportato nella Costituzione all’art. 27 secondo comma dove è previsto che «L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva».  Da tale articolo derivano, poi, due importanti conseguenze: la prima è di tipo processuale e, come già detto, riguarda l’onere della prova per cui l’imputato non è tenuto a dimostrare la propria innocenza incentrandosi il processo sulla dimostrazione della colpevolezza e, oltretutto, lo stesso dovrà essere trattato come innocente anche da un punto di vista della pena. A quest’ultima affermazione devono ricondursi gli istituti delle misure cautelari che nulla hanno a che fare, infatti, con la pena vera e propria. Sotto un altro punto di vista, poi, il principio è vincolante per il Giudice e infatti lo stesso è tenuto all’assoluzione in tutti quei casi in cui la colpevolezza non sia stata dimostrata al di là di ogni ragionevole dubbio. L’imputato, nel sistema penale attuale, si trova in una sorta di limbo in cui non può definirsi colpevole né innocente ma, come più volte puntualizzato dalla Corte Costituzionale, semplicemente “imputato”.

 

A intervenire ulteriormente in materia è la Comunità Europea attraverso la direttiva n. 434 del 2016 che ha come obiettivo l’armonizzazione dell’equo processo tra gli Stati membri. Qui emergono diversi punti, molti confermano quanto fin’ora detto come, ad esempio, l’assolutezza dell’onere probatorio in capo al P.M. o il diritto al silenzio dell’imputato, altri, invece, forniscono particolari spunti di riflessione. In quest’ottica si pone la previsione del divieto di presentare in pubblico l’indagato o l’imputato come colpevole. Tale divieto non si limita di alle dichiarazioni rilasciate dalle pubbliche autorità ma prescrive, in capo alle stesse, un vero e proprio onere di controllo affinché i mass media non presentino l’imputato, o indagato che sia, come persona colpevole e il tutto, ovviamente, nei noti limiti del diritto all’informazione.

La presunzione di innocenza oggi

Quanto fin’ora detto ha sicuramente pieno valore da un punto di vista tecnico-teorico ma, nella realtà dei fatti, tale principio rischia di venire meno oggi più che mai. Sono sempre più numerosi i fatti in cui l’opinione pubblica, complici i mass media o i social network, dà sfogo ai propri istinti inquisitori. Molti servizi giornalistici, senza fare esempi specifici basta guardarsi intorno, mettono da parte la presunzione di innocenza per acchiappare qualche lettore in più esponendo un soggetto, addirittura prima dell’inizio dello stesso processo, alla pubblica gogna additandolo come colpevole in partenza. Tale modus operandi ha raggiunto livelli inimmaginabili: dopo la diffusione della notizia, infatti, prescindendo dall’effettiva colpevolezza o meno dell’imputato, per l’immaginazione pubblica egli è già colpevole. Per questo passaggio, purtroppo, deve ringraziarsi l’immediatezza della diffusione presente oggi grazie a smartphone, tablet e internet in generale. Una notizia infatti, vera o falsa che sia, può esponenzialmente raggiungere un pubblico illimitato nel giro di pochi secondi. Questo, oltre a far passare in secondo piano l’effettività della condanna o meno, si scontra con la durata del processo che in Italia può definirsi “ragionevole” soltanto sulla carta. Nel momento in cui esso si concluderà, ormai, il pensiero pubblico si sarà già orientato su un nuovo “cattivo” dimenticando la vicenda o, peggio, sarà talmente consolidato da prescindere dal risultato giudiziale rimanendo imprigionato nella convinzione personale già formata.

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Così facendo l’imputato, come persona, subisce un vero e proprio processo pubblico che va dal momento iniziale delle indagini e si conclude immediatamente nello sbagliato sillogismo “indagato-colpevole”. Per far fronte a tale situazione non occorrono grandi riforme, non serve l’intervento della mano invisibile dello Stato. Quello che serve è ricordarsi del principio fondamentale della presunzione di innocenza, comprendere che non è solo una regola riservata ai cultori del diritto o ai tecnici in senso stretto ricordandosi, inoltre, che la realtà dei fatti e la realtà processuale non sempre coincidono ma, lo status di colpevole rilevante ai fini della legge, è unicamente quello sentenziato in via definitiva dal Giudice e non quello propinato dai giornali, dalla pagina Facebook di fiducia o quello frutto delle proprie elucubrazioni. Ciò che dovrebbe diffondersi, di converso, è l’esistenza e l’importanza del succitato principio avendo il coraggio di discostarsi da quella massa di articoli di tipo accusatorio, avere il coraggio di non cavalcare l’onda pericolosamente diffusa del populismo e lasciare che la giustizia faccia il suo corso nel rispetto non solo delle leggi nazionali e sovranazionali ma, in primo luogo, della vita umana.

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Michele Corato

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