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Israele e Palestina: alle radici di un conflitto

Published by
Davide Finazzi

Il 15 maggio lo stato d’Israele celebrerà i settant’anni di vita. Sarà un anniversario denso di discussioni, polemiche e fraintendimenti. Vediamo allora di arrivarci più preparati, cercando di capire, in maniera quanto più sintetica possibile, la storia recente di una regione tanto piccola eppure tanto instabile del globo, resa ancora più aspra dalla decisione di Donald Trump di spostare l’ambasciata americana in Israele nella città di Gerusalemme.

Facciamo un salto indietro nel tempo, fino all’antichità. Com’è noto, fin dal secondo millennio prima di Cristo l’attuale Palestina è abitata da una popolazione di fede ebraica, che ritiene di occupare legittimamente la terra assegnatale dal proprio Dio. Nel 130 a.C. la regione è occupata dai romani, che nonostante le tensioni lasciano un’ampia libertà di culto. I contrasti politici e religiosi fanno però scoppiare la prima rivolta ebraica nel 70 d.C., che è repressa duramente: il Tempio di Gerusalemme viene distrutto. Le successive grandi rivolte  nel 115 e nel 132 fanno precipitare la situazione: i romani, stanchi dell’ostinazione degli antichi giudei, proibiscono loro di risiedere a Gerusalemme e obbligano di fatto la maggior parte degli ebrei a migrare in altre provincie dell’impero: è la diaspora. Nei territori sottomessi a Roma nascono comunità ebraiche, che nel corso dei secoli avranno una storia travagliata.

Ricostruzione del secondo Tempio di Gerusalemme distrutto dai Romani durante la rivolta del 70d.C. (www.travelphotoblog.it)

La Palestina passa all’impero romano d’oriente, o bizantino, dopo la scissione imperiale del 395. Sotto il dominio bizantino gli ebrei rimasti conosco diverse persecuzioni, fino a che nel 637 con la battaglia di Gerusalemme la regione è conquistata dagli eserciti arabi in espansione. I nuovi dominatori sono più tolleranti con gli ebrei. Escludendo la parentesi delle crociate, da quel momento in poi la Palestina sarà dominata e principalmente abitata da popolazioni di fede islamica. Sotto l’impero ottomano, arrivato nel 1517, la regione era arretrata, scarsamente popolata da parte di poveri braccianti alle dipendenze di grandi latifondisti: secondo un censimento del 1880 vi abitavano solo 150.000 arabi e 24.000 ebrei.

Nel corso del XIX secolo però alcuni eventi avvenuti in Europa portano a un cambiamento della situazione. Le condizioni delle comunità ebraiche, per secoli discriminate per motivi religiosi ed etnici, vengono parificate a quelle degli altri cittadini in molti Paesi dell’Europa occidentale, grazie anche all’influsso dell’Illuminismo. Non è cosi però nei territori dell’impero russo: a partire dal 1880 avvengono violenti pogrom ai danni delle comunità ebraiche, accusate dalla popolazione esasperata dalla povertà di essere la causa di vari problemi socioeconomici, spesso con il silenzio-assenso delle autorità zariste che lo vedevano come un modo di evitare rivolte contro il governo.

Coloni al lavoro in un kibbutz (www.haaretz.com)

A fine secolo, il caso Dreyfus in Francia dimostra che l’antisemitismo è vivo anche negli stati considerati più progrediti. Di fronte a questi avvenimenti, anche per l’influsso degli ideali nazionalisti da un lato e socialisti dall’altro che stanno circolando in Europa, alcuni ebrei iniziano a maturare una nuova presa di posizione: nasce il Movimento Sionista. Il fondatore e principale esponente è considerato Theodore Herzl, ungherese, che aveva tra l’altro seguito il caso Dreyfus come giornalista. L’idea essenziale del movimento è che gli ebrei si dotino, come stavano facendo all’epoca molte popolazioni europee, di un proprio stato nazionale in cui essere al sicuro dalle persecuzioni e poter esprimere liberamente e la propria cultura, tesi espressa chiaramente da Herzl nel suo libro Der Judenstaat (1896).

Il movimento sionista ai suoi inizi non era compatto sulla scelta della Palestina come luogo per il futuro stato ebraico, anche se ne fu tentato, senza successo, l’acquisto presso il sultano ottomano. Si valutarono anche altri territori come l’Argentina e alcune regioni dell’Africa. Con il primo Congresso Sionista di Basilea del 1897, il movimento si struttura e decide definitivamente di eleggere la Palestina come territorio per la nuova nazione: si crea un fondo per l’acquisto di terre palestinesi, il Fondo permanente per Israele, si chiede ufficialmente una carta di tutela per l’immigrazione ebraica alla comunità internazionale e si incitano gli ebrei a tornare ai valori unificanti della propria religione.

Già nei primi anni ’80 del XIX secolo è cominciata la prima Aaliyah («ascesa» in ebraico), ovvero l’immigrazione di ebrei verso la Palestina, da parte di profughi in fuga dai pogrom russi. Inizialmente riguarda poche migliaia di persone, ma man mano che il movimento sionista si struttura esse sono sempre di più, fino a diventare centinaia di migliaia. Nei primi anni del ‘900, i coloni ebraici iniziarono a comprare terre dai grandi proprietari terrieri arabi e a fondare città, ad esempio Tel Aviv, e i kibbutz: il primo fu Degania, nel 1909. In questi avamposti agricoli, di ispirazione socialista, la proprietà della terra e di tutti gli altri beni era comune e gli abitanti erano ripagati del lavoro con la suddivisione di quello che producevano.

Nei primi decenni del XX secolo l’intera regione stava conoscendo un discreto sviluppo demografico: anche la popolazione araba era in crescita e inizialmente sembrava che le due comunità, nonostante qualche dissapore dovuto alle differenze religiose e all’acquisto di terre, potessero convivere: non era inusuale che ebrei e arabi lavorassero insieme, vivessero in insediamenti contigui, celebrassero dei festeggiamenti comuni per alcune occasioni importanti.

Nel novembre 1917, con la speranza di ottenere l’appoggio degli ebrei in uno dei momenti più difficili del primo conflitto mondiale, il ministro degli esteri britannico Balfour dichiarava che il suo governo era disposto a garantire «la creazione di un focolare nazionale ebraico in Palestina»; la dichiarazione era volutamente vaga, ma di fatto costituì in seguito un vincolo per i britannici sostenere la creazione dello stato ebraico, pur tra molte ambiguità. Difatti a guerra finita la Società delle Nazioni pose la Palestina sotto mandato britannico, rendendola una sorta di protettorato.

Con il passare del tempo anche la popolazione araba iniziava a reclamare uno stato indipendente, ma i dissapori tra i capi locali impedivano di avanzare richieste comuni e coerenti, mentre già nel 1923 i sionisti crearono un proprio organo di rappresentanza politica, l’Agenzia Ebraica. Nel frattempo, l’attrito tra ebrei e arabi cresceva: molti arabi erano esasperati per l’acquisto di terre, che dai grandi latifondi passava ora anche alle piccole proprietà, e per il continuo arrivo di immigrati, al punto da creare alcune bande armate per contrastare i flussi migratori. Ma anche dall’altro lato cresceva il senso di insicurezza, tanto già nel 1909 vennero create delle milizie armate di autodifesa ebraica che nel 1920 confluirono per la maggior parte nell’Haganah, un’organizzazione paramilitare che nel corso degli anni andò sempre più strutturandosi come un vero e proprio esercito. Già nel 1929 vi furono degli scontri su vasta scala con decine di morti fra entrambe le popolazioni. A partire da quell’anno inoltre aumentò la disoccupazione fra gli agricoltori palestinesi, esasperando ulteriormente gli animi.

La situazione degenerò nella primavera del 1936. Il 15 aprile un gruppo di miliziani arabi uccise due commercianti ebrei nei pressi di Tel Aviv: nacque una catena di rappresaglie che in pochi giorni porto alla cosiddetta grande rivolta araba. I leader palestinesi si riunirono nell’Alto comitato arabo, che doveva essere nelle intenzioni il loro organo politico: il comitato proclamò uno sciopero generale, che ebbe però poco successo, e chiese la fine dell’immigrazione ebraica. Nei tre anni seguenti vi furono feroci scontri tra le milizie arabe e le forze britanniche ed ebraiche, principalmente l’Haganah, legate da un’alleanza di fatto.

Soldati britannici disperdono manifestanti arabi a Gerusalemme nel 1936 (AP Photo)

Non mancarono attentati terroristici da entrambe le parti: ad esempio l’organizzazione estremista ebraica dell’Irgun si rese colpevole di diverse stragi di civili arabi.

Nel marzo 1939 la rivolta poteva dirsi sedata: nonostante la vittoria, i britannici preferirono assecondare alcune richieste palestinesi onde evitare nuovi scontri. Con il Libro Bianco di quell’anno decisero di limitare l’immigrazione di ebrei in Palestina a 75.000 all’anno, ma proprio in quel periodo stavano cominciando a dilagare le persecuzioni antisemite naziste in Europa: molti ebrei si videro così preclusa una possibile via di fuga. Le organizzazioni sioniste decisero allora di sostenere l’immigrazione clandestina, benché osteggiate dai britannici: questo portò a violenti scontri tra milizie ebraiche e truppe inglesi.

Con la fine della guerra l’immigrazione ebraica, pur con alcune difficoltà, ad esempio l’episodio della nave Exodus, riprese massiccia: e con essa anche gli scontri tra etnie.

Proposta della risoluzione 181 1948 ONU (wikiwand.com)

Sulla fine del 1947 la situazione della regione era ormai di costante guerra civile e i britannici, ormai esasperati dal dover amministrare una regione così instabile, decisero di rimettere il mandato alle Nazioni Unite. Con la risoluzione 181 del 29 novembre 1947 l’ONU propose un piano di spartizione della Palestina comprendente uno stato arabo, uno ebraico e Gerusalemme zona franca sotto mandato internazionale. La risoluzione fu molto criticata da più fronti (ad esempio le organizzazioni arabe lamentavano la mancava di continuità territoriale dello stato loro assegnato). I britannici annunciarono che si sarebbero ritirati il 15 maggio del 1948: di fatto non si riuscì per quella data a raccogliere tra le parti in gioco la volontà politica per attuare la risoluzione.

I sionisti decisero di passare all’azione e il 14 maggio, nel Tel Aviv Museum, David Ben-Gurion, presidente dell’Agenzia ebraica, proclamò la nascita dello Stato di Israele: era avvenuto il passo che i sionisti attendevano da decenni.

Ben Gurion legge la dichiarazione d’indipendenza israeliana il 14 maggio 1948

L’agenzia ebraica divenne il governo provvisorio e Ben Gurion il primo ministro, mentre l’Haganah fu trasformato nell’esercito israeliano. Il giorno seguente una coalizione composta da Transgiordania, Iraq, Libano, Siria, Arabia Saudita e Yemen, con l’appoggio di milizie palestinesi, entrò nei territori israeliani non riconoscendo la dichiarazione indipendenza. Il neonato stato si trovò a combattere la prima di molte guerre.

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