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Quel Fantastico Ottocento tedesco

Published by
Bianca Coluccio

Germania, Ottocento: il paese si lascia dietro la stasi del secolo precedente per approdare a un momento di dinamismo legato alle nuove scoperte e alle invenzioni tecniche. Lusingato dalla piega positiva che ha assunto il presente, l’uomo tedesco si prospetta in un futuro ancora migliore, immaginando che progresso e tecnologia stravolgeranno le vite di tutti. In questo contesto il concetto di scienza si compone tanto di verità scientifiche effettive, quanto di pratiche e discipline non riconosciute, come il magnetismo animale o le cosiddette “scienze notturne”. È questo il terreno storico e sociale su cui nasce il genere Fantastico del primo Ottocento.

Una prima testimonianza in tempi recenti di fantastico letterario la si ha nel 1818, quando Mary Wollstonecraft, conosciuta col cognome del marito Shelley, pubblica il suo Frankenstein. L’idea era nata due anni prima: Mary era fuggita con Percy Shelley a Villa Diodati, nel sobborgo ginevrino di Cologny, in Svizzera. In casa erano presenti anche Lord Byron e il suo medico personale Polidori. La donna aveva scovato un’edizione francese di racconti fantastici tedeschi intitolata Fantasmagoriana, sotto l’influenza della quale era nata una sfida a chi avesse scritto un racconto terrificante per le sere successive. Applaudita con entusiasmo la proposta, si rievocarono quella sera immagini spaventose e creature terrificanti di streghe, fantasmi e morti. Di fatto, sulla scia delle suggestioni discusse, Byron aveva iniziato un poema mai terminato, mentre Polidori e Mary Shelley crearono due figure in seguito fondamentali per l’horror e il fantastico letterario. Dalla penna di Polidori era venuto fuori il racconto The Vampire, che aveva come protagonista Lord Ruthven, archetipo sia del cadavere vivo che del vampiro: «Osservava con sguardo fisso l’allegria che lo circondava, come se non potesse prendervi parte. Quando la gaia risata di una bella fanciulla attirava la sua attenzione, la gelava con uno sguardo, e incuteva paura in quegli animi in cui regnava la superficialità. Coloro che percepivano questa sensazione di ti­more non riuscivano a spiegarsi da cosa derivasse: alcuni la attribuivano ai suoi occhi color grigio opaco che, fissandosi su un volto, sembrava non riu­scissero a penetrarlo e a raggiungere subito i più intimi meccanismi dell’a­nima, ma ricadevano sulla guancia simili a un raggio pesante come piombo, opprimendo la pelle senza poterla oltrepassare». Di questo stesso personaggio si servirà Stoker per il suo Dracula. Mary Wollstonecraft invece partorisce quel Frankenstein o Prometeo Moderno oggi tanto utilizzato e tanto conosciuto. Victor, lo scienziato del racconto, desiderando il potere divino di generare la vita, crea un mostro costituito da parti di cadaveri differenti animate tramite impulso elettrico – più o meno secondo la scia degli esperimenti di Luigi Galvani.

Elsa Lanchester e Boris Karloff nel film The Bride of Frankenstein, diretto da James Whale.

L’anno precedente a quello in cui la compagnia di scrittori aveva dato il via a quel gioco letterario, usciva il racconto L’uomo della sabbia di Ernst Hoffmann. Scrittore dalla personalità difficile, da bambino aveva subito la separazione, al tempo inusuale, dei suoi genitori. Da principio visse con la madre, ma quando questa ebbe un crollo nervoso, se ne presero carico la nonna materna e gli zii. L’ambiente domestico era piuttosto soffocante e gli procurò una serie di traumi psichici che chiaramente da grande si riversarono nelle sue produzioni.
L’uomo di sabbia, nella cultura nord-europea, è un personaggio connotato positivamente che aiuta i bambini ad addormentarsi. Nel racconto, invece, questa connotazione viene rovesciata dando vita al cosiddetto unheimlich, il perturbante: il riconoscimento del non-familiare, nuovo e incredibile in ciò che prima si considerava familiare genera un conflitto di giudizio, un particolare sgomento. 
Centrale all’interno della narrazione è anche l’attenzione che si dà alla percezione visiva. Gli occhi dei personaggi vengono sempre descritti più o meno efficacemente, è presente la figura del “Geisteseher“, ovvero il visionario che vede ciò che non c’è, e inoltre il Sandmann, oltre a frapporre fantasmi tra il bambino protagonista e la sua famiglia, è solito cavare gli occhi ai bambini.
Quando il terrore e la paura provocano al bambino protagonista un’altissima febbre, il racconto conduce a un superamento della soglia umana per approdare a una nuova soglia esperienzale al limite del reale.

Edizione Mondadori del libro L’uomo della sabbia e altri racconti di Ernst Hoffmann.

Nel racconto di Hoffmann i due piani, quello del fantastico e quello del reale, sono mescolati al punto da non essere identificabili. Ne Il biondo Eckbert di Tieck, l’autore si colloca esattamente tra i due mondi, che in questo modo per quanto interconnessi risultato comunque riconoscibili. Tieck non si pone come una via di mezzo tra il fantastico e il realistico ma intraprende la via di un dualismo consapevole in cui le due correnti coesistono e vivono parallelamente dall’inizio alla fine.
La storia viene raccontata per tramite di molte cornici che si aprono e si chiudono. Una prima cornice è quella del racconto – nel racconto – di Bertha a Walther sotto la spinta di suo marito. Dopo essere fuggita dalla sua famiglia e aver vagato per giorni, era stata accolta presso una donna anziana cui facevano compagnia un cane e un pappagallo. Quest’ultimo non solo deponeva uova con all’interno gemme preziose, ma cantava anche la solitudine della foresta, la cosiddetta Waldeinsamkeit, parola intraducibile della lingua tedesca. Da qui la storia si profila come un buildingsroman. Da qui a breve si chiuderà la prima cornice per lasciar spazio alla seconda. Da questo punto in poi il racconto di Tieck si fonderà sul dialogo tra familiare e perturbante, tra proprio e sconosciuto. Come sostiene Micaela Latini in Vuoti di memoria – Quattro voci sull’oblio «Nel Biondo Eckbert, Tieck mette in opera una consapevolezza fondamentale: il fatto che l’uomo è un essere più profondo, più perturbato e più perturbante di quanto non si creda». 

Ludwig Tieck (1773- 1853).

Lo studioso di origine bulgara Cvetan Todorov, nel suo saggio La letteratura fantastica, opera una tripartizione del genere fantastico. Una prima categoria è quella del fantastico strano, in cui gli elementi che pare rompano con la realtà possono essere razionalizzati se ricondotti all’infermità di un personaggio, a elementi onirici, a spiegazioni scientifiche o parascientifiche. In questo senso si parla di forzature del paranormale. Tra questa categoria e le altre due esiste una linea di demarcazione forte: al fantastico strano si possono dare delle spiegazioni del tutto razionali, alle altre maniere del fantastico no. Al fantastico meraviglioso, seconda categorizzazione del genere, appartengono quelle storie che si svolgono all’interno di un piano del tutto disancorato rispetto a quello reale. In questi racconti regnano personaggi irreali, tipici delle fairy tales della Britannia celtica. Il più complesso è il fantastico puro. A questo proposito Todorov parla di una esitazione tra il primo e il secondo tipo. Chi legge, insomma, non riesce bene a individuare se la situazione prospettata sia del tutto sganciata dalla realtà o se quello che accade può essere in qualche modo spiegato razionalmente. Ed è esattamente in questa dialettica tra le due possibilità che si inseriscono i due esempi analizzati, proprio nell’asse che si crea tra questi due poli nasce lo sconcerto, il perturbante, l’angoscioso.

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Bianca Coluccio

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