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Il filo di Ad Reinhardt nel labirinto dell’arte contemporanea

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Maria Letizia Camparsi

«Il peggior nemico del pittore moderno è il creatore di immagini, colui che crea nelle persone l’illusione che non serva conoscere nulla dell’arte o della storia dell’arte per capirne qualcosa». Ma osservare un dipinto non è così semplice come sembra. E l’artista statunitense Ad Reinhardt, noto principalmente per le sue tele completamente nere, decide allora di offrire al pubblico il suo aiuto. Una bussola con la quale orientarsi nel mare magnum dell’arte contemporanea. Inizia così la sua celebre serie di fumetti intitolata How to Look, una selezione dei quali è in mostra fino al 20 maggio 2018 alla Galleria Civica di Modena. Qui il pittore, dalla seconda metà degli anni Quaranta, propone la sua visione artistica, non risparmia critiche all’operato di alcuni colleghi e arriva a sovvertire gli schemi didattici creati da Alfred Barr, il primo direttore del Museum of Modern Art di New York.

I cosiddetti “Black paintings” degli anni Sessanta, che Reinhardt definì “i dipinti supremi”, esposti alla David Zwirner Gallery.

Una nuova concezione di arte nei fumetti di Reinhardt

Reinhardt, attivo tra gli anni Quaranta e Sessanta, si occupa principalmente di pittura e fotografia. Ma dal 1946 al 1954 si dedica anche a un progetto parallelo: realizzare alcune sequenze di disegni per difendere lo sviluppo e la comprensione dell’arte astratta. In queste incanala il suo intero bagaglio culturale e una grande dose di ironia, con lo scopo di guidare lo spettatore verso una maggiore consapevolezza artistica.

How to Look è la piattaforma privilegiata dall’artista per comunicare i suoi messaggi. L’obiettivo è quello di fare un po’ di chiarezza sulla nuova concezione di arte, messa in discussione da molti critici conservatori del tempo. Le tecniche degli artisti e l’esperienza degli spettatori si sono evolute nel corso della storia, passando attraverso varie fasi e correnti di pensiero. E quindi, come è naturale che sia, «ogni epoca ha sviluppato un proprio metodo per descrivere lo spazio e il tempo», spiega Reinhardt. «La storia dell’arte moderna è anche una storia dello spazio-tempo moderno».

L’arte perde le sue forme

Il lavoro di Reinhardt parte da alcune riflessioni sull’evoluzione dell’arte, in particolare di quella moderna e contemporanea. Alla fine degli anni Quaranta afferma: «Passando in rassegna una sequenza di “stili” pittorici nell’arco degli ultimi cent’anni, da Manet a Mondrian, ci rendiamo conto di come il “soggetto” (o l’intenzione dell’immagine) sia scomparso nell’aria rarefatta e nei densi pigmenti. Di come l’immagine dipinta, incorniciata e titolata sia diventata inutile a livello creativo (è finita)». Infatti, come ogni disciplina, anche l’arte nel corso della storia si è fatta sempre più complicata, fino ad avvicinarsi alla linea di confine tra arte e “non-arte”.

Così nel Novecento, in seguito all’affermazione delle Avanguardie storiche in Europa, pare che tutto il sistema artistico convenzionale venga messo in crisi. Serpeggia tra la gente il dubbio che le opere contemporanee non siano più considerabili arte. I dipinti si fanno sempre più astratti e qualcuno inizia ad affermare che “li saprebbe fare anche un bambino”. Ma, come spiega Reinhardt, la graduale perdita di forme e verosimiglianza che vi si riscontra è dovuta al contesto in cui le opere si sono sviluppate, caratterizzato da eventi traumatici quali le guerre mondiali. È quindi la naturale evoluzione dell’arte, che segue in ogni epoca la linea di pensiero dell’uomo. Non si raffigura più ciò che si vede con gli occhi del corpo e ciò che impongono le regole della prospettiva, ma si comincia a disegnare ciò che si vede con gli occhi della mente.

The Rescue of Art, dettaglio di How to Look Out (PM 23/06/1946).
Black paintings in mostra alla David Zwiener Gallery. Foto: New York Times

L’arte astratta di Reinhardt

Per capire il metodo d’inchiesta dell’artista nei confronti dell’arte del suo tempo, può essere utile partire dall’analisi delle sue stesse opere. Negli ultimi vent’anni della sua vita egli alterna alla pittura la fotografia e realizza anche delle diapositive con i suoi scatti. Proietta poi queste nei suoi eventi detti non-happenings, ovvero parodie degli happenings d’avanguardia organizzati nella New York del tempo. Il metodo di presentazione delle diapositive costituisce un contraltare produttivo per i dipinti dell’artista: le lezioni di Ad immergono lo spettatore in uno spazio buio in cui la luce appare e scompare, in linea con le descrizioni dei suoi Black paintings che immaginano la “promessa di un granello di luce” delle opere.

Le sue tele nere degli anni Cinquanta e Sessanta influenzano ampiamente le pratiche minimaliste e concettuali. Hanno raggiunto la purezza “definitiva” di dipinti intenzionalmente “invisibili”, impossibili da riprodurre attraverso le fotografie o le diapositive e indescrivibili con qualsivoglia termine di paragone. Merito anche dell’influenza delle opere del pittore russo Kazimir Malevich, fondatore del Suprematismo. Il suo dipinto Quadrato nero del 1915 lo ispira a utilizzare campiture di colore coprente disposte in pattern geometrici. Il risultato sono tre serie di pitture monocromatiche: i Red Paintings, i Blue Paintings e, soprattutto, i Black Paintings (quadri apparentemente tutti neri, ma in realtà composti da lievissime sfumature intorno al nero). La saturazione dell’immagine di questi rappresenta la volontà dell’artista di raggiungere un’arte astratta che non contenga richiami narrativi né emotivi, senza il minimo riferimento alla realtà. Tra i pochi a realizzare dipinti astratti negli anni Trenta, Reinhardt è fondamentale nello sviluppo dello stile che diventa noto come Espressionismo astratto nel corso degli anni Quaranta.

La serie How to Look: un approccio attivo all’opera d’arte

«Non si può far esperienza dell’arte tramite le descrizioni», diceva Moholy-Nagy, esponente del Bauhaus. «Spiegazioni ed analisi possono servire tutt’al più come preparazione intellettuale e come incoraggiamento per stabilire un contatto diretto con le opere d’arte». Così Reinhardt cerca di stimolare nello spettatore un approccio sempre attivo, spingendolo a comunicare con il quadro, a entrarci dentro e partorire le proprie riflessioni. Con i suoi fumetti, poi, si propone di mostrare ciò che l’arte educa a vedere nell’arte stessa, richiedendo al pubblico tempo e impegno.

Dopo aver studiato e insegnato storia dell’arte per gran parte della sua vita, nel 1958 l’artista dichiara: «Non credo nell’originalità. Io credo nella Storia dell’arte». E quindi nell’importanza di considerare ogni prodotto artistico all’interno di un continuum. Questa affermazione è comprovata nella sua serie di vignette How to Look, pubblicate ogni due settimane sull’edizione domenicale del quotidiano liberale PM. Il fumetto non è diretto unicamente ai lettori, ma anche ai colleghi artisti. Presenta un approccio didattico nel quale Reinhardt ironizza sul ruolo dell’intrattenitore pronto a spiegare tutto. Tramite questa figura esprime anche osservazioni taglienti sulla storia dell’arte, sulla politica e sulla cultura del suo tempo. E benché le sue linee guida siano fortemente ironiche, la serie fornisce molte informazioni utili su diversi approcci e temi artistici del periodo.

Come guardare le cose attraverso un bicchiere di vino

How to Look at Things Through a Wine-Glass, PM 07/07/1946.

In questo fumetto – How to Look at Things Through a Wine-Glass – l’artista mostra attraverso una serie di disegni come uno stesso oggetto, un bicchiere di vino, possa essere visto e rappresentato diversamente in base al pittore e alla corrente artistica di appartenenza. Così si inizia da un bicchiere disegnato in prospettiva perfetta, con i contorni precisi e un’ombreggiatura armoniosa. L’imitazione “classica” di un bicchiere come un corpo solido in uno spazio. Segue l’interpretazione dell’oggetto da parte di un pennello impressionista, e poi di uno cubista. Nella riga sotto si continua con il Puntinismo, l’Espressionismo, il Futurismo e il Costruttivismo.

Alla fine, la tensione astrattiva aumenta fino a sfociare in un quadro completamente bianco, che conclude la serie abbinato a questa descrizione: «Non concludiamo ma iniziamo con uno spazio liscio. Un artista prova a dargli vita – tu finalmente sei il soggetto – lui prova a dare vita a te». Sotto ancora si trovano scritte delle frasi, che coronano la riflessione sull’arte delle Avanguardie. Una di queste è ripetuta per ben tre volte: «L’occhio non è solo quello del corpo, ma anche quello della mente».

What do you represent?

Dettaglio di How to Look at a Cubist Painting.

Questa scena viene ripetuta diverse volte nella rubrica How to Look. Pone un dubbio amletico allo spettatore, già intento a domandarsi quale sia il significato dell’opera di fronte a lui. Per farlo, dà voce al quadro stesso che si rivolge all’astante e gli chiede: «E tu che cosa rappresenti?». Questo schizzo compare nella serie in diversi contesti e dimensioni per evidenziare il rapporto biunivoco tra spettatore e opera d’arte. È una strategia già adottata da Reinhardt, che con il suo sguardo attento sulla storia dell’arte riadatta spesso alcuni dei suoi fumetti più distintivi in maniera ironica e inaspettata.

Come guardare l’arte bassa (surrealista)

«Nell’arte surrealista si sono persi gli spazi – riporta Reinhardt –, gli edifici sono vuoti, gli oggetti sono morti. È l’immagine scioccante della bassa spiritualità di un mondo che patisce l’avidità, l’odio razziale e lo sfruttamento umano. Gli spazi non hanno dignità né naturale né umana». Questa puntata di How to Look (at Low -Surrealist- Art) è dedicata al Surrealismo e l’artista inizia il fumetto riproponendo lo schizzo What do you represent?, abbinato a una didascalia. In questa l’artista riflette su come un dipinto non sia qualcosa di facile, né un’immagine graziosa, bensì un linguaggio complesso che bisogna imparare a leggere. «Se ancora pensi che i dipinti debbano essere immagini – scrive poi –, forse non c’eri quando il surrealismo stravolse la tradizione dell’arte figurativa e la distrusse. Scavando a fondo nei recessi della tua mente, l’arte surrealista sferra colpi bassi e le cose che vedi diventano molte altre cose». Prosegue il ragionamento suggerendo di chiarire il problema di ciò che personalmente rappresentiamo e, infine, incalza ancora lo spettatore perplesso: «Se non ci hai mai perso nemmeno un fine settimana, che cosa puoi conoscere del tuo subconscio o del tuo inconscio?».

Come guardare l’arte alta (astratta)

How to View High (Abstract) Art (PM 24/03/1946).

Poiché la musica è la più astratta tra le arti, la pittura astratta è spesso paragonata alla musica da camera e al jazz (similmente l’architettura è musica congelata). Come cercano di spiegare le immagini e le didascalie di questo fumetto, How to View High (Abstract) Art, molti suoni “artefatti” non intendono imitare alcunché, vanno apprezzati per il ritmo e la struttura. Al contrario, alcune vedute “artefatte” come il dipinto figurativo o l’illustrazione cercano di riprodurre o evocare vedute naturali e associazioni.

Sono i dipinti astratti e non-oggettivi allora ad assomigliare alla musica. Questi intendono  creare inedite relazioni tra linee, colori e spazi e vanno apprezzati in quanto tali. Così non si può pretendere che il segreto intrinseco di un quadro astratto si schiuda magicamente davanti a noi. E Ad Reinhardt, rivolgendosi allo spettatore, conclude con una sentenza a tratti folgorante: «Un dipinto astratto reagirà a te se tu reagirai a lui. Da esso otterrai quel che ad esso darai. T’incontrerà a metà strada ma non oltre. È vivo se tu sei vivo. Rappresenta qualcosa e anche tu lo fai. Anche tu, caro signore, sei uno spazio».

Dettaglio del fumetto How to Look at Space, PM 28/04/1946.

Ad Reinhardt non pretende di fornire una chiave di lettura univoca per l’arte. Cerca piuttosto di restituire dei frammenti di una realtà complessa. Ognuno poi può raccoglierli per comporre il proprio mosaico di esperienza artistica, usando come collante la Storia dell’arte e la rispettiva sensibilità.

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Maria Letizia Camparsi

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