Amata e tartassata dai media in maniera costante e puntuale, Napoli resta un punto di riferimento soprattutto per il Sud Italia ma anche terra di promesse per quanto riguarda la politica e la gestione dello Stato. Una città bellissima quanto complicata, nella quale tutto può accadere e qualcosa è già accaduto. Tra le cose già successe si può sicuramente annoverare la volontà (e la necessità) di cambiamento che i cittadini hanno voluto intraprendere rispetto alle politiche tradizionali. D’altronde la fiducia a Luigi De Magistris si può leggere specialmente sotto questo aspetto. Una delle protagoniste di questo tentativo di rinascita partenopea è Alessandra Clemente, Assessore alle Politiche Giovanili del Comune di Napoli che abbiamo intervistato per la nostra rubrica di punta. Una ragazza giovane e volonterosa che ha saputo costruire il suo futuro partendo da un terribile dramma (la madre fu vittima innocente di un agguato di camorra) e che ha deciso di metterci faccia, energia, sudore e cuore per provare a cambiare le cose dall’interno. Riuscendoci, per fortuna.
La tua carriera politica sta ormai andando a gonfie vele: da anni sei tra le persone più stimate e lodate per il tuo lavoro sul territorio. C’è qualcosa di cui vai maggiormente fiera, in relazione a quanto fatto per aiutare la città e i cittadini a svegliarsi dal torpore?
«Sono molto contenta di essere riuscita nel mio intento di aprire le porte dell’Assessorato ai Giovani a tutte le energie che lo desideravano. La cosa di cui vado più fiera e di aver concretizzato e portato a termine molti obiettivi».
La tua discesa in politica, vista la tua storia, assume i toni di una responsabilizzazione enorme nei confronti della tua città ma anche di te stessa. A mente freddissima e con un po’ di esperienza ormai accumulata, rifaresti questa scelta?
«Assolutamente sì. Sono onorata di essere a servizio della mia città e di contribuire, nel mio piccolo, alla crescita e allo sviluppo del territorio in cui sono nata e cresciuta. Certo, i momenti difficili e lo sconforto sono sempre dietro l’angolo. Ogni mattina però, quando apro gli occhi, sento le mie grandi motivazioni che mi spingono ogni giorno a fare meglio di quello precedente. Sogno una città con più giustizia sociale e meno dolore, ricca di opportunità e bellezza. Credo nel primato della politica e delle persone sui sistemi, quindi non posso delegare ma solo darmi da fare».
In questi anni ti sei sembra battuta contro ogni sopruso, ma la situazione a Napoli resta difficile, soprattutto per chi vive nelle periferie. La strada migliore per combattere un certo tipo di degrado sembra essere quella di plasmare una nuova forma mentis che si liberi delle catene della mentalità criminale. Stiamo parlando di utopia o una missione simile è davvero possibile?
«Ogni giorno contrastiamo atteggiamenti radicati nel nostro modo di vivere la città, che è necessario e fondamentale archiviare al più presto come storia del passato. Le armi più potenti sono l’educazione e la cultura. In questi anni il cambio di passo messo in atto dall’Amministrazione comunale ha costretto tanti ad adeguarsi e abbandonare cattive abitudini e atteggiamenti di incuria verso la città e i concittadini. L’impegno è (e deve continuare a essere) massimo per tutti i quartieri. Nessuno escluso».
La morte di tua madre, Silvia Ruotolo, per mano della camorra è soprattutto la morte di una persona innocente, un episodio purtroppo non isolato e che si è ripetuto anche negli anni successivi, distruggendo altre famiglie. Hai avuto modo di conoscere altre persone che hanno vissuto il tuo stesso dramma?
«Da quell’11 giugno del 1997 è iniziato per me un lungo percorso di appartenenza all’Associazione Libera, al fianco di Don Luigi Ciotti. In questi undici lunghi anni abbiamo scoperto che sono tantissime le famiglie, in ogni parte d’Italia, che vivono il nostro stesso dolore e, ahimè, anche tante altre famiglie napoletane, che si sono aggiunte al nostro cammino di verità e giustizia contro la violenza criminale. La cosa straordinaria di queste storie è come i familiari siano diventati testimonianza di memoria e impegno affinché non accada ad altri quanto vissuto drammaticamente sulla propria pelle».
Il primo ricordo che viaggia nella tua mente quando pensi alla tua mamma?
«Una bellissima giornata piena di sole, tanta musica in casa e noi che balliamo spensierata in camera ascoltando alla radio le canzoni preferite».
Credi che gli eventi della tua vita abbiano inevitabilmente condizionato non solo le tue scelte, ma anche il tuo pensiero e le tue azioni nell’ambito di determinati temi? O, a prescindere, avresti comunque sentito il bisogno di impegnarti in prima persona per lottare contro le ingiustizie?
«Questo non posso saperlo. La mia vita ha preso questa piega quando ero solo una bambina di dieci anni. Non so se l’ho superata. Non saprei dire quali siano i parametri per sapere se una persona supera una cosa del genere. Quello che so è che io sono qui, a testa alta, testimonio i miei valori, i miei ideali e sto sicuramente meglio di chi ha ucciso mia mamma. Loro sono condannati all’ergastolo. Io all’impegno. Una bella condanna».
Cosa deve fare – e come deve comportarsi – secondo te un cittadino, nel suo piccolo, per fare il bene della sua città?
«Mi piacerebbe che ogni napoletano vivesse la città come se fosse casa propria, nel rispetto degli spazi e nell’amore verso chi li vive. La cura verso il prossimo e verso l’altro è quanto di più nobile possa esserci, è ciò che fa veramente la differenza tra vivere e sopravvivere».
C’è una differenza tra l’Alessandra Clemente donna e l’Alessandra Clemente Assessore? O è importante, nella vita “reale” come nella politica, essere sempre te stessa, a ogni costo?
«Credo che la donna e l’Assessore debbano necessariamente collaborare in una vita e nell’altra. Ho portato in questa esperienza tante cose di me stessa, dal primo momento ho lavorato duro e ci ho messo tutto il mio impegno. Allo stesso tempo l’esperienza di Assessore mi ha insegnato tanto. Ho imparato a essere molto più equilibrata, diplomatica, lungimirante. Ho dovuto alzare di molto la soglia della pazienza e della capacità di ascoltare, questo mi ha portato a essere un amministratore che si pone come obiettivo di essere saggio, attento, disponibile al confronto e piena di quell’autoironia – per non prendersi troppo sul serio – che ogni tanto ci vuole!».
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