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Bello ma non si applica: (Rise of the) Tomb Raider

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Alan Pasquali

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Tomb Raider può certamente fregiarsi di tre onorificenze: storie mitologiche, saghe appassionanti ma soprattutto di titoli immortali. Parliamo infatti di una serie di videogiochi molto apprezzata e che è riuscita a mantenersi fresca, interessante e al passo con i tempi, risultato per nulla scontato. Guardandosi indietro quest’oggi forse viene da chiedersi che cosa sia effettivamente rimasto integro dei fasti di un tempo, oggi che serie leggendarie e un tempo innovative si tradiscono per i più beceri piaceri terreni, abbandonandosi a consuetudini depravate come le lootbox, il freemium, il bisogno isterico di pubblicare un titolo ogni anno a prescindere dal suo stato. Si sarà salvata la povera Lara da questa barbarie?

(Rise of the) Tomb Raider

Come dicevamo, la cara vecchia Lara ha il suo discreto bagaglio di esperienza, e possiamo trovare un ottimo sunto di questa lunga storia qui. Tuttavia, come spesso accade in molte altre serie, per portare aria nuova a volte non basta aprire le finestre, bisogna anche cambiare i mobili. E così, in un tentativo di rianimazione molto ambizioso, Square Enix nel 2013 riporta alla vita Tomb Raider. Avendo acquisito nel 2009 Eidos Entertainment, ora Eidos Montreal, può inoltre permettersi di redirigere completamente sul progetto Crystal Dynamics, lo studio già responsabile della prima rinascita di Tomb Raider. Il primo e più importante cambiamento nella direzione della saga avviene proprio nel suo cuore: l’eroina Lara Croft. Siamo infatti tutti cresciuti considerandola in una maniera esplicitamente molto femminile, a volte forse eccessivamente femminile. Le modelle e attrici scelte per le campagne pubblicitarie del passato, nonché la scelta per il disastroso debutto sul grande schermo, non fanno altro che confermarci il modo decisamente poco realistico in cui fosse vista questa figura iconica, ovvero più per il fatto di essere una bella femmina che altro. Ma non solo questo. La figura dell’eroe infatti, soprattutto nei lontani anni del boom del fantastico, era intoccabile, pulita e decisamente poco umana. Negli ultimi tempi questa tendenza è cambiata molto, complice forse anche una visione complessiva del mondo stesso molto più cupa e gretta. Ciò che ora funziona non sono più gli eroi senza macchia e senza paura che salvano virtuose donzellette da draghi maligni, ma personaggi realistici, con complicazioni e problemi reali, con desideri e debolezze reali, insomma, qualcuno in cui poter cercare di immedesimarsi senza troppo sforzo. Tomb Raider sale su questo nuovo carro dei vincitori e lo fa in una maniera esagerata, da molti considerata decisamente fuori misura, che gli costerà un rating M da parte dell’ESRB, o Entertainment Software Rating Board per i più colti. Chi infatti ha pensato che Tomb Raider come saga avesse bisogno di più realismo, ed è quindi responsabile della trasformazione di Lara Croft in una ragazzetta alle prime armi, impaurita e spaventata ma soprattutto decisamente meno prosperosa, ha deciso che mancasse un’altra caratteristica fondamentale e realistica: un sacco di violenza gratuita.

Anche solo uno dei diversi e cruenti modi per morire riesce a farci capire quanto la nuova serie di Tomb Raider faccia della violenza un suo pilastro.

Demonizzare la violenza è un atto sciocco, e bandirla completamente o trasformarsi in paladini degli spazi sicuri è altrettanto futile. Usare anzi la violenza come strumento per trasmettere un messaggio può rivelarsi molto utile, soprattutto grazie allo shock che questa dovrebbe provocare nello spettatore. I nuovi capitoli di Tomb Raider non sfruttano la violenza come strumento, ma la trasformano nello standard, uno standard non grottesco per la sua crudezza o per la capacità comunicativa in grado di smuovere le madri che desiderano videogiochi pacifici, ma semplicemente perché insensato. A questo punto bisogna aprire una piccola parentesi: i nuovi Tomb Raider, anche alle difficoltà più elevate, sono decisamente molto semplici dal punto di vista della sfida. Questo non ci pone quindi di fronte a sequele infinite di morti orrende e brutali eseguite in un loop continuo che ci trasformerà lentamente in serial killer spietati, come alcuni potrebbero pensare. Per quale motivo allora la violenza dei due nuovi capitoli di Tomb Raider può veramente definirsi gratuita? Perché come le ragdoll (le animazioni di morte) di altri giochi non suoi concorrenti, finisce alla lunga con il perdere il suo significato. Alla decima animazione in cui Lara finisce impalata perché abbiamo sbagliato la sequenza di tasti sul nostro schermo potremmo provare disgusto o essere scossi. Alla ventesima potremmo provare giusto un leggero fastidio. Alla cinquantesima vorremmo solo non dover perdere ogni volta questi benedetti cinque secondi di, per l’appunto, violenza gratuita. Violenza sì gratuita, ma creata anche con estremo dettaglio. Dettaglio che però ottiene spesso il risultato opposto da quello sperato, ovvero invece di creare immersione la rompe costantemente. Lara infatti riuscirà magicamente ad arrivare dove deve quando deve, procurandosi però sempre e comunque eclatanti ferite e cocenti delusioni nel percorso. Un altro eccesso contrapposto agli eroi che prima non potevano mai farsi male. Questa tendenza viene mantenuta anche in Rise of the Tomb Raider, dove però l’esperienza di Lara con i maltrattamenti dal capitolo precedente la rende leggermente più temprata.

Il sangue, vedere povere ragazzine venire maltrattate, brutalizzate e penetrate ripetutamente dagli oggetti più svariati non vi disturba? Siete fortunati, c’è anche una discreta carrellata di immagini e sequenze fatte apposta per i più desensibilizzati. Vertigini e claustrofobia incluse nel prezzo.

Rimane però un piccolo problema di fondo, che risulta più noioso che altro: il doppiaggio. Questo infatti è realizzato in maniera molto accurata in entrambi i capitoli, ma risulta forse un pochino troppo accurato. Si sconsiglia infatti vivamente di utilizzare casse o altoparlanti durante la propria fruizione di Tomb Raider, se vorrete evitare di dvoer spiegare ai Carabinieri chiamati dai vicini i vostri gusti in fatto di pornografia. Lara urla continuamente. Ogni secondo, ogni istante, mentre sale sulle corde, mentre scala le pareti, mentre spara, mentre le sparano, mentre muore. Non che questo dettaglio sia deludente, ma alla lunga può rivelarsi stancante. Abbiamo fortunatamente quasi finito con le note dolenti di entrambi i capitoli, infatti rimane un solo reale problema a sbarrare la strada dei nuovi arrivati nella lunga serie di Tomb Raider: la semplicità del gameplay. I due nuovi Tomb Raider, come accennato in precedenza, sono molto facili. Persino alle difficoltà più alte, i combattimenti risultano eccessivamente semplici per quanto punitivi. Certo, Lara non è un colosso immortale e un paio di colpi ben assestati sono tutto ciò che è necessario per fermarla, com’è giusto che sia, ma lo stesso può tranquillamente dirsi dei nemici, facilmente eliminabili con un singolo colpo. Questa semplicità finisce con lo scadere nel ridicolo soprattutto nel seguito, Rise of the Tomb Raider, dove qualsiasi spezzone stealth può essere tranquillamente completato grazie a un utilizzo indiscriminato delle frecce velenose, in grado di eliminare interi gruppi di nemici silenziosamente e con precisione magistrale. Le frecce velenose vengono sbloccate più o meno non appena termina la prima parte di gioco guidata, rendendo quasi nullo il grado di sfida di qualsiasi spezzone che permetta di eliminare i nemici grazie alla furtività. Anche le parti non furtive risultano spesso molto ripetitive, benché vada lodato quanto meno il tentativo, anche se infruttuoso, di cambiare questo dettaglio tramite l’utilizzo dello scenario. L’unica reale differenza tra l’andare dritti sparando a tutti e l’utilizzare l’ambiente a proprio favore si tramuta in un piccolo quantitativo di punti esperienza. Raramente ne vale la pena.

Il munizionamento più forte dell’intero gioco viene consegnato a Lara direttamente prima di affrontare il primo orso del gioco. La possibilità di crearsi munizioni in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo finisce brutalmente ogni pizzico di sfida.

Ora che sappiamo per quale motivo Tomb Raider e Rise of the Tomb Raider non si applichino, possiamo finalmente capire cosa ci sia di bello, fortunatamente in questo caso non poco. Innanzitutto partiamo dal gameplay. Per quanto il primo tra i due capitoli risulti leggermente più guidato e molto più ristretto, in Rise of the Tomb Raider assistiamo a un ampliamento dei livelli magistrale. Le mappe sono ricche, interessanti, aperte e piene di cose da vedere e fare. Una piccola nota dolente alle volte sono i respawn continui dei nemici, che in Tomb Raider molto spesso sono insensati e si ripetono continuamente come ci si sposta dall’area di rigenerazione anche solo di un passo. Questo nulla però toglie alle visuali mozzafiato e all’attenzione dedicata alle singole ambientazioni, piccoli gioiellini sia che si parli delle distese innevate della Siberia o delle tempestose isolette giapponesi. Anche l’interazione con l’ambiente, sia dentro che fuori dal combattimento, risulta creata ad arte per quanto alle volte statica. Certo, quasi ogni cosa che possa muoversi per picchiare Lara sicuramente lo farà, comprendendo ma non limitandosi a rotaie, case sospese, casse sospese, assi di legno, camion, scalinate dei materiali più dubbi, macerie di edifici, e più o meno qualsiasi cosa vi venga in mente. Al contrario però delle morti cruente di Lara, questo tipo di violenza, quando non stereotipato in maniera eccessiva, risulta utile e leggermente meno invasivo, riuscendo a dare un certo tocco cinematografico alle azioni atletiche della signorina Croft. Decisamente poco realistico, ma sicuramente funzionale e spettacolare per l’obbiettivo di chi ha creato il gioco. Entrambi i nuovi capitoli di Tomb Raider risultano quindi molto piacevoli da esplorare e da completare, riuscendo a non essere noiosi anche per chi pretende il 100% da ogni singola zona. Il sistema di upgrade riesce brillantemente a non essere eccessivamente invasivo, riuscendo a fornire quel tanto che basta da non risultare inutile, aspetto molto positivo. Gli ampi livelli aperti sono quindi di facile esplorazione, godibili e quasi paragonabili a quelli di un open world. I vari rompicapo all’interno delle zone da esplorare riescono invece a essere abbastanza immediati da non disturbare lo svolgersi del gioco, molto intuitivi e veloci, soprattutto grazie e per colpa dei nuovi superpoteri di Lara: far brillare di giallo gli oggetti con cui si può interagire.

Alicia Vikander, il nuovo volto del grande schermo di Lara Croft. Il film riprende la storia del primo dei due nuovi Tomb Rider in maniera decisamente modificata, mantenendo però diverse citazioni iconiche.

Tomb Raider e le aspettative per il terzo capitolo

Il miglioramento e i cambiamenti effettuati quindi tra Tomb Raider e Rise of the Tomb Raider sono molto evidenti, tralasciando alcune piccole cadute di stile qua e là, soprattutto riguardo alle animazioni. Gli occhi ora sono quindi puntati sulla prossima rivelazione del terzo capitolo, Shadow of the Tomb Raider, già annunciato per questo settembre. Cosa bisogna realmente aspettarsi? È difficile a dirsi, ma se questo nuovo capitolo riuscisse a essere incisivo e a mantenere il distacco generatosi tra i due più recenti, potremmo veramente trovarci di fronte a qualcosa di assolutamente completo e finalmente degno di potersi definire un ottimo gioco. Pur essendo infatti sia Tomb Raider che Rise of the Tomb Raider ottimi giochi e decisamente sopra la media, il margine di miglioramento rimane decisamente ampio e lascia facilmente interdetto il giocatore, praticamente certo che si potesse fare di più. “Fare di più” che bisogna augurarsi che gli sviluppatori prendano a cuore, offrendo finalmente un gioco davvero degno dei loro sforzi, o che quanto meno non lasci l’amaro in bocca se paragonato ai suoi due predecessori, effetto raggiunto a pieno nel film. Il più grande augurio che si possa quindi fare per lo sviluppo di questo terzo capitolo è che continuino sulla strada su cui sono già indirizzati, correggendo le piccole imperfezioni qua e là, ma senza deviare. E che magari questa volta si applichino.

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Alan Pasquali

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