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La parabola discendente di Samir Nasri

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Davide Romeo

Sono passati quasi dieci anni da quando Samir Nasri era piombato su quel pallone appoggiato all’angolo sinistro dell’area piccola da Denilson, che aveva impostato l’azione partendo dalla propria metà campo ed era arrivato fin sul fondo dialogando sulla trequarti con Clichy e con Nicklas Bendtner. Quasi dieci anni da quella conclusione a colpo sicuro che aveva trafitto l’incolpevole portiere del Bromwich Scott Carson, e aveva impreziosito con un gol decisivo il debutto del francese con la maglia dell’Arsenal. Quasi dieci anni dopo, nessuno dei giocatori appena citati può dire con sicurezza di aver pienamente realizzato il suo potenziale nel corso della propria carriera.

Un enfant prodige

Il nome di Samir Nasri è salito per la prima volta alla ribalta in occasione degli europei U17 del 2004. Durante quella competizione, vinta dalla Francia, era venuta fuori la cosiddetta génération ’87: una nidiata di talenti tra cui spiccano i nomi di Jeremy Menez, Karim Benzema e Hatem Ben Arfa. Il leader di questa classe di talenti all’epoca era proprio Nasri, che era stato nominato miglior giocatore del torneo e da lì a qualche mese avrebbe esordito in Ligue 1 con la maglia del Marsiglia.

Da sinistra: Benzema, Ben Arfa e Nasri (Photo: Footballnerds.com/Uefa)

Il calcio francese, dopo il cocente fallimento ai Mondiali del 2002 e il dramma della sconfitta in finale nella successiva edizione tedesca, stava vivendo un periodo di rinnovamento e ricambio generazionale: sulla génération ’87 erano riposte le speranze di tutto il movimento, e Nasri era chiamato a sopperire al vuoto più ingombrante di tutti: riempire quell’horror vacui sorto, inesorabilmente, dopo il ritiro di Zinedine Zidane.

Durante le prime stagioni a Marsiglia, infatti, osservando il gioco del giovane talento franco-algerino saltava immediatamente all’occhio il tocco morbido con cui accarezzava il pallone,  l’eleganza innata dei movimenti, la grande visione di gioco e la capacità di dettare il ritmo dalla zona centrale della trequarti. Si trattava di caratteristiche che ricordavano il repertorio tecnico di Zizou, nonostante Nasri – in particolare negli anni di Marsiglia – fosse un giocatore decisamente meno fisico e con meno freddezza sotto porta.

Nasri con la maglia del Marsiglia (photo: Wikimedia)

Il potenziale era evidente, al punto che il Marsiglia lo blindò con un contratto triennale quando non era nemmeno maggiorenne, per evitare che partisse verso lidi stranieri a parametro zero come aveva fatto Mathieu Flamini pochi anni prima, emigrando nella perfida Albione.

Le sue prestazioni avevano dato ragione alla scelta della dirigenza, visto che la qualità delle sue prestazioni andava aumentando col progredire nelle stagioni: nel 2007 ricevette il premio stagionale di Meilleur Espoir, così come era avvenuto per l’allora compagno Franck Ribery durante l’annata precedente. Iniziarono ad arrivare anche le prime convocazioni in nazionale, e gli interessi di grandi squadre: sembrava che Nasri fosse lanciato verso una carriera da top player assoluto.
Tuttavia, durante un’intervista all’Equipe, una sua dichiarazione ebbe quasi valore profetico: «Sono ancora di una giovanile inconsistenza: posso brillare per venti minuti e sparire per i dieci minuti successivi».

Senza saperlo, aveva rivelato il grande difetto che lo piagherà per tutta la carriera e di cui non riuscirà mai a liberarsi. Un’inconsistenza che non nasceva dalla sua giovane età, ma da un carattere a dir poco difficile sotto diversi aspetti.

Un ego difficile da gestire

Le prime avvisaglie del caratteraccio di Nasri arrivarono già nell’ultima stagione a Marsiglia, in cui si vociferava di una sua presunta gelosia nei confronti dell’altro fantasista della squadra, Mathieu Valbuena.

Durante la deludente avventura di Euro 2008, vissuta perlopiù da spettatore, aveva avuto uno diverbio con William Gallas, con cui avrebbe condiviso lo spogliatoio di Highbury entro qualche settimana. Il veemente veterano lo accusava di aver mancato di rispetto ai senatori della squadra, e in particolare a Thierry Henry, occupando il posto di quest’ultimo sul pullman della selezione francese. L’episodio fu sminuito da Nasri, ma non fu mai dimenticato: lui e Gallas si rivolgeranno la parola il meno possibile durante gli anni trascorsi insieme ai Gunners, e non si stringeranno la mano durante il loro primo incontro da avversari.

William Gallas e Samir Nasri con la maglia dell’Arsenal (photo: Getty)

L’Arsenal era l’ambiente ideale per il promettente trequartista francese. Arsène Wenger è l’allenatore che ha più amato e che più ha creduto in lui, e il contesto tattico di quella squadra, dal gioco spiccatamente offensivo basato sui dialoghi nello stretto e su ritmi molto alti, appariva perfetto per le caratteristiche tecniche di Nasri.

La sua prima stagione fu certamente positiva, con 44 presenze complessive e 7 reti realizzate. Le sue prestazioni tuttavia erano nettamente migliori quando non condivideva il campo con Cesc Fabregas: lo spagnolo, oltre ad avere un repertorio tecnico simile al suo, era infatti impiegato da trequartista, dirottando il francese in un ruolo di esterno alto che non ricopriva da tempo e che durante la prima stagione faticò a interpretare al meglio.

Il dualismo con Fabregas, oltre che tattico, si traslava anche fuori dal campo. Fabregas era molto amato da tifosi e compagni di squadra, mentre Nasri si era alienato le simpatie di entrambi. Con i supporters dei Gunners non riuscì mai a stabilire un feeling, lamentandosi del loro eccessivo criticismo nei confronti della squadra durante la sua prima stagione ad Highbury.
Per quanto riguarda la relazione con i compagni, la dice lunga il rapporto col giovane Emanuel Frimpong. Al termine di una partita persa dai Gunners in cui il difensore si era fatto espellere, Nasri lo aveva attaccato duramente davanti a tutto lo spogliatoio addossandogli le colpe della sconfitta; In un altra occasione, lo aveva schernito dicendogli «Potrei comprarti se volessi!».

Anche il rapporto con Raymond Domenech era ai ferri corti. Il commissario tecnico della nazionale francese lo riteneva un elemento di disturbo per il gruppo, e dal marzo 2009 in poi, complice anche la frattura alla gamba rimediata che lo condizionerà per tutta la stagione successiva, lo aveva sempre escluso dalle convocazioni: il marsigliese finirà per essere escluso anche dai ventitre selezionati per il mondiale sudafricano.

A fronte dei problemi che caratterizzarono la sua seconda stagione con la maglia dell’Arsenal, va dato credito alla capacità di reazione di Nasri: la sua terza e ultima stagione con i Gunners fu la migliore della sua carriera. Se non era mai stato in grado di superare la leadership di Fabregas o di Van Persie all’interno delle gerarchie dello spogliatoio, durante quella stagione riuscì a superarli nettamente in campo. In un totale di 46 presenze segnò 15 gol, vincendo tre volte il premio di Miglior Giocatore del Mese e anche quello di Miglior Giocatore Francese dell’Anno, eguagliando in questo risultato Thierry Henry.

(photo: Getty)

Il rapporto con lo spogliatoio e con i tifosi era però eccessivamente logorato, e alla fine della successiva estate si trasferì a Manchester, sponda City, al termine di un’estenuante trattativa in cui i Citizens la spuntarono di poco sui cugini del Manchester United.
Secondo alcuni, tra cui lo stesso francese, fu il proprietario Stan Kroenke a insistere con Wenger affinché Nasri fosse ceduto. In ogni caso, il trasferimento lo rese ancora più inviso agli occhi dei tifosi, che lo considerarono un mercenario – specie se paragonato al solito Fabregas, il cui contemporaneo addio per “tornare a casa” al Barcellona aveva un sapore nettamente più romantico.
Non aiutarono nemmeno le parole di Nasri da nuovo giocatore del City, che colse l’occasione per muovere l’ennesima critica alla tifoseria Gunners, a suo dire «priva di calore».

Una carriera in bilico

Nasri era la tessera mancante del puzzle tattico che Roberto Mancini aveva in mente per il City: il francese avrebbe ancora giocato sulla fascia, ma con licenza di spaziare per tutta la trequarti avversaria, liberando spazio per gli inserimenti degli esterni e con la possibilità di sfruttare tutta la sua fantasia nel creare occasioni per gli attaccanti. La sua prima stagione si concluse con una storica vittoria del campionato per il City – non avveniva dal 1968 – nonché la sua prima personale vittoria di un titolo nazionale.

(photo: Mike Hewitt/Getty)

Già dall’addio di Domenech, a cui nel 2010 era succeduto Laurent Blanc, Nasri era riuscito a riguadagnarsi il posto in nazionale. Nella stagione 2011-2012 realizzò il suo personale record di presenze con la maglia dei Blues: ben 13, considerando anche le presenze durante l’Europeo di Polonia e Ucraina, condite da due goal importanti contro Bosnia – rete che sancì la qualificazione al torneo – e Inghilterra, durante il primo incontro della competizione.

Non mancarono, anche qui, le polemiche: dopo aver realizzato il gol del pareggio contro la squadra inglese, Nasri aveva festeggiando portandosi il dito alla bocca, invitando al silenzio la stampa francese che era stata molto critica della squadra fino a quel momento.
In seguito, nei momenti immediatamente successivi all’eliminazione della Francia, aveva insultato pesantemente un giornalista reo di avergli chiesto le sue opinioni sulla partita.

La polemica esultanza di Nasri dopo il goal contro l’Inghilterra ad Euro 2012 (Photo:Scott Heavey/Getty Images)

Questo comportamento gli costò una squalifica di tre partite da parte della federazione francese: per quasi un anno non avrebbe vestito la maglia della nazionale.

La stagione successiva fu un lontano ricordo della precedente. Nasri sembrava spesso disinteressato a quando accadeva in campo, e mostrava poco impegno sia durante gli allenamenti che durante le partite. Il suo rapporto con Roberto Mancini si deteriorò rapidamente, e il tecnico italiano arrivò a dire – scherzando ma non troppo – di aver voglia di prenderlo a sberle per la sua inconsistenza.

Riuscì a costruire una relazione con Manuel Pellegrini, succeduto a Mancini nel 2013, e inanellò buone prestazioni nella prima parte di stagione. Il suo feeling nel fraseggi con David Silva, la sua tenacia, la sua capacità di elevare il gioco nei momenti difficili lo avevano reso nuovamente un elemento imprescindibile della rosa, ma a quel punto subentrò la sfortuna: un infortunio al legamento lo tenne ai box per un mese, e lo condizionò negativamente nella seconda parte della stagione. Ciò non gli impedì di segnare il gol decisivo per la vittoria del campionato contro il West Bromwich al suo ritorno.

Samir Nasri e Manuel Pellegrini (photo: Getty)

Il suo atteggiamento non era tuttavia migliorato. Il CT francese Deschamps, che fin da giocatore è sempre stato un generalissimo, lo aveva escluso dai convocati per il mondiale Brasiliano perché riteneva fosse dannoso allo spirito di squadra.
Come se non bastasse, nella stagione successiva, Nasri tornò indolente e svogliato in campo, privo di forza di volontà ed estraneo alla manovra. Persino un suo estimatore come Pellegrini fu costretto ad escluderlo dal giro dei titolari. Un grave infortunio muscolare riportato a novembre dal 2015, che lo terrà lontano dai campi per cinque mesi, sembrò la sentenza definitiva sulla carriera di Nasri all’Ethiad Stadium.

Un futuro incerto

L’arrivo di Pep Guardiola sulla panchina del City aveva dato nuove speranze ai fan di Nasri: il gioco di posizione e il possesso palla estenuante del tecnico catalano avrebbero potuto rivitalizzare la carriera del francese. Tuttavia Nasri era tornato dalle vacanze fuori forma, mostrava ancora poco impegno in allenamento e molti dei suoi compagni credevano che fosse nocivo all’ambiente.
Nonostante Guardiola, dopo qualche dubbio iniziale, avesse speso parole di miele per lui, il marsigliese aveva deciso di andare in prestito al Siviglia del connazionale Rami, del direttore sportivo Monchi e del tecnico Sampaoli. Il progetto sivigliano contava diversi concorrenti nella sua posizione, ma per le tattiche basate sull’estro e sulla fantasia sembrava un contesto ideale al giocatore francese.

Samir Nasri con la maglia del Siviglia, contrastato da Sergio Busquets del Barcellona (Photo: Aitor Alcalde/Getty Images)

La stagione trascorsa in Andalusia è stata una ventata d’aria fresca per Nasri. Finalmente tornato a giocare da trequartista centrale, con libertà di movimento e di creare, il talento ex Marsiglia è sembrato tornare agli alti livelli di un tempo.
Purtroppo non poteva mancare l’ennesimo colpo di testa, sia metaforico che letterale: nella drammatica serata che ha visto il Siviglia eliminato dal Leicester agli ottavi di Champions, oltre al rigore sbagliato da Steven N’Zonzi e all’espulsione per proteste di Sampaoli, la testata di Nasri a Jamie Vardy ha dimostrato come il francese abbia una tenuta mentale ancora lacunosa.

Il Siviglia non ha esercitato il diritto di riscatto a fine stagione a causa del prezzo e dell’ingaggio troppo onerosi per le finanze del club, ma allo stesso tempo Nasri non rientrava più nei piani di Guardiola: dopo una breve avventura in Turchia all’Antalyspor dell’amico Jeremy Menez e di Samuel Eto’o, caratterizzata dagli infortuni, al momento il giocatore è inattivo.

Dopo aver rescisso il suo contratto con la squadra turca, infatti, gli è stata comminata una squalifica di sei mesi per doping. A dicembre del 2016, Nasri si era sottoposto a una serie di trattamenti, tra cui l’idratazione sotto forma di acqua sterile: nonostante si tratti di un metodo legale, pare che la clinica abbia superato il limite imposto dall’Agenzia Mondiale Antidoping, pari a 50 millilitri ogni sei ore: al giocatore sarebbe stato somministrato dieci volte tanto.

È probabile che Nasri non fosse al corrente dell’illegalità del trattamento, che è stato addirittura pubblicizzato su Twitter. Anche il fatto che la squalifica sia piuttosto breve – inizialmente si prospettavano addirittura quattro anni di sanzione – lascia presupporre che la buona fede del giocatore sia stata presa in considerazione.

Nasri è un giocatore dal talento cristallino, che nutre ancora oggi un amore sincero per il gioco del calcio. Nonostante non abbia più la fisicità di un tempo, può decisamente essere ancora fondamentale in un club europeo di fascia alta.
La sua incapacità di accettare un ruolo che non sia quello di protagonista, il suo carattere eccessivamente schietto e arrogante e i suoi preoccupanti cali di forma risultano però un grosso deterrente per qualsiasi club.

Tra le destinazioni più probabili si segnala un possibile ritorno al Siviglia, la squadra dove si è espresso al meglio negli ultimi anni, ma anche il West Ham del connazionale Evra aveva mostrato interesse nella scorsa stagione di mercato. Non mancano le sirene italiane di Napoli e Inter, dopo un tentativo fallito del Benevento durante la sessione invernale, oltre all’immancabile offerta milionaria dalla Cina, con l’Hebei Fortune del suo vecchio allenatore Pellegrini in pressing su lui e su David Silva.

Samir Nasri con la maglia dell’Antalyspor (photo: Getty)

Ovunque vada quest’estate, la sensazione è che sia al turning point decisivo della sua carriera. Avendo già trent’anni, appare chiaro che non sarà mai uno degli all-time great del calcio francese come lasciava presagire nei suoi primi anni a Marsiglia. Nonostante ciò, avendo appena trent’anni, ha ancora tempo per lasciare un’eredita legata alla sua indiscussa abilità sul campo da calcio, e non alle sue intemperanze fuori da esso.

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