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Si torna al cinema in Arabia Saudita

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Ilaria Bertocchini

Gli schermi si sono accesi di nuovo, in Arabia Saudita, e la proiezione del film vincitore di incassi Black Panther ha segnato la fine del divieto durato ben trentacinque anni, nonché un ulteriore tassello all’interno della nuova era di riforme portata avanti dal principe ereditario Mohammed Bin Salman.

Black Panther apre le piste

Black Panther, film della Marvel uscito in Italia a febbraio [di cui abbiamo già parlato qui, N.d.R.], è stato prodotto dalla Disney e distribuito in Arabia Saudita da Italia Film, che si occupa della distribuzione dei film Disney in Medio Oriente. Questa volta si è trattata di una proiezione privata, avvenuta nel distretto finanziario King Abdullah mercoledì 18 aprile, alla quale si poteva partecipare solo su invito, in una sala da 620 posti, solitamente utilizzata per concerti di musica classica, con balconate, appositi spazi per l’orchestra e bagni in marmo. La proiezione è stata però il trampolino di lancio in vista dell’apertura ufficiale di tutte le sale cinematografiche che avverrà a maggio.

«Pronti per il cinema?» si legge in un tweet dell’account ufficiale Cinema Saudita accompagnato da un’immagine di popcorn: la revoca del divieto rigidamente osservato dagli anni Ottanta è stata annunciata lo scorso dicembre e sembra essersi così materializzata. Le autorità saudite hanno intenzione di investire 64 miliardi di dollari nel settore nei prossimi dieci anni per dare impulso all’economia: infatti, sarebbe stato preso un impegno con il colosso americano Amc Entertainmnt, controllato però dalla società cinese Dalian Wanda, che ha firmato un accordo con il Public Investiment Fund, il fondo sovrano saudita, e ottenuto la licenza per costruire nuovi cinema. Il progetto è quello di avere oltre trecento strutture, con più di duemila schermi, e la creazione soprattutto di trentamila posti di lavoro, entro il 2030. I biglietti potranno essere acquistati online per un costo di 50 riyal, l’equivalente di quasi 11 euro. I nuovi cinema saranno provvisti anche di apposite sale da preghiera per i Musulmani per permettere loro di rispettare i cinque momenti di preghiera quotidiani.

Cosa c’entra il Vision2030

La decisione di riaprire i cinema in Arabia Saudita fa parte del piano di riforme presentato nell’aprile del 2015 dal principe ereditario Mohammed Bin Salman, spesso chiamato MbS, conosciuto con il nome di “Vision 2030”: lo scopo è quello di rendere l’Arabia Saudita più moderna, orientata a un Islam moderato, aperto al mondo e a tutte le religioni, ponendo fine alla svolta ultraconservatrice degli anni Ottanta. In quel periodo i film, occidentali ma anche di produzione araba, come egiziani e libanesi, furono banditi perché visti come prodotto del male e fonte di peccato. L’Arabia Saudita aveva già iniziato però ad allentare la presa sulle restrizioni sui film negli ultimi anni, con festival di film locali e proiezioni in piccoli teatri o centri culturali controllati dallo stato. Sino ad ora la maggior parte dei Sauditi che desiderassero vedersi un film al cinema dovevano fare delle gite fuori porta e andare nel vicino Bahrain o negli Emirati Arabi Uniti. È innegabile che in tutti questi anni vi siano comunque state delle proiezioni informali, ma illegali, tra gruppi di giovani, spesso interrotte dalla polizia religiosa, i cui poteri sono sempre cresciuti negli anni. Jamal Khashoggi, uno scrittore dell’Arabia Saudita, dissidente, descrive i teatri degli anni Settanta come dei drive-in americani ma molto più informali e racconta al Washington Post di come una volta un suo amico, scappando dalla polizia religiosa per evitare l’arresto durante una proiezione, gli fosse cascato addosso rompendogli la gamba. Negli anni Ottanta una lieve apertura è avvenuta nelle residenze private di cittadini stranieri o nei centri culturali gestiti da ambasciate straniere. L’apertura è stata accelerata poi dalla diffusione della TV satellite ma soprattutto dei film in streaming, attraverso canali come Netflix. Nonostante i cinema fossero chiusi, il cinema dell’Arabia Saudita non è stato fermo: nel 2013 La bicicletta verde della regista Haifaa al-Mansour è stato candidato all’Oscar per il Miglior film straniero e nel 2016 è uscita Barakah Meets Barakah, una commedia romantica disponibile su Netflix.  Inoltre, a maggio, l’Arabia Saudita parteciperà per la prima volta nella storia al Festival di Cannes, presentando una selezione di cortometraggi. Già a fine ottobre ci sono state per esempio alcune proiezioni cinematografiche in alcuni cinema di Riyad, la capitale del Paese, e negli ultimi mesi sono stati organizzati altri eventi culturali. Lo scorso 30 gennaio, a Gedda, città a ovest di La Mecca, considerata più aperta rispetto alla capitale Riyad, si è tenuto il concerto di Mohammed Abdu, star locale conosciuta come il Paul McCartney Saudita, nonostante l’opposizione della più alta autorità religiosa del Paese, il Grand Mufti Abd al-Aziz bin Abd Allah Al ash-Sheikh. Durante il suo programma televisivo settimanale, infatti, ha etichettato i concerti pubblici come un segno di depravazione e un primo tentativo di aprire le porte al mischiarsi di donne e uomini nello stesso spazio fisico, cosa vietata dalla legge saudita. A febbraio, poi, sempre a Gedda, è stato organizzato un festival di tre giorni, Saudi Comic-con, dedicato ai videogame e ai supereroi. Il tentativo iniziale di tenere divisi uomini e donne non è stato rispettato, senza alcuna eccessiva opposizione degli addetti alla sicurezza, e ci sono stati momenti di condivisione dello spazio pubblico tra i due sessi. Infine, proprio durante la Future Investment Initiative, l’Arabia Saudita è stato il primo Paese a dare la cittadinanza a un robot, Sophia, che ha tutti i canoni di una donna occidentale.

E le donne?

Il messaggio lanciato, almeno in apparenza, dal regno è quello di apertura al progresso, e quindi inevitabilmente anche di cambiamento del ruolo delle donne nella società. Dopo la revoca del divieto di guida, il permesso di assistere alle partite di calcio maschili negli stadi, la possibilità per le donne di andare al cinema sembra un altro passo in avanti sul cammino delle riforme portate avanti da MbS. In linea generale i film non saranno proiettati in cinema che prevedono delle sale per famiglie e altre per soli uomini come avviene nei ristoranti e nei café, vi saranno  però delle eccezioni per certe proiezioni se ritenute adatte esclusivamente a un pubblico maschile. Il Ministro della Cultura e dell’Informazione Awwad Alawwad ha affermato che l’obiettivo del governo è quello di creare un equilibrio tra i precetti e i valori islamici e l’intrattenimento cinematografico. Ma le discriminazioni ancora in atto nei loro confronti sono molte dal momento che le donne devono sottomettersi alla tutela dei maschi per numerose attività: se vogliono viaggiare, o semplicemente studiare, necessitano del permesso di un uomo, un tutore che è generalmente il padre, il fratello o il marito. Se per aprire un conto in banca è richiesta l’autorizzazione del coniuge, chissà quando potranno decidere di andare al cinema da sole.

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Ilaria Bertocchini

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