Assegno di mantenimento: la novità legislativa dell’art. 570-bis

L’indissolubilità del matrimonio, inteso qui in senso strettamente civilistico e non come dogma cristiano, è ormai una figura mitologica. Tanto la separazione dei coniugi quanto il divorzio stesso sono ormai divenuti parte dell’ordinario. In seguito a tale presupposto, dunque, non desta particolare stupore il dato di fatto che progressivamente il numero dei divorzi in Italia sia sempre maggiore e, per dovere di cronaca, si rileva come tale incremento sia più pregnante nel Nord rispetto al Sud.
Sia la separazione che lo scioglimento del matrimonio o, che dir si voglia, il divorzio, comportano il venir meno di una serie di obblighi quali quello di coabitazione, di fedeltà e di contribuzione, oneri, questi, che nascono col matrimonio e vengono accettati di comune accordo dai coniugi. Questi doveri, tipici come già detto del matrimonio, traggono fondamento dall’art. 143 del codice civile lo stesso articolo su cui fonda altresì l’essenziale dovere di assistenza morale e materiale.
Non dobbiamo, però, farci fuorviare da tutto quanto appena premesso: la fine del rapporto matrimoniale non è affatto priva di conseguenze. Nonostante l’oggettiva facilità delle procedure di separazione e divorzio, oggi più che mai favorita dalla recente legge sul c.d. “divorzio breve”, sono diverse le conseguenze che si riflettono sulla coppia e che si traducono in diritti e doveri reciproci, primo fra tutti quello del mantenimento.

L’assegno di mantenimento

Il dovere di assistenza morale e materiale, che scaturisce al momento del matrimonio a seguito dell’impegno preso dai coniugi, sopravvive durante la separazione e, qualora ne sussistano i presupposti, addirittura dopo il divorzio. Proprio da questo dovere, nel caso di separazione, nasce l’assegno di mantenimento corrisposto dal coniuge economicamente più forte nei confronti di quello non in grado di provvedere al proprio sostentamento. L’assegno in esame può essere corrisposto tanto nel caso di separazione quanto nel caso di divorzio, ma con delle differenze inerenti soprattutto alla sua determinazione e ciò è dovuto principalmente alla diversa natura che lo stesso assume in un caso o nell’altro. Durante la separazione l’assegno è diretto principalmente a evitare uno squilibrio economico fra i coniugi e, dunque, il criterio prevalentemente adottato per la sua determinazione è quello del tenore di vita della coppia durante la vita matrimoniale. Questo elemento, ultimamente, è stato fonte di importanti sentenze a opera della Corte di Cassazione e, in particolare riferimento all’assegno divorzile, può dirsi superato.
Per quanto riguarda nel dettaglio l’assegno corrisposto a seguito del divorzio, esso ha fini prettamente assistenziali e ciò è desumibile anche dagli stringenti presupposti che ne determinano la disposizione. In questo caso, dunque, acquista centralità l’assenza di mezzi primari per il proprio sostentamento nonché l’impossibilità di procurarseli autonomamente. Tale disposizione è nettamente stringente rispetto all’assegno corrisposto durante la separazione che, diversamente, fa riferimento unicamente e più genericamente al mantenimento e all’assenza di reddito. Il carattere più circoscritto di tale assegno, come precedentemente accennato, è stato ulteriormente rafforzato dalla giurisprudenza più recente. Il classico criterio del tenore di vita ha lasciato posto a quello della concreta autosufficienza sulla base dell’assenza di un rapporto matrimoniale che, naturalmente, consegue al divorzio nonché alla volontà del legislatore di responsabilizzare l’ex coniuge qualora capace di provvedere a sé stesso.
Un ulteriore obbligazione correlata agli obblighi di assistenza materiale è quella riferita al mantenimento dei figli. Parimenti per quanto avviene per il coniuge, anche il figlio minorenne o, qualora non autosufficiente, anche maggiorenne, ha diritto a godere di un assegno di mantenimento. La ragion d’essere di tale assegno, però, deve ricercarsi nel dovere dei genitori di mantenere un figlio e, per quanto attiene alla determinazione dello stesso, questo varierà a seconda del tenore di vita vissuto, delle esigenze e dei bisogni dei figli e delle risorse economiche del genitore obbligato. Esso, inoltre, serve a far fronte a importanti spese quali quelle alimentari, mediche e di vestiario.

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Si è parlano sin qui di doveri e, infatti, quella della corresponsione dell’assegno di mantenimento è una vera e propria obbligazione. Da un punto di vista civilistico, l’ordinamento offre come strumento di tutela il ricorso al giudice. Attraverso il ricorso, dunque, il coniuge beneficiario dell’assegno può chiedere il sequestro dei beni o, più semplicemente, che le somme dovute al coniuge obbligato da soggetti terzi (ad esempio dal datore di lavoro) vengano distratte direttamente al beneficiario nell’importo concorrente al valore dell’assegno di mantenimento. Ovviamente, poi, costituendo tanto la sentenza di separazione quanto quella di divorzio un titolo, il coniuge beneficiario potrà ricorrere alle classiche tutele di recupero del credito ovvero quelle dell’esecuzione forzata.

La novella legislativa dell’art. 570-bis c.p.

Data la particolarità dell’assegno, della sua natura e funzione, non deve stupire che il legislatore italiano abbia altresì provveduto a individuare uno specifico reato nel caso di mancata corresponsione dello stesso così da garantire l’esecuzione di tale prestazione che, di fatto, è diretta a far fronte ai bisogni dei beneficiari. Proprio in riferimento a tale reato è intervenuta la recente riforma operata dal Decreto Legislativo 21/2018 in vigore dal 6 aprile di quest’anno. L’ipotesi delittuosa in esame, nella sua formulazione originaria prevista dall’art. 570 c.p., sanzionava il coniuge che, attraverso una condotta intenzionale e preordinata, privava del sostentamento essenziale i figli oppure il coniuge. A tale articolo, ora, si aggiunge l’art. 570-bis c.p. che sostanzialmente amplia le tutele nei confronti dei beneficiari dell’assegno di mantenimento sotto un duplice aspetto: in primo luogo la tutela viene estesa anche agli ex coniugi, poi, il riferimento è a ogni tipologia di assegno, non solo ai mezzi di sussistenza primaria, ma in via generale anche al semplice assegno di mantenimento. Quest’ultimo aspetto costituisce la novità più rilevante: non ha, ora, alcuna importanza il venir meno dei mezzi essenziali come gli alimenti o il vestiario, ma la semplice omissione del versamento, che acquisterà rilievo anche nei casi di corresponsione parziale ovvero di riduzione arbitraria dell’assegno da parte dell’obbligato.

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Nonostante la norma in esame sia estremamente recente, sono già emersi, a opera della dottrina, diversi argomenti di critica, così come del resto generalmente avviene ogni qualvolta vi sia l’introduzione o di una nuova legge, posto che il più delle volte il legislatore non è chiamato a un “confronto diretto” con la norma appena introdotta. Spicca, in senso negativo, la scelta di prevedere un soggetto determinato quale autore del reato: il coniuge. Così facendo, in una direzione totalmente opposta rispetto al percorso intrapreso dal diritto di famiglia negli ultimi anni,  la legge esclude indirettamente il genitore non sposato nonostante la parificazione piena, in ogni altro ambito legislativo familiare, di figli nati nel matrimonio ed al di fuori dello stesso. Sul punto, anche se in riferimento all’art. 570 del codice penale, si era già espressa la Corte di Cassazione statuendo la non ipotizzabilità di un’esclusione dei figli nati fuori dal matrimonio dalla tutela penale perché in contrasto con la recente Legge Cirinnà nonché di dubbia conformità sul piano costituzionale. Tale intervento, purtroppo, non potrà sortire alcun effetto sulla nuova norma dato che nel sistema penale italiano vige il divieto di analogia, rendendo così necessaria, in futuro, una nuova pronuncia della Corte. Il nuovo articolo 570 bis è nato chiaramente con intenti nobili ma, purtroppo, è nato zoppo. Un semplice accorgimento al momento della redazione della legge avrebbe potuto evitare polemiche che, come noto, accompagnano ogni nuovo provvedimento ed evitato il rischio di far arretrare la materia del diritto di famiglia di un decennio. Per ogni ulteriore chiarimento sarà necessario, ancora una volta, attendere l’intervento della giurisprudenza e della dottrina su un campo che, già da diversi anni, è caratterizzato da un’ipertrofica produzione teorica.

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