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No fue posible la paz

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Pietro Lepidi

Dalle elezioni politiche del 4 marzo all’intervento televisivo di Renzi del 29 aprile, la politica italiana ha fatto esperienza di un estenuante periodo di confronto tra le maggiori forze politiche. L’Italia esce da una campagna elettorale condotta con scarso confronto aperto sulle idee dei leader (non è stato nemmeno realizzato un confronto televisivo all’americana), e dominata invece dalla propaganda sul web, divenuta primaria fonte di informazione degli italiani, ma sui quali metodi e fini pesano le rivelazioni del recente scandalo Cambridge Analytica.  Il risultato che nasce da questo tipo di duro confronto elettorale è un paese diviso in tre blocchi politici, non solo distinti nei programmi, ma «da diverse, se non opposte, concezioni della vita associata e di ordine morale» come afferma il prof. Della Cananea, dopo il suo studio sulla compatibilità dei diversi partiti politici affidatogli dal M5S.

Nonostante la storia di incompatibilità fra questi tre blocchi, dopo il risultato delle elezioni, in cui nessuno dei tre ha raggiunto la maggioranza assoluta, sembrava quasi che, spenti i riflettori e fermatesi le macchine della propaganda politica, i politici fossero tornati a svolgere il proprio compito: affrontare, stabilendo dei compromessi tra le loro “diverse” visioni del mondo, le sfide legislative, sociali ed economiche, anche internazionali, che vanno affrontate con urgenza. Il fenomeno più sorprendente è quello del M5S. Da movimento tanto anti-politico senza una tradizionale classe dirigente, ma composto da cittadini comuni uniti dall’indignazione contro il sistema, si è trasformato oggi nell’establishment, o meglio, ha mostrato una chiara aspirazione a diventare l’establishment, fine per cui qualsiasi mezzo sembra essere giustificato. Sembra anomalo sentire Di Maio parlare di «politica dei due forni», di contratti di governo e quindi di compromesso con quei “vecchi partiti” che la teoria del M5S voleva annientati in quanto composti da membri non all’altezza di rappresentare il popolo. Il più evidente cambio di passo è stato nelle relazioni M5S-PD. Prima delle elezioni Grillo ha apostrofato Renzi in termini molto netti e negativi: «minorato morale», «il nulla che parla», «pollo che si crede un’aquila», «scrofa ferita», «ebetino». Le risposte dei dem sono state altrettanto colorite, per citare il governatore della Campania De Luca: «Di Maio? È un noto sfaccendato, chiedeva al papà i soldi per pizza e birra». Ma giovedì 26 aprile Il Giornale lancia la notizia che il M5S avrebbe tolto addirittura tutti gli insulti dal sito web contro il PD, in previsione di una futura contrattazione politica.

Il leader del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo, durante il suo comizio elettorale in piazza De Ferrari a Genova 17 febbraio 2013. Foto: ANSA/Luca Zennaro.

Ma anche le altre forze politiche hanno abbassato i toni. Il 6 aprile si diffonde la notizia che il giornalista Maurizio Belpietro avrebbe quella sera condotto per l’ultima volta la trasmissione Dalla vostra parte, mentre la trasmissione Quinta Colonna ha chiuso i battenti il 26 aprile. Questa mossa mediatica è stata univocamente letta come un tentativo di Silvio Berlusconi e del suo entourage di contenere il fenomeno del populismo, in modo da permettere il confronto senza suscitare insurrezioni popolari. Infine, il PD, grazie anche al passo indietro di Renzi, aveva aperto un confronto interno e iniziato un’analisi seria sulla direzione da dare al partito, dopo il deludente risultato elettorale. Sembrava di vedere un cambio di mentalità nel partito, cosa che avrebbe potuto far nascere interessanti nuove prospettive. Poi però il leader indiscusso del partito è tornato a imporre la linea.

Insomma, per due mesi scarsi era sembrato di vedere i politici tornare a fare politica, e cioè a discutere su temi e visioni diversi per poi convergere su una linea comune da dare al paese. «Il compromesso è l’arte della leadership e i compromessi si fanno con gli avversari, non con gli amici» dice Nelson Mandela. È ovvio che non si possono barattare ideologie politiche diverse e inconciliabili (ammesso che ce ne siano), tuttavia nella sua realtà quotidiana la politica di questi ultimi due mesi era sembrata tornare alla discussione sui temi, non speranza e ondeggiamento sulla base dei sondaggi quotidiani.

Ma oggi è difficile pensare di discutere tra partiti, perché “compromesso”, nei tempi di Facebook non è visto come fare legittima politica ma è definito come uno sporco ‘inciucio’. È un peccato aver dimenticato il significato etimologico originale di questo geniale e sintetico termine del dialetto napoletano chevuol dire ‘chiacchiericcio, cicaleggio’. Servirebbe proprio per tanto un inciucio inteso alla napoletana, cioè un confronto verbale, un dialogo prolungato e musicale tra le parti, ma per fare ciò servirebbero gli attori. È opportuno fare qui un confronto storico. Gil Robles, esponente conservatore cattolico nel parlamento della Repubblica Spagnola nel 1936, di fronte alla guerra civile appena scoppiata tra franchisti e repubblicani pronuncia la sua famosa frase, «non fue possible la paz». Una delle ragioni per cui non fu possibile la pace risiedeva nel fatto che la costituzione della Repubblica vigente del 1931 era modellata sulla linea del Fronte Popolare che, una volta al governo, non tenne in considerazione tutte le istanze di un paese ideologicamente e politicamente diviso. La democrazia in Spagna finì perché non ci furono attori in grado di trovare una mediazione costruttiva tra le forze politiche. Oggi l’Italia si trova nello stesso grave clima di conflittualità della Spagna nel 1936, e fortunatamente gli italiani alla fine della seconda guerra mondiale una Costituzione di unificazione nazionale riuscirono a trovarla. Ma certamente, nonostante questo, la frammentarietà politica e ideologica in Italia sembra continuare a intensificarsi.

Renzi, nell’intervista televisiva del 26 aprile, doveva sancire la fine della possibilità di discussione sui temi per questa legislatura, e la volontà nei suoi avversari, Di Maio e Salvini, che non trovano una mediazione politica, sembrava quella di tornare al voto il prima possibile. Sarà da vedere se con l’aiuto del presidente Mattarella, i leader dei partiti populisti riusciranno a trovare un’intesa duratura, cosa che io dubito ma che comunque rinvierebbe almeno di qualche mese l’alternativa di tornare al voto. E tornare la voto vorrebbe dire riattivare ancora la macchina di insulti e fango della propaganda politica e elettorale sul web, nella speranza che, anche a suon di urli, si possa riuscire a strappare una maggioranza politica, che potrebbe essere molto risicata in Parlamento, per governare in autonomia.

Dall’attuale pantano istituzionale c’è solo una via d’uscita: fare politica, quindi, in senso costruttivo e mirato, fare compromessi. Ma forse il punto cruciale è un altro e cioè: hanno i partiti la forza ideologica e etica per essere convinti di un’idea di futuro di questo paese, o sono essi solo un contenitore per l’ambizione del loro leader? Lo scontro non tra idee ma tra leader rischia di minare la democrazia perché due idee possono fondersi in una sola idea di sintesi, ma la stessa cosa non si può dire di due candidati per una sola carica. Se lo scontro politico è solo tra ambizioni dei leader, essi non possono essere soddisfatti se non con la propria affermazione e l’eliminazione dell’avversario e quindi inevitabilmente si sfocia nella violenza, prima verbale, e poi esecrabilmente anche fisica.

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Pietro Lepidi

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