L’intelligenza artificiale attrae sempre più attenzione mediatica negli ultimi tempi. Attenzione dovuta al fatto che si presenta come un’innovazione tecnologica che promette cambiamenti epocali a ogni livello del tessuto economico e sociale. Proprio per questo motivo è però necessario analizzare la storia e i retroscena che hanno portato all’uso di questo termine.
Il problema più ovvio riguardante l’Intelligenza Artificiale è la mancanza di una chiara definizione di intelligenza. Sebbene questo sia un problema molto antico, databile fino all’antica Grecia, la questione pare largamente irrisolta dal punto di vista scientifico e filosofico, essendo fortemente legata a un altro dei grandi problemi moderni: la natura della coscienza. Ma allora perché il termine è usato così frequentemente, anche qui su theWise?
In primis, è necessario considerare l’effetto mediatico dovuto alla pubblicizzazione della tecnologia -o meglio, l’insieme di tecnologie,ma ci arriviamo- porta a notevoli benefici a livello di investimenti e di valore delle azioni. Un effetto simile è stato registrato per i Bitcoin e la Blockchain: aziende che hanno inserito uno dei due termini nel proprio nome hanno visto aumentare spaventosamente i prezzi delle proprie azioni. Inoltre, l’utilizzo negli articoli divulgativi e nelle comunicazioni delle aziende consente di catturare l’attenzione del pubblico e di sottolineare la potenza della tecnologia. Questa scelta non è però immune da aspetti negativi, come vedremo a breve.
Una seconda motivazione è quella puramente storica: con l’invenzione dei i primi computer negli anni 50, la possibilità di automatizzare processi logici ha preso piede nelle menti dei ricercatori del settore informatico e non, portando alla nascita dell’intelligenza artificiale come ambito di ricerca. Inizialmente, come ci si può aspettare, le aspettative nel campo, e di conseguenza i finanziamenti di ricerca, furono subito enormi. Nei vent’anni successivi furono create le basi teoriche e furono incontrati i primi problemi di natura sia teorica che tecnologica:
Riguardo agli ultimi due punti, è emblematica l’analogia di Hans Moravec, una figura storica nel campo: «L’intelligenza artificiale necessita di potere computazionale come un aereo necessita di motori potenti». Senza, il decollo non è possibile. Questi fattori, uniti alla mancanza di reali applicazioni del frutto della loro ricerca, portarono al primo inverno dell’intelligenza artificiale. I finanziamenti furono tagliati e i ricercatori furono costretti a reinventarsi. Un inverno che durò fino al 1980, quando vi fu un nuovo boom: furono inventati i primi sistemi esperti, ovvero programmi che evitavano il problema del buonsenso concentrandosi in ambiti estremamente specializzati del lavoro umano. L’intelligenza artificiale aveva trovato la sua prima applicazione utile. Un altro importante fattore che contribuì all’interesse fu la scoperta del fisico John Hopfield: un semplice modello di “rete neurale” poteva modellizzare una sorta di memoria con ipotesi molto semplici.
Quest’estate dell’intelligenza artificiale durò meno della precedente: alla fine degli anni Ottanta l’interesse scemò di nuovo. Questa volta però, sebbene i finanziamenti fossero in calo, la ricerca continuò ad avanzare, e i ricercatori rinominarono i loro campi per non essere sottoposti alle enormi aspettative che l’intelligenza artificiale implicava. Questa ventata di realismo portò alla nascita dei campi della robotica o della logica. Nel frattempo però il la capacità hardware dei computer continuava a crescere seguendo la legge di Moore.
A partire dagli anni Novanta cominciarono a emergere gli approcci basati sui dati: erano nati il data mining e il machine learning. Da allora il campo ha continuato a crescere e risolvere problemi sempre più complessi, fino all’ultima recente esplosione all’inizio di questo decennio. La comunità scientifica al giorno d’oggi continua a definirsi usando la terminologia nata durante il secondo inverno, ma recentemente si è ricominciato a parlare di intelligenza artificiale in relazioni pubbliche.
Questa visione storica fornisce un’ottima morale: l’intelligenza artificiale è un obiettivo estremamente ambizioso che crea aspettative enormi e spesso fraintendimenti. Malgrado la sua enorme efficacia, per esempio, il machine learning è una struttura matematico-statistica che si basa sull’estrazione efficiente di informazioni da un’enorme mole di dati. Ciò che è cambiato più radicalmente dalle “estati” precedenti è banalmente l’enorme disponibilità di dati e il potere computazionale per farlo. Per questo motivo questi algoritmi “intelligenti” si rivelano spesso inefficienti quando è necessario rispondere a eventi rari mai presentatitisi prima, come nel caso delle auto che si guidano da sole.
Sebbene perciò l’uso del termine intelligenza artificiale sia storicamente motivato, è fondamentale ricordarsi che il campo resta un miscuglio di matematica, statistica e informatica volto all’analisi dati. Le paure di un futuro distopico in cui i robot decidono che l’umanità non è degna di sopravvivere sono ancora lontane. Ciò che è importante chiedersi è invece cosa possono fare gli esseri umani con l’ausilio di software di intelligenza artificiale. Torniamo perciò all’antica questione: un mezzo non è mai intrinsecamente buono/cattivo, è l’utilizzo che se ne fa ad avere una connotazione morale. Ed è per questo che bisogna concentrare il dibattito sulle implicazioni socio-culturali della rivoluzione in corso senza perdersi a dibattere sulle macchine che ci uccideranno tutti: saranno gli esseri umani a farci danno tramite le macchine, non le macchine stesse. Su theWise abbiamo già argomentato che l’intelligenza artificiale dovrebbe essere percepita come l’erede dell’energia nucleare, e che rappresenta una delle maggiori sfide del futuro. Per questo motivo continueremo a parlarne indicandola come intelligenza artificiale per raggiungere il massimo numero di persone. Ciononostante è bene ricordare che la minaccia non viene dai robot.
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