Il codice civile italiano descrive il contratto come l’accordo tra due o più parti per costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale tra loro. Il contratto, dunque, è uno negozio giuridico che potremo definire “basilare” e ciò perché esso è noto a chiunque e non solo ai tecnici o ai cultori del diritto. Sostanzialmente il contratto è un accordo da cui derivano una serie di vincoli obbligatori, diffuso nei più disparati campi del diritto e, negli ultimi anni, sdoganato e divenuto parte della vita politica del Bel Paese. Tale particolare negozio giuridico, la cui forza vincolante è popolarmente conosciuta, si è dimostrato un ottimo strumento per far presa verso l’ampio pubblico dagli elettori divenuti, così, testimoni della buona volontà delle promesse del politico di turno nei confronti del popolo. L’avvento del contratto nel mondo della politica si deve, nemmeno a farlo di proposito, a Silvio Berlusconi ed al celeberrimo Contratto con gli Italiani redatto in diretta televisiva durante la trasmissione Porta a Porta di Bruno Vespa ormai 17 anni fa. Oltre alla recente riproposizione dello stesso, da parte del suo “padre spirituale” nella recente campagna elettorale, il contratto, nella sua veste politica anziché giuridica, si ripropone oggi nella forma di un accordo programmatico tra le due maggiori forze politiche chiamate, ora, a proporre un governo: Lega e M5S. Nonostante sia presto, dato lo stato di bozza (anche se nel suo stato definitivo dovrà essere sottoposto al vaglio popolare d istituzionale) del Contratto di Governo, è già possibile farsi un’idea generale di quali saranno, almeno sulla carta, le intenzioni della futura legislatura sul piano del diritto.
Il primo punto del contratto di governo a venire in rilievo è quello relativo alla volontà di modificare l’attuale istituto della legittima difesa. Occorre precisare fin da subito che tale posizione di rilievo non è data né dall’importanza dell’ipotetica modifica né dalla sua posizione all’interno dei 29 punti contrattuali ma, piuttosto, dalla violenza con cui tale argomento è in grado di colpire lo stomaco della comunità. Ricordiamo, in questa sede, che la legittima difesa si pone tra le scriminanti, particolari ipotesi che escludono la punibilità di un fatto nonostante lo stesso sia effettivamente avvenuto quindi, nel caso, l’omicidio. L’idea della modifica è di per sé semplice: eliminare le situazioni di incertezza date dal requisito della proporzionalità fra offesa e difesa. Tale modifica, nonostante il recente intervento legislativo in materia, è frutto del sentire comune, incitato dal clima politico e mediatico attuale, ed è probabilmente diretta ad allargare le maglie dell’istituto offrendo una più ampia applicazione della causa di giustificazione. Nel contratto di governo non vengono previsti termini tecnici per la sua attuazione tuttavia, così come espressa, la rimozione del criterio di proporzionalità non sembra, a detta dello scrivente, una soluzione definitiva per la rimozione dell’incertezza e questo in quanto, per estremo, si finirebbe col legalizzare praticamente ogni omicidio avvenuto tra le mura domestiche dato il complesso vaglio che spetterebbe ai Tribunali per determinare se l’intento dell’intruso o del presunto tale fosse effettivamente il furto e, al contempo, l’intento dell’agente non fosse l’omicidio.
Mantenendoci nell’ambito del diritto penale, il contratto di governo si ripropone di prevedere particolari circostanze aggravanti per la violenza sessuale perpetrata nei confronti di un soggetto particolarmente vulnerabile. Se pur la vulnerabilità sia uno dei criteri essenziali nel diritto penale moderno, divenuta elemento ineliminabile in recepimento delle Convenzioni di Lanzarote, una simile ipotesi è già prevista e punita dal codice penale odierno. Un aumento generalizzato delle pene, sempre in tema di violenza carnale, coincide perfettamente col comune sentire che vede, nel citato delitto, uno dei più gravi crimini ipotizzabili assieme all’omicidio. Sempre attinente a queste tematiche, sia per ciò che attiene un punto di vista della tipologia di delitti sia per l’ambito penalistico della volontà riformatrice, si pone quanto ipotizzato in tema di stalking. Tale ipotesi delittuosa, che può ancora dirsi di recente introduzione, è un’ipotesi nata “zoppa” e ciò in linea con il pensiero e l’analisi tanto della giurisprudenza quanto della dottrina. La perseguibilità del reato a querela, l’assenza nella pratica di mezzi idonei a far fronte a tali situazioni, l’effettiva difficoltà delle vittime in queste situazioni psicologicamente distruttive, hanno portato negli anni a risultati alquanto deludenti e, pertanto, una modifica dell’istituto era facilmente prevedibile. Ciò che si auspica, all’interno dell’accordo, è una particolare formazione in capo alle forze dell’ordine relativamente a questi reati e l’applicazione, tanto per lo stalking quanto per la violenza sessuale e i maltrattamenti, di un non meglio precisato “codice rosso”. Sono presentate, infine, generali volontà di inasprire determinati reati fra cui quelli correlati alla mafia, agli animali e all’ambiente.
Minori interventi, invece, coinvolgono il diritto civile ma questo per l’ovvio motivo, peraltro già citato, che seppur il diritto civile sia la base fondante della nostra società, che sorregge ogni ambito del vivere comune, il diritto penale, di suo, ha l’estremo potere di coinvolgere e sconvolgere il comune sentire. Unico intervento significante in materia è quello inerente al diritto di famiglia dove si auspicano semplificazioni nelle adozioni internazionali e una parificazione genitoriale nell’affidamento dei figli e nella riduzione dell’assegno di mantenimento in favore del mantenimento diretto ossia, di fatto, le spese che derivano dal tenere presso di sé il figlio. Tali ultimi punti, seppur buoni sulla carta perché fondanti sull’interesse della prole ad un sano sviluppo psicologico, risultano problematici da un punto di vista pratico in tutte quelle situazioni dove non vi è alcuna collaborazione tra i genitori, nei casi di indigenza o, ancora, di lontananza fra gli stessi.
Non poteva passare indenne da interventi l’ambito processuale, tanto civile quanto penale, considerato, dai più, il vero tallone d’Achille del sistema giuridico italiano. I fini perseguiti sono nobili e, ormai, piuttosto famosi: lo snellimento del processo civile e la certezza della pena in ambito penale. Per quanto riguarda il processo civile, la cura proposta è data dall’estensione di mediazione e negoziazione, in maniera alternativa, a ogni causa, la limitazione dei procedimenti civili ai soli riti ordinari e del lavoro e, infine, l’obbligo in capo al Giudice di stilare già in sede di prima udienza l’intero calendario processuale. La problematica principale di tali idee è una, l’estraneità dalla realtà processuale in Italia. La riduzione dei riti non si sa di preciso a cosa faccia riferimento; impensabile che riguardi casi come il procedimento monitorio, quello di sfratto e via dicendo. Per gli altri due punti, invece, la triste realtà è uno scoglio insormontabile: basterebbe l’assenza di un testimone o la morte di un soggetto processuale per vanificare qualsivoglia calendario. Inoltre, per quanto attiene gli istituti della negoziazione e della mediazione, seppur utili nella teoria, nella pratica si traducono in mere formalità dirette unicamente a posporre il giudizio.
Nel procedimento penale, invece, si vorrebbe l’eliminazione del rito abbreviato per determinati reati, quelli inerenti alla mafia e quelli sanzionati con l’ergastolo. In un primo momento tale ipotesi era prevista anche per il furto ma, nell’evoluzione delle bozze, tale richiamo è scomparso forse a causa dell’estrema diffusione dei procedimenti pendenti per furto e per il gravoso carico giuridico che l’assenza di riti abbreviati avrebbe comportato. Si vorrebbe, poi, eliminare la possibilità di applicare il trattamento minorile per il “giovane adulto” ossia il soggetto al di sotto dei venticinque anni di età. Viene espresso, in ultimo, l’intento di annullare tutte le modifiche e riforme precedenti al contratto in esame orientate che comportano trattamenti alternativi al carcere o velocizzazioni del processo: particolare tenuità, condotte riparatorie, depenalizzazioni e via dicendo. Per far fronte all’estremo carico che da tali modifiche giungerebbe si ipotizzano nuovi carceri, nuovi Tribunali e Pubblici Ufficiali.
Possiamo osservare, concludendo, che nonostante tutto l’impianto presentato dal contratto di governo di Lega-M5S sia ancora in fase iniziale, emergono chiaramente, per quanto riguarda il solo settore del diritto, alcuni punti condivisibili. Ciò nonostante il problema principale che si riscontra è dato dalla totale estraneità del “piano” con il lato pratico del settore. Il riferimento qui non è diretto solo ai fondi necessari per le conseguenze delle modifiche auspicate ma, come abbiamo avuto modo di osservare, il contrasto si esprime verso l’attuale svolgimento dei processi. Molte modifiche auspicate dai redattori del contratto rischiano di creare ulteriori rallentamenti nella già farraginosa macchina della giustizia italiana e, allo stato dei fatti, anche un’ipertrofica produzione giurisprudenziale e dottrinale. Tuttavia, come premesso, lo stato dei fatti è ancora acerbo per poter parlare di veri e propri interventi e consente unicamente valutazioni di tipo pronostico. Diviene quindi impossibile propendere, al di là delle legittime opinioni personali più o meno fondate, per la distruzione o per la rinascita del Paese. Volendo utilizzare parole tanto famose quanto autorevoli: ai posteri l’ardua sentenza.
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