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Gerusalemme è la capitale di Israele

Published by
Ilaria Bertocchini

Lunedì 14 maggio è stata spostata l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme con il conseguente riconoscimento di quest’ultima come capitale dello stato di Israele.

Come si vive a Gerusalemme

Gerusalemme è un luogo simbolo per varie professioni di fede, la cui convivenza non è per niente facile. È una città divisa in quattro quartieri: ebraico, cristiano, musulmano e armeno e la sua divisione è il risultato soprattutto della contesa della città da parte degli arabi palestinesi e degli israeliani, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. I primi rivendicano di averla fondata e di avervi costruito il Tempio Santo, il luogo più sacro della religione ebraica, del quale rimane oggi solo un basamento, conosciuto oggi come il Muro del pianto. I palestinesi, invece, hanno abitato questo luogo per secoli e vi hanno costruito la Cupola della Roccia, edificio divenuto anch’esso simbolo della città. La Cupola della Roccia si trova vicino alla moschea Al Aqsa ed entrambe si trovano sulla cosiddetta “Spianata delle moschee”, luogo dove secondo i Musulmani Maometto fu asceso al cielo, ma luogo dove sorgeva anche il Tempio Santo. La città vecchia di Gerusalemme, uno spazio di circa un chilometro quadrato circondato da mura imponenti, è sede di tutti questi luoghi sacri e anche della Chiesa del Santo Sepolcro, che secondo i Cristiani è stata edificata sul luogo dove morì Gesù Cristo. Un fatto che può ulteriormente dimostrare quanto sia complessa la città di Gerusalemme è la custodia della chiave dell’unico di ingresso alla basilica: dal XII secolo sono due famiglie musulmane, i Nusayba e i Ghudayya, a possederla. Le tensioni non mancano, soprattutto il venerdì, quando i musulmani vanno alla moschea di Al Aqsa per pregare.

La nuova ambasciata statunitense a Gerusalemme (Fonte foto: PBS News Hours)

Un primo tentativo di pace avvenne con l’armistizio del 1948, alla fine della prima guerra fra arabi palestinesi e israeliani, che portò alla divisione della città in due. La guerra fu combattuta dopo la creazione dello stato di Israele, nel 1948, quando diversi Paesi arabi gli dichiararono guerra. Israele però vinse e di conseguenza centinaia di migliaia di palestinesi furono costretti alla fuga. L’episodio del grande esodo palestinese viene ricordato con il nome arabo di naqba, che significa catastrofe. I territori della parte est furono affidati alla Giordania, mentre quelli a ovest a Israele. Nel 1967, anno in cui Israele vinse la Guerra dei sei giorni, però, parte dei territori palestinesi, che coincidono con l’odierna Cisgiordania, finirono sotto il controllo israeliano, per poi essere parzialmente ceduti ai palestinesi con gli accordi di Oslo del 1993. Gli ultimi negoziati di pace arrivano nel 2000, con un esito fallimentare dal momento che nessuna delle due parti trovò un modo efficace per spartirsi la città e la comunità internazionale mantenne ancora una volta una posizione equidistante tra le due parti.

Gli antecedenti

Contrariamente a quanto si pensi, la decisione di Donald Trump di spostare l’ambasciata a Gerusalemme non è la prima in assoluto. Nel 1950 il governo israeliano dichiarò Gerusalemme sua “capitale eterna” e parte inseparabile dello stato d’Israele e ben 16 Stati decisero di aprire la loro ambasciata nella città negli anni successivi, nonostante il suo status ancora poco definito. Fra questi, tre Paesi africani (Costa d’Avorio, Zaire, che ora è Repubblica Democratica del Congo, e Kenya), dodici latinoamericani (Bolivia, Cile, Colombia, Costa Rica, Repubblica Dominicana, Ecuador, El Salvador, Panama, Uruguay, Venezuela, Guatemala e Haiti) e uno europeo, i Paesi Bassi.Tra gli anni Settanta e i primi anni Ottanta, però, queste ambasciate furono tutte progressivamente chiuse, come conseguenza della guerra dello Yom Kippur del 1973 e dell’approvazione della “Legge fondamentale” da parte del Parlamento israeliano nel 1980 – che trovate spiegate qui.

La posizione USA

Il governo di Israele considera ancora oggi Gerusalemme la propria capitale e lì vi si trovano gli edifici del governo e del Parlamento israeliano. Tutto questo fa capire come la decisione di Trump, Presidente del Paese più influente al mondo, non significhi semplicemente lo spostamento di un ufficio diplomatico, ma molto di più, soprattutto se si pensa alla posizione dei suoi predecessori. Infatti, il Congresso degli Stati Uniti approvò già nel 1995 il il Jerusalem Embassy Act, la legge sull’ambasciata di Gerusalemme che invita il Paese a trasferire la sua sede diplomatica nella città santa. L’atto è vincolante ma contiene una clausola in base alla quale i presidenti americani possono rinviare l’attuazione della legge ogni sei mesi in ragione di superiori “interessi di sicurezza nazionale”. Bill Clinton, George W. Bush e Barack Obama firmarono sempre questa deroga, con regolarità, ogni sei mesi.

Ivanka Trump inaugura l’ambasciata a Gerusalemme (Fonte foto: The Intercept)

Trump aveva annunciato la volontà di spostare la capitale già in campagna elettorale anche se poi aveva seguito l’esempio dei suoi predecessori lo scorso giugno. Il 15 dicembre dello scorso anno ha però dato luogo alla sua promessa, con la nomina del nuovo ambasciatore americano a Tel Aviv, il diplomatico David Friedman, che si è da sempre contraddistinto per le sue posizioni pro Gerusalemme. La sua nomina era stata accolta in modo positivo dal Presidente Nethanyau, e il ministro degli Esteri israeliano Tzipi Hotovelydel aveva sottolineato come tale decisione esprimesse «La volontà di rafforzare lo status di Gerusalemme come capitale e la considerazione del fatto che le colonie non sono mai state davvero un problema nella regione»La cerimonia di inaugurazione è avvenuta in coincidenza con i 70 anni della nascita dello stato di Israele, ma anche con l’anniversario della Naqba, ovvero la commemorazione della sconfitta palestinese nella prima guerra con Israele. A rappresentare Trump vi erano la figlia Ivanka, il marito Jared Kushner, il segretario al Tesoro David Mnuchin. L’edificio che ospiterà l’ambasciata era già sede del consolato generale degli Stati Uniti, nel quartiere di Arnona, e non ha spazio sufficiente per le decine di impiegati che lavorano all’attuale ambasciata di Tel Aviv. Per questo motivo per il momento si vi si sono trasferiti solo l’ambasciatore americano David Friedman e una cinquantina di funzionari. Entro il 2019 l’amministrazione Trump si è impegnata a trovare una nuova sede che permetta di trasferire tutti i dipendenti.

Con lo spostamento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, gli Stati Uniti riconoscerebbero di fatto la città contesa come capitale di Israele, gesto mai compiuto dalla comunità internazionale. Il tutto in un quadro geopolitico non dei migliori: Israele è di nuovo ai ferri corti con l’Iran, soprattutto dopo la decisione di Trump di tirarsi fuori dall’accordo sul nucleare; le proteste a Gaza durano da ormai più di due mesi e con l’apertura dell’ambasciata hanno visto la morte di 66 e il ferimento di oltre 2700 palestinesi. Il tutto mentre Trump, nel suo videomessaggio proiettato durante l’inaugurazione, dichiarava «la nostra più grande speranza è per la pace».

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Ilaria Bertocchini

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