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Bello ma non si applica: Frostpunk

Published by
Alan Pasquali

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Frostpunk ha un titolo decisamente chiaro. Quello che ci aspetta è diversi gradi sotto lo zero. Può però essere qualcosa di veramente fresco o si ridurrà a congelare i bollori di tutti coloro che lo attendevano con ansia? I suoi predecessori della casa 11 bit studios non sono particolarmente blasonati, salvo This War of Mine. La trasposizione videoludica del noto gioco da tavolo sull’assedio di Sarajevo riesce infatti a raggiungere il suo obbiettivo in maniera immacolata, riuscendo a splendere a prescindere dai suoi difetti. Difetti che sono purtroppo molteplici seppur scontati, partendo per esempio dalla limitata rigiocabilità del titolo. Essendo tuttavia Frostpunk un city builder, la possibilità di giocare in maniera pressoché infinita dovrebbe essere uno dei requisiti principali.

Frostpunk e le altissime aspettative

Si può riuscire a modellare in maniera equilibrata il tocco del regista e la possibilità di giocare quasi all’infinito? Frostpunk cerca di rispondere a questa domanda in maniera positiva, creando un immenso ibrido tra un city builder (un simulatore di costruzioni di città per l’appunto) e un gioco di narrativa. In maniera molto similare al precedente successo di 11 bit, la trama di Frostpunk dovrebbe ruotare intorno alla sopravvivenza, e a quanti compromessi di natura etica sia disposto ad accettare l’essere umano per poter andare avanti. Il team di sviluppatori, già molto abile nel sottolineare le diverse sfaccettature umane grazie alle passate esperienze, non riesce però a raggiungere il giusto livello di profondità. This War of Mine prova a toccare l’animo del giocatore mettendolo di fronte alla barbarie tipica dei tempi bui e lo fa intimamente. Ci presenta infatti dei personaggi, uomini e donne, che vedono la loro vita di tutti i giorni stravolta da un conflitto, costringendo i giocatori a un cambio di visuale tanto drastico quanto inaspettato. Frostpunk non possiede invece nessuna di queste caratteristiche, e anzi, ci pone esattamente dove ci aspetteremmo di essere: magicamente al comando della vita di decine, se non centinaia, di persone. Pur trattandosi di una delle caratteristiche base di ogni city builder esistente e non perdendo sicuramente il suo fascino ipnotico, osservare il tram tram giornaliero degli abitanti della nostra città non risulta particolarmente innovativo come punto di vista. Anzi, è proprio questo fattore che va a distaccare completamente il giocatore eliminandone l’empatia umana. Potremmo citare un personaggio storico famoso in questo proposito, ma risparmiandoci l’excursus ci limiteremo a dire che le tragedie dei singoli personaggi, bene o male caratterizzati che siano, possano essere in grado di scuotere anche i più insensibili, così come risulti invece completamente impossibile empatizzare con dei numeri. Frostpunk ha personalità da vendere e la narrazione nel suo complesso si propone come originale e fuori dalla media, i suoi protagonisti risultano invece privi di qualsiasi spessore. Nessuno piangerà se il gelo dovesse ucciderne qualche centinaia.

Fortunatamente le noiose persone potrebbero rapidamente essere sostituite da dei molto più interessanti robottoni a vapore.

Meccanicamente Frostpunk si dimostra particolarmente ripetitivo, come in realtà quasi tutti i giochi del suo genere. La principale differenza che Frostpunk porta in campo però si attesta sulla tipologia di gestione richiesta al giocatore. Generalmente in un city builder la cosa più importante è la pianificazione accurata del nostro spazio cittadino. Dove posizionare cosa, decidere se concentrare il traffico in un unico punto o suddividerlo, non piazzare complessi abitativi di fianco a una ciminiera. Tutti questi piccoli accorgimenti influiscono sulla qualità di vita e sull’efficienza dei cittadini, generando una serie di scelte urbanistiche più o meno ordinarie su cui riversare la propria fantasia. Frostpunk prende una strada completamente diversa e limita questo aspetto con la meccanica della temperatura. Non appare infatti strano che in un gioco in cui parte del titolo sia letteralmente gelo ci si debba prima di tutto assicurare che la propria popolazione non muoia a causa del freddo. A questo punto però appare immediatamente chiaro un importante limite, esacerbato dal passare del tempo: la differenza tra i posti di lavoro e le case. Tra le prime ricerche effettuabili il giocatore ha infatti a disposizione dei comodissimi impianti di riscaldamento per tutti i posti di lavoro dei cittadini, impianti che non sono assolutamente disponibili invece per le abitazioni. Questo dettaglio, unito alla mancanza di alternative per gli abitati e all’assenza di un vero e proprio sistema di movimento della popolazione, limita in maniera esasperante i progetti urbanistici del giocatore, costringendolo a posizionare le abitazioni il più vicino possibile al centro della città e i luoghi di lavoro in maniera opposta. Questa imposizione non solo impatta le scelte del giocatore, ma si riversa anche sulle possibilità di rigiocabilità del prodotto stesso, rendendo qualsiasi partita e scenario dopo la prima una ignobile ripetizione a variazione minima. Caratteristica a cui si aggiunge ulteriormente la narrazione, incapace di prevedere il bisogno del giocatore d’interfacciarsi con situazioni sempre diverse e variegate e il cui risultato non può e non deve essere così scontato. Frostpunk si ritrova così a non capire cosa voglia essere precisamente e finisce con il risultare una sorta di ibrido incompleto e confuso, incapace di accendere la propria scintilla.

Questa conformazione cittadina è stata pensata per essere il più efficiente possibile, posizionando le case vicino ai posti di lavoro. Sfortunatamente questo tipo di pensiero è svantaggioso e sarà invece solo fonte di problemi.

Fortunatamente però, pur non riuscendo a integrarsi efficacemente con il gioco, la narrativa e l’ambientazione singolarmente risultano molto piacevoli. L’uomo è sull’orlo dell’estinzione: una rigida glaciazione ha ricoperto il pianeta Terra in epoca vittoriana, trascinando la nostra specie in una efferata lotta per la sopravvivenza. In un disperato tentativo di raggiungere la salvezza, diverse spedizioni dei più svariati ceti sociali si fanno strada tra i ghiacci e la neve, con il solo obbiettivo di raggiungere dei giganteschi generatori a carbone. Il giocatore si trova quindi al comando di questi piccoli o grandi gruppi che siano, facendosi garante della loro sopravvivenza. Tuttavia in Frostpunk il ruolo assegnato a chi fruisce del suo contenuto è tutt’altro che piacevole: la sopravvivenza in un clima così estremo richiederà, a prescindere dalle capacità di chi decide, dei compromessi e dei sacrifici. Qualora la popolazione dovesse decidere che la visione della sua guida si sia allontanata troppo dalla propria, tramite le meccaniche di hope (speranza) e discontent (malcontento), deciderebbe semplicemente di sostituirla. L’unico grosso problema legato a queste due statistiche risiede però in un altro sistema esclusivo di Frostpunk: le leggi. Il giocatore potrà infatti, una volta ogni tot tempo, promulgarne una scelta dall’apposito albero. Queste leggi dovrebbero essere una delle caratteristiche principali di Frostpunk, ma finiscono in realtà con l’esserne uno dei motivi di svalutazione: la poca varietà, unita all’evidente sbilanciamento di alcune scelte paragonate alle alternative, distrugge completamente il libero arbitrio di chi gioca. Questo ovviamente senza prendere in considerazione il fatto che il secondo albero delle leggi, disponibile come Ordine o Religione, non sia altro che un reskin con i nomi leggermente modificati della stessa identica cosa. Ci troviamo quindi di fronte a scenari vari e pensati con una trama interessante che non vogliono farsi giocare ed esplorare. A causa infatti di un sistema di gioco molto simile tra una partita e l’altra, a cui ogni modifica apportata risulta in un evidente mancanza di efficienza senza avere effetti contrapposti, ogni singola partita si svolgerà meccanicamente identica. Un netto contrasto quindi con tutto ciò che circonda il gioco.

Sopravvivere ai gelidi venti artici non è semplice, I generatori saranno infatti quasi sempre posizionati dentro dei bassorilievi.

La conclusione di Frostpunk

Come spesso accade in questa rubrica, ci troviamo quindi di fronte non a un pessimo gioco, ma a qualcosa dall’alto potenziale sfruttato indegnamente. Frostpunk ha tutte le carte in regola per essere una novità nell’ambito videoludico dei simulatori cittadini, tuttavia richiede ancora moltissimo lavoro: l’amalgama gameplay-narrativa deve essere rimpastato in maniera equilibrata, bisogna introdurre più varietà nelle costruzioni e nelle meccaniche di pianificazione, le decisioni devono essere più interessanti del semplice mantenimento di malcontento e speranza, e questi sono solo alcuni esempi. Bisogna però dire che al suo stato attuale Frostpunk rappresenta comunque un’esperienza, seppur effimera, piacevole. Questo dettaglio, unito al suo costo ridotto e alle promesse dei suoi sviluppatori di applicarsi in maniera più costante, potrebbe decisamente attrarre i più a credere in questa terra promessa tra i ghiacci. Per meglio esprimere la sensazione che lascia questo titolo, una volta concluso il primo scenario, risulta però necessario citare proprio una delle frasi conclusive: tra tutte le varie dubbie scelte compiute alla fine, il gioco probabilmente riuscirà a sopravvivere. Ne sarà però realmente valsa la pena?

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Alan Pasquali

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