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Project Ancelotti: il piano perfetto del Napoli

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Andrea Braschayko

Ore 19:35 del 23 maggio: è appena arrivata l’ufficialità. Carlo Ancelotti è il nuovo allenatore del Napoli. In realtà la notizia dell’interessamento trapelava già da qualche settimana, ma fino alla sera prima – cioè quando l’affare sembrava ormai in porto e Carletto era appena uscito dagli studios romani di De Laurentiis – aveva la stessa credibilità di Salvini e Di Maio che dichiarano di non voler uscire dalla zona Euro.

In molti, a Napoli, vedevano il nome di Ancelotti come una suggestione bellissima ma irrealizzabile: perché uno dei tecnici più titolati al mondo, che in passato ha sempre rifiutato di tornare ad allenare in patria, Milan o Nazionale che sia, dovrebbe accettare di allenare una squadra il cui massimo traguardo negli ultimi 28 anni è stato un secondo posto e un ottavo di Champions League e soprattutto con un budget meticoloso e pianificato? Particolarmente scettici erano gli haters del presidente De Laurentiis, convinti che mai il patron partenopeo avrebbe accettato di pagare uno stipendio come quello dell’allenatore di Reggiolo, circa cinque volte quello di Sarri. Aperta era anche la questione dei famosissimi diritti d’immagine, a cui Ancelotti difficilmente avrebbe rinunciato e considerati una priorità per il presidente.

Considerata l’apparente inarrivabilità di Ancelotti, gli altri nomi accostati alla panchina degli azzurri erano quelli del tecnico della Sampdoria Giampaolo e persino di Semplici, alla prima stagione di Serie A alla SPAL. Insomma, con l’addio di Sarri ogni giorno più vicino dopo il tracollo di Firenze e osteggiato duramente dall’intera tifoseria, pronta a innescare letteralmente una rivoluzione in difesa del Comandante, la dirigenza del Napoli (leggasi De Laurentiis) si trovava in una posizione molto complicata. Era chiaro a tutti che lo strappo tra Sarri e il Napoli fosse dovuto alla difficile convivenza tra il carattere del tecnico e quello del presidente, che appena ha potuto (cioè quando il Napoli è uscito definitivamente dalla corsa scudetto) ha usato parole dure verso le scelte di Sarri nella stagione, dicendo che “il record di punti non era un obiettivo societario. Sarebbe stato meglio fare una decina di punti in meno in campionato e avanzare in Europa” e sottolineando che la gestione della rosa è stata a tratti fallimentare, con Mario Rui che si è ritrovato a metà stagione a dover reimparare come si gioca a calcio dopo un anno e mezzo di stop.

Le frasi di De Laurentiis sono state però accolte con diffidenza tra l’opinione pubblica napoletana, che si è stretta intorno a un allenatore che ha riportato il Napoli a sognare un traguardo storico, con un gioco a tratti spettacolare e che ha toccato i 91 punti stagionali, con di mezzo una vittoria al 90′ nell’inespugnabile Juventus Stadium. E anzi, la colpa per il fallimento del Napoli nel rush finale è stata imputata più al presidente – che non ha saputo/voluto rinfoltire la rosa nella sessione di gennaio – che a Sarri. La partenza dell’allenatore più amato dai napoletani del nuovo millennio e l’arrivo di un allenatore di seconda fascia stava per spaccare la già fragile e squilibrata connessione tra De Laurentiis e la città. Ed è così che nasce nella testa dell’imprenditore romano l’idea di Carlo Ancelotti: riuscire a portare al Napoli un allenatore che ha conquistato tre Champions e ha allenato metà degli attuali top club europei avrebbe zittito sul nascere i rancori e malumori dei tifosi per la partenza del loro idolo. E così è successo. Da un giorno all’altro, Napoli si è svegliata in un sogno chiamato Ancelotti, dal quale – almeno fino ad agosto – non si vuole svegliare. E Maurizio Sarri, seppur salutato con amore e riconoscenza, è solo un lontano ricordo.

Aura magica, ma un po’ arrugginita

Sarebbe inutile negare che Ancelotti si presenta al Napoli in seguito alla prima fase calante della sua carriera da allenatore. D’altronde, se così non fosse, probabilmente non avrebbe nemmeno considerato l’offerta degli azzurri.

Dopo aver conquistato la tanto agognata Decìma Champions League con il Real Madrid, viene esonerato la stagione successiva dopo l’eliminazione in semifinale da parte della Juventus e dopo il secondo posto nella Liga. Alla luce dei tre anni successivi di Zinèdine Zidane, viene da chiedersi come abbia fatto un allenatore come Ancelotti a non vincere il campionato spagnolo, l’unico titolo nazionale della Top 5 europea che tutt’ora gli manca (condivide il record di quattro nazioni con Happel, Ivic, Mourinho e Trapattoni). Le opinioni si dividono: l’esperienza in Spagna è stata soddisfacente oppure si poteva fare di più? È stato lui ad aprire il ciclo vincente di Zidane oppure il Real Madrid era semplicemente una squadra formata da giocatori soprannaturali che non potevano che vincere? Queste domande aprono persino un giudizio sui meriti di Zidane stesso nelle fortune dei blancòs e riportano all’eterna dicotomia tra meriti dell’allenatore e bravura dei giocatori.

L’ultima esperienza al Bayern Monaco sembra avere molti in comune con la sua prossima avventura partenopea. In Germania Ancelotti ereditò una squadra già costruita sugli automatismi di Guardiola, proprio come il Napoli si regge ora sulle idee triennali di Sarri, ed è difficile immaginarlo in altra veste. Al Bayern l’ex tecnico del Milan scelse di abbandonare il tiki taka favorendo un calcio più conservativo, votato soprattutto all’inventiva dei singoli, in particolare Thiago Alcàntara. Pur vincendo la Bundesliga e venendo eliminato dalla Champions più per errori arbitrali che demeriti propri ai quarti di finale contro il Real, l’amore tra Ancelotti e i bavaresi non è mai sbocciato. Durante la sua prima stagione ha bloccato la crescita dei giovani talenti della squadra (Douglas Costa, Renato Sanches, Kingsley Coman) a favore della vecchia guardia nei nomi di Robben, Ribery, Xabi Alonso e Lahm. Per la prima volta in carriera, però, proprio il legame con i calciatori più esperti – uno dei capisaldi di Ancelotti nella gestione di una squadra – è venuto meno, che lo hanno criticato nello spogliatoio e fuori da esso (Robben e Boateng in primis). L’esonero in seguito alla disfatta col PSG (0-3) nella seconda giornata dei gironi di Champions, è stato sì sorprendente poiché avvenuto a inizio stagione, ma per certi versi inevitabile.

Carlo Ancelotti è la costruzione di un dream team europeo?

Già prima che Ancelotti firmasse il contratto con la società azzurra, sui siti di calciomercato circolavano voci di top players accostati alla maglia del Napoli. Da Vidal avvistato (notizia poi rivelatasi fake) all’aereoporto di Capodichino, al surreale scambio David Luìz-Sarri con il Chelsea, fino all’interessamento verso uno dei pupilli di Ancelotti, Karim Benzema, che nel frattempo si è tolto lo sfizio di segnare uno dei gol più brutti delle finali di Champions League. La teoria – in realtà per molti tifosi e addetti ai lavori il dogma – era che l’arrivo di Ancelotti significasse che De Laurentiis stava finalmente per aprire il portafogli e pronto a portare in Campania qualsiasi giocatore l’allenatore desiderasse.

Sono passate solo poche settimane, ma è già facile immaginare che non sarà questo il vettore del calciomercato partenopeo. Gli accostamenti al Napoli di giocatori di questo genere sono già diminuiti esponenzialmente, e ci si è spostati verso nomi più realizzabili come Verdi, Ruìz del Betis Sevilla e Andriy Lunin dagli ucraini dello Zorya.
Il mercato è ovviamente ancora molto lungo, ma si sta già cominciando a capire verso dove saranno indirizzati i trasferimenti. E non sono certamente giocatori da 6/7 milioni di euro di stipendio l’anno; al massimo potrebbe arrivarne uno, un profilo di grande esperienza ma con poco spazio nel proprio club, come Arturo Vidal, in rotta con il Bayern che dopo Tolisso ha preso un altro suo sostituto a centrocampo, ufficializzando il trasferimento dallo Schalke di Goretzka. Un innesto per trasferire dalla panchina al campo la mentalità vincente di Ancelotti.

«Presidè, ma quindi pure con Carletto non cacci i soldi?»

Quello che sembra il vero l’obiettivo di De Laurentiis ingaggiando Ancelotti è ridare motivazione a una squadra che ha fallito per l’ennesima volta l’appuntamento con un grande traguardo. Uno dei motivi per cui si sono creati i primi attriti tra il presidente del Napoli e Sarri sono state le mancate rassicurazioni del primo sulla permanenza dei giocatori chiave della squadra. Da inizio maggio Mertens, Hamsik, Callejon, Jorginho sono dati per sicuri partenti, logica conseguenza della fine di un ciclo che si è chiuso purtroppo senza trofei.

Il primo passo di Ancelotti da allenatore del Napoli – a dimostrazione della sua vocazione a stringere un legame di forte fiducia e rispetto nei confronti dei suoi calciatori – è stato parlare o telefonare a ognuno dei giocatori al centro di voci di mercato. Ed è così che la partenza di Mertens, data per scontata, ora sembra molto lontana. Hamsik, che sembrava pronto ad emigrare in Cina per pianificare la pensione, è più propenso a rimanere. Persino Jorginho, ogni giorno accostato al Manchester City, è tutt’altro che sicuro della partenza. Ancelotti si è fatto inoltre assicurare l’incedibilità di Koulibaly, Zielinski, Insigne e Milik intorno ai quali vuole costruire il suo progetto triennale.

In poche parole, nonostante l’ingaggio pesante in termini economici di Ancelotti, il Napoli potrebbe comunque uscirne con un saldo positivo, risparmiando sui sostituti che avrebbe dovuto cercare se ognuno dei titolarissimi fosse partito. Ora come ora, l’obiettivo del direttore sportivo Giuntoli sarà quello (oltre all’ovvia necessità di un portiere per il post-Reina: sarà uno tra Rui Patricio e Leno) di fare un innesto per reparto per rinfoltire la rosa, che Ancelotti saprà sicuramente gestire meglio del suo predecessore. Il paragone con la prima stagione di Benitez, quando arrivarono Higuain, Callejon, Mertens, Ghoulam e Albiol, non regge perché a differenza dello tecnico spagnolo, Ancelotti arriva in una squadra già forte e assestata. Il compito dell’allenatore emiliano sarà quello di far uscire i giocatori dagli schemi idealizzati ma spersonalizzanti di Sarri, dove l’undici titolare era una organismo vivente interdipendente, verso un calcio più individualista e concreto. Sarà un processo non semplice e immediato, ma l’esperienza di Ancelotti ha già dimostrato di saper trovare quasi sempre il meccanismo giusto. Anche se non arriveranno grandi nomi quest’estate, il Napoli ha già dimostrato di ragionare da grande squadra e di voler alzare l’asticella dopo l’ultima stagione. Se tutto andrà bene, i grandi nomi saranno una logica conseguenza.

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