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Perché il giornalismo sportivo sta andando in crisi?

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Claudio Agave

GIORNALISMO SPORTIVO – Il mestiere del giornalista, di per sé estremamente difficile e pregno di responsabilità, seppur sottovalutato per molti aspetti, deve andare a conflitto – nel corso del tempo – con i movimenti più virtuosi della Storia del mondo. Gli eventi si modificano, le cose cambiano e ogni persona recepisce – a suo modo – linguaggi differenti. In termini generali il giornalismo vive decadi di crisi proprio a causa di questi (e altri) motivi. Addentrandoci, invece, ancor più nello specifico, il giornalismo sportivo (soprattutto in Italia) sta facendo ancor più difficoltà a mostrarsi moderno, a ricongiungersi con i temi contemporanei unendo a questa rincorsa una qualità che spesso è stata presente ma che adesso, almeno in parte, si sta palesando calante. Le motivazioni della crisi del giornalismo sportivo nostrano sono evidenti, numerose e determinanti. Lungi da noi voler fare il funerale al movimento o, ancor peggio, volersi ergere a portatori esclusivi e assoluti di verità. Tutt’altra cosa, però, è restare inermi di fronte a una catastrofe annunciata a causa di una forma mentis tutta italica che difficilmente sembra vicina al cambiamento.

I motivi per cui il giornalismo sportivo italiano sta andando in malora

Iniziamo con una motivazione estremamente banale e destinata a creare polemiche: l’avvento dei social ha letteralmente distrutto il giornalismo come lo conoscevamo. Una critica evidentemente poco utile, per certi versi, perché sta a significare non solo sputare nel piatto attraverso il quale si può mangiare, ma anche cercare di screditare un mezzo che, a conti fatti, risulta molto concreto. Quella dell’analisi social è però una base di partenza fondamentale per cercare di comprendere i motivi seguenti di questo pericoloso calo. Con la presenza dei social network, infatti, sia in termini generali che sportivi è venuta meno una componente importantissima dell’informazione: quella dell’hype, del dover aspettare per potersi informare e costruirsi un parere davvero completo su qualsiasi tema. Il giornalista e il lettore di oggi pagano un minore approfondimento a fronte di una maggiore immediatezza che però non sempre (anzi, oseremmo dire quasi mai) è sinonimo di qualità. La saggezza popolare non sbaglia quando sostiene che “chi va piano va sano e va lontano”, specialmente perché la fretta del dare una notizia è probabilmente una delle componenti che, nel medio e lungo termine, hanno destrutturato e rovinato l’informazione sportiva. La ricerca della velocità, del sensazionalismo a tutti i costi, il voler battere la concorrenza per arrivare prima degli altri. Sono dinamiche ormai presenti, coerenti con il mondo di oggi, che vanno però accettate a tratti, tramite compromesso e solamente quando realmente necessario. In questo, il giornalismo sportivo si presta moltissimo come vittima sacrificale, soprattutto quando il tema centrale verte in prevalenza su uno sport specifico come il calcio, disciplina seguitissima in Italia e praticamente sempre al centro dell’attenzione. Un esempio decisamente calzante arriva da una vicenda generatasi negli scorsi giorni: quella del presunto arrivo di Arturo Vidal, calciatore del Bayern Monaco, all’aeroporto di Capodichino a Napoli per unirsi al club di Carlo Ancelotti. Sui social network, infatti, era spuntata una foto da distanza non propriamente ravvicinata che, teoricamente, ritraeva l’ex giocatore della Juventus intento ad attendere il suo bagaglio dopo il viaggio (peraltro nella solitudine più generale, un aspetto molto strano se riguardante un personaggio famoso). Molte importanti testate online, vista la fotografia, hanno pensato di impostare un pezzo proprio su questa presunta notizia, con tanto di titoli sensazionalistici e molto a effetto. In particolare, la notizia è stata riportata principalmente da una testata online molto importante che fa capo a un’azienda di primo livello nella comunicazione italiana. Peccato che quello a Capodichino non fosse assolutamente Vidal, ma una persona che gli somigliava (e nemmeno tanto). Sarebbe bastato, per esempio, fare un piccolo controllo sui profili ufficiali del ragazzo (o comunque qualche telefonata proprio allo staff aeroportuale o a qualche collega) per rendersi conto che in realtà Vidal era dall’altra parte del mondo, peraltro con un taglio di capelli decisamente diverso. La testata citata prima ha dovuto – come tante altre – scrivere in seguito un articolo di rettifica per smentire la fake news, generata peraltro da una foto condivisa su Twitter da un noto comico partenopeo. Quando, ripetiamo, sarebbe stato molto più facile controllare prima ed evitare una brutta figura. Ed è proprio qui che arriviamo a un altro punto focale della questione: la ricerca e il controllo delle fonti. Mai come nel mondo del giornalismo sportivo una fonte è fondamentale, perché in un universo composto da fatti non detti e tante indiscrezioni, riunioni al buio e incontri segreti risulta basilare avere le informazioni giuste da trasmettere senza cadere in errore. La tendenza principale, purtroppo, è invece diventata quella di spettacolarizzare la notizia per cercare il consenso del pubblico. Diventa dunque accettabile – previa citazione di fonte altrui, quando esistente – parlare di argomenti quasi impossibili da considerare realistici, soprattutto nel periodo (anche attuale) del calciomercato, pregno di scambi e operazioni sottobanco non condite dalle luci dei riflettori. Sono svariati anche i colleghi che hanno sfruttato perfettamente la scia di questo meccanismo, basando un innegabile successo sulla capacità di lanciare presunte esclusive che però si avverano solo raramente. Anche in questo caso – cioè quando una notizia risulta effettivamente giusta e il carro dei vincitori si riempie – la saggezza popolare ci viene incontro, spiegando facilmente che anche un orologio rotto segnala l’orario giusto per due volte al giorno. Soprattutto, però, il giornalismo sportivo sta andando in malora a causa della mancanza atavica di coraggio nell’incalzare, proporre domande scomode e sacrificare uno scoop o la ricerca della verità a fronte di un contatto positivo, un’amicizia in un club o un rapporto fiduciario nei confronti di personaggi in vista. Per amore di completezza va detto e sottolineato che anche cercare di vedere le cose dove non ci sono corrisponde a una mancanza di professionalità e di attenzione giornalistica. Sempre più presente, infatti, è la ricerca di complotti, di manifestazioni inusuali o di messaggi nascosti che possano dare una notizia dove in realtà non c’è. Una tendenza, questa, generata in maniera evidente da un altro grave problema che attanaglia questo mondo. Tenendo sempre conto dell’esempio calcistico, il giornalismo sportivo è infatti caduto nel tranello di cercare di proporre sempre più un’informazione faziosa e mai realmente obiettiva. Emergono continuamente siti, portali, trasmissioni che non si limitano spesso a informare il tifoso riguardo le vicende della propria squadra del cuore quanto, più che altro, di mettere in cattiva luce la concorrenza calcistica e di tacere o minimizzare problematiche interne che dall’esterno risultano chiare come il sole senza l’ostacolo dei corpi nuvolosi. Una colpa, questa, che il giornalismo sportivo deve in realtà condividere con il tifoso stesso, desideroso di chiudersi alla critica esterna per propagandarsi al suo unico e solo credo, non sempre coerente. La mancanza di oggettività nelle valutazioni (e quindi il non attenersi ai fatti, per poca conoscenza o addirittura potenziale malafede), mascherata molto spesso dalla necessità di presentare un’opinione propria, secondo i sensi della libertà personale, produce dunque l’effetto devastante di rendersi ciechi di fronte all’evidenza, di voler portare avanti una verità che di vero, in realtà, conserva ben poco.

La foto del presunto Vidal a Capodichino che ha fatto fare brutta figura a molti.

Si può dare di più (?)

La domanda successiva a questa riflessione è quasi scontata: cosa può fare il giornalismo sportivo per arginare i suoi problemi, senza voler scatenare proclami di un anacronistico ritorno alle origini? Sicuramente il controllo delle fonti, l’abilità di essere riflessivi contro la fretta (da sempre cattiva consigliera) e la volontà di essere scomodi possono qualche volta aiutare, così come una profonda riflessione va abbinata alla capacità di pesare parole ed espressioni prima di esporre un parere. Questo perché il giornalista – che deve basarsi esclusivamente sulla sua deontologia e sui concetti di etica e morale per svolgere perfettamente il suo lavoro – conserva in sé un’enorme responsabilità per evitare di creare problemi, allarmismi, polemiche futili e inutili conflitti mediatici. Come già spiegato prima, però, il giornalismo sportivo può e deve fare i conti con dei compromessi dettati dall’utenza media. E da questi compromessi non può prescindere se non attraverso un cambiamento dell’utenza media stessa, che in questo momento sembra però altamente improbabile se non addirittura (viste le dinamiche moderne) irrealizzabile. Non è infatti giusto far abbracciare la croce soltanto ai “tecnici”, poiché chi fruisce del lavoro altrui compie una libera scelta che però genera, inevitabilmente, delle conseguenze in fatto di meccanismi da mutare. Una cosa è certa: la rivoluzione (e la rivisitazione) del giornalismo sportivo in Italia sembra davvero lontana dal poter cominciare. Ed è forse questo il più grande compromesso di una professione che, a dispetto del tempo che passa, invecchia poco ma forse lo fa male.

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