«Io ho buoni rapporti con loro e se ti fa piacere organizzerei una colazione… C’è una persona che devi conoscere. Siamo diventati amici. L’avvocato Lanzalone […]». La conversazione tra Luca Parnasi e il collega Pietro Salini, oggi al vaglio degli inquirenti, suggerirebbe quasi un epilogo non canonico del finale di Casablanca. Difficile, però, parlare dell’inizio di una splendida amicizia quando questa non è pura e disinteressata: negli ambienti dell’imprenditoria e della politica romana, è più appropriato parlare di un vero e proprio mercato di bisogni reciproci.
L’irrequieta immutabilità della politica romana
La Capitale è rimasta profondamente legata agli anni Ottanta: tra il secondo scudetto della Roma, in tempi in cui uno stadio di proprietà era più di una chimera, e l’apice della comicità e dello stile di vita romani (incarnati in personaggi come Carlo Verdone), era in quegli anni che l’Urbe consumava gli ultimi sprazzi di un certo benessere provinciale mai più ritrovato.
La mentalità, però, è rimasta la stessa: i protagonisti di oggi somigliano molto a quelli di allora, quando non si tratti proprio degli stessi. Non sbaglia il collaboratore di Parnasi, Giulio Mangosi, quando definisce tale “modello di business” come «un sistema anni Ottanta», quel sistema rimasto nell’immaginario collettivo quale zoccolo duro di un’Italia pre-Tangentopoli, connotato dalla totale commistione di politica e imprenditoria. L’assenza di trasparenza, il ruolo oscuro dei manager rampanti che ricordano la “Milano da bere”, un mondo a metà tra il sistema pseudo-clientelare della Democrazia Cristiana e di chi, dopo, si è spartito i resti del suo operato.
Non solo Parnasi, ci mancherebbe: è stata l’inchiesta che coinvolgeva un altro costruttore, Sergio Scarpellini, a scatenare le prime ombre sulla Roma pentastellata e onesta di Virginia Raggi, e ad evolvere poi negli arresti di mercoledì scorso. Per non dimenticarsi di tutti gli altri palazzinari che, in modo più o meno lecito, costituiscono una curia romana quasi parallela a quella vaticana, dalle enormi influenze e dai profondi legami con la politica. Da Marchini a Mezzaroma, da Salini a Cinque e non solo. Tanto che, nel chiacchericcio dei capitolini, c’è talvolta chi definisce Francesco Gaetano Caltagirone come il vero sindaco della città.
Roma non è mai cambiata, sotto questo aspetto. Per questo il vaso di Pandora scoperchiato dai pm Paolo Ielo e Barbara Zuin colpisce ma non stupisce. Il costruttore Luca Parnasi, arrestato mercoledì in mattinata, è stato accusato di essersi dotato di un sistema corruttivo allo scopo di spianarsi la strada verso la realizzazione del nuovo stadio della Roma. Ogni schiocco di frusta dei pm va a colpire uno dei partiti con cui egli ha tenuto a porsi in buoni rapporti, e non si salva nessuno: Partito Democratico, Forza Italia, Movimento 5 Stelle, Lega, ma anche Fratelli d’Italia ed Energie per l’Italia. È quel modo di fare politica che Roma non ha mai abbandonato, specialmente quando si pronuncia il termine “edile”, e che ora miete solo l’ultima di molte vittime in ordine di tempo.
La “Roma da bere” di Luca Parnasi
Né i modi, né i fini costituiscono le basi di un piano criminale originale o ingegnoso: si tratta di un meccanismo di favori e ricompense antico come il mondo, mai passato di moda e – come descritto dagli stessi pm – «insensibile ai mutamenti politici e istituzionali». Tanto che, per non rischiare di sbagliare, Parnasi ha cercato di favorire tutti i partiti attivi nella politica romana, senza dimenticarsi di nessuno.
L’imputato d’onore, per i media, è rinvenibile nella figura di Luca Lanzalone: avvocato e uomo di fiducia di Casaleggio, era stato da questi inviato a Livorno per aiutare a risolvere i problemi riscontrati dall’amministrazione grillina locale. Lanzalone ha evitato con successo la chiusura dell’inceneritore nel capoluogo toscano, per poi essere trasferito a Roma all’indomani del terremoto Marra, che per la prima volta metteva il M5S di fronte a un pubblico paragone tra l’autoproclamata onestà e i rapporti con la losca realpolitik preesistente. Ironico che proprio questo Mr. Wolf dei pentastellati – come viene definito dallo stesso Parnasi – costituisca oggi il secondo, simile tassello nell’esperienza politica romana del Movimento.
Lanzalone è stato infatti accusato di aver ricevuto favori di vario genere a opera di Parnasi: si parla di consulenze fittizie per un totale di 100.000 euro, oltre a un “aiutino” personale. Lanzalone si era ritrovato protagonista di un articolo pubblicato da Dagospia, che gli attribuiva una relazione con la collaboratrice Giada Giraldi. Dopo che Parnasi ha fatto muovere il faccendiere Luigi Bisignani, l’articolo è stato opportunamente modificato.
Tutto questo impegno sarebbe potuto essere decisamente proficuo, per il costruttore romano: fino a mercoledì scorso, Lanzalone era una personalità in continua ascesa e – si dice – con l’ambizione di arrivare ai vertici di Eni. Oltre al ruolo fondamentale di mediatore nella giunta di Virginia Raggi, utile a Parnasi per essere favorito nelle procedure amministrative per lo stadio della Roma, l’avvocato genovese era già arrivato a capo di Acea, l’azienda di fornitura idrica ed elettrica di Roma. Acea è oggi il vero “fortino” dei Cinque Stelle nella Capitale, dove essi hanno ritenuto di accumulare potere secondo le regole del gioco romano. L’azienda è stata di recente protagonista di numerose epurazioni, e oggi le porte dei suoi uffici elencano soprattutto nomi di fedelissimi del Movimento. Lanzalone, dimessosi giovedì proprio dalla carica presso Acea, è inoltre molto vicino all’onorevole Stefano Buffagni, tra i gestori della piattaforma Rousseau.
Ma questi è ben lungi dall’essere l’unico componente del sistema Parnasi. Un altro nome già noto è quello di Adriano Palozzi, uomo di riferimento di Forza Italia nella politica romana e laziale. Già nominato amministratore di Cotral (l’azienda dei trasporti del Lazio) da Renata Polverini ed ex sindaco della sua natia Marino, era stato indagato nel 2016 per peculato relativo a favori personali. Palozzi, come emerso dalle intercettazioni, avrebbe ricevuto da Parnasi una somma di 25.000 euro girata tramite una società fittizia. Lo scopo, visto l’attuale ruolo di Palozzi, sarebbe stato evidente: egli è infatti vicepresidente della giunta regionale e “numero due” della Commissione Lavori Pubblici.
Non che i diretti concorrenti possano vantare animo candido: tra gli arrestati figura anche Pier Michele Civita (Partito Democratico), persona fidata del centrosinistra laziale dai tempi di Rutelli a quelli di Zingaretti, passando per Gasbarra. Civita, utile a eventuali schemi di Parnasi dato il suo ruolo di vicepresidente della Commissione Urbanistica, avrebbe chiesto all’imprenditore di trovare un posto di lavoro al figlio neolaureato, poi effettivamente raccomandato al titolare della società 8BE Consulting.
Tra le carte dei pubblici ministeri figura inoltre Mauro Vaglio, presidente dell’Ordine degli Avvocati, candidato e non eletto con il Movimento Cinque Stelle, che avrebbe favorito l’approvazione di atti amministrativi riguardanti lo stadio e aventi per oggetto prestazioni fittizie.
Il segreto è pensare in grande
Il sistema non avrebbe avuto come unico obiettivo i lavori per lo stadio della Roma, la cui associazione sportiva risulta peraltro estranea alla vicenda giudiziaria. Parnasi aveva in mente anche un piano edilizio per il litorale, per il quale ha provveduto a mantenere buoni rapporti con il mondo politico di Ostia. Anche qui compare un pentastellato, Paolo Ferrara, capogruppo locale del Movimento e presente alle trattative per lo stadio di Tor di Valle. Parnasi gli avrebbe chiesto – con successo – aiuto per il progetto di Ostia, che per il grillino avrebbe costituito ottima pubblicità in chiave elettorale.
È anche un’altra vecchia conoscenza di Roma e Ostia, Davide Bordoni, a restare coinvolto nella caduta dell’imprenditore: già assessore con Alemanno, è oggi capogruppo di Forza Italia e vicepresidente della Commissione Ambiente. Parnasi, conoscendo la sua familiarità con il litorale romano, gli avrebbe addirittura chiesto informazioni sul clan degli Spada, allo scopo di stabilire un rapporto di fiducia con questi e ipotizzando, in cambio, di sollevare la recente pressione mediatica dalla famiglia legata alla criminalità locale.
L’assessore di Ostia Giampaolo Gola, diversamente, avrebbe tentato di farsi raccomandare da Parnasi per l’AS Roma, sfruttando i suoi diretti contatti con il dirigente Mauro Baldissoni.
Tor di Valle, Ostia, e poi? Dall’inchiesta emerge anche il presunto tentativo, da parte di Parnasi, di espandere i propri affari e legarsi a realtà aliene al complesso clientelare della politica romana e dei suoi dintorni. Il Parnasi intercettato disquisisce infatti del «creare un sistema di imprenditori, appaltatori […] che hanno organizzato cene per conoscere […] le ho fatte con Stefano Parisi, le ho fatte con Meloni […]».
E, se confermato, sarebbe un maxi-sforzo quello fatto per ingraziarsi nientemeno che la Lega, realtà assente a Roma ma vero cavallo vincente su cui puntare in chiave nazionale. Uno sforzo, nei numeri, del valore di 250.000 euro versati alla Onlus Più Voci, vicina al partito di Matteo Salvini – che al momento difende a spada tratta Parnasi – e di proprietà del tesoriere leghista Giulio Centemero.
Non sarebbe nemmeno l’unica attività intrapresa per sbarcare a Milano, espandendo il proprio business al nord similmente a quanto fatto dalla ‘ndrangheta: il progetto, volto alla costruzione dello stadio del Milan dopo quello della Roma, non sembra però attecchire data l’assenza di simili meccanismi in Lombardia (sebbene se ne potrebbe discutere). Sarebbe infatti fallito l’avvicinamento a Pierfrancesco Maran, assessore milanese cui Parnasi offrì in dono una casa, sentendosi però rispondere: «[…] qui non funziona così, non voglio prendere per il culo chi mi ha votato».
Tanto che Mangosi, oggi agli arresti assieme ad altri quattro faccendieri di Parnasi, avrebbe commentato la faccenda al telefono con il proprio datore di lavoro: «Siamo andati lì dall’assessore a fare una figura… Sembravamo i romani… quelli, sai, dei centomila film che hai visto? I romani a Milano. Qua funziona perché ancora, comunque, è la Roma rometta. Lì si mettono a ridere, lì è proprio un altro mondo».
Un altro mondo. Un universo parallelo che ragiona diversamente, che ha abbandonato il sistema “anni Ottanta” e che, seppur per nulla privo di problemi, è decisamente meno caratterizzato dalla stagnazione, dalla corruzione e dal clientelarismo che oggi concorrono ancora a tracciare la perfetta descrizione dell’imprenditoria e della politica romana.