Volendo provare a riassumere il discorso legato all’assegnazione dei diritti tv, dire che è una situazione complicata non renderebbe del tutto l’idea. Perciò è opportuno spiegare per bene come si è arrivati alla situazione odierna, che vede sempre più il servizio pubblico ricevere le briciole dei broadcaster privati. Partiamo quindi dal principio: ogni tre anni, la Lega di Serie A mette in vendita i cosiddetti “pacchetti” che sono il vero e proprio diritto di avere la possibilità di trasmettere la partita di quella squadra di Serie A. Fin qui tutto chiaro, no? Ecco, tutto quello che è stato spiegato finora, mettetelo da parte. Per il triennio che va dal 2018 al 2020 infatti è stata approvata una formula diversa. Una soluzione definita innovativa, che modifica le regole di acquisizione dei diritti di trasmettere il nostro campionato in TV. Questa nuova formula è stata introdotta dall’assemblea dei presidenti della Lega Serie A, e c’è una differenza importante che sta proprio nel prodotto che viene venduto ai broadcaster.
Principalmente la novità sta nel nuovo pacchetto acquistabile: per la prima volta i diritti tv della Serie A non saranno più assegnati in base alla squadra, ma a fasce orarie. Questa decisione porterà diversi vantaggi per alcuni, e svantaggi per altri. Uno degli elementi a favore di questa scelta sono sicuramente dei vantaggi in termini strettamente economici: la nuova formula – approvata sia dalla Serie A che dai presidenti delle singole squadre partecipanti al campionato – porterà circa 1,1 miliardi di euro, con un guadagno di circa 300 milioni in più rispetto al tipo di assegnazione precedente. La particolarità di questo nuovo metodo di acquisizione fa in modo che nessun broadcaster possa avere il monopolio completo sulla trasmissione della Serie A. Come già spiegato in precedenza il nuovo tipo di pacchetti infatti garantisce l’esclusiva sulle trasmissioni di tutte le partite in quella determinata fascia oraria, divise in tre offerte possibili. In questo strutturamento dei pacchetti dei diritti tv (qui una spiegazione più dettagliata), il primo pacchetto prevede partite come l’anticipo delle 18.00 di sabato e il posticipo delle 20:30 di domenica, quelle che dovrebbero garantire – sulla carta – più ascolti di tutti. Un secondo slot di partite è invece quello di un ipotetico anticipo alle 15.00 di sabato, altre partite della domenica sia alle 15.00 che alle 18.00 e anche un ipotetico monday night di Serie A alle 20:30. Il terzo e ultimo tipo di offerta invece vede gli orari un po’ più “classici”: due anticipi e una partita delle 15.00 alla domenica. Per ognuno di questi pacchetti c’è una cifra minima da considerare come accettabile per garantirsi questo tipo di esclusiva, ad esempio i primi due pacchetti da soli devono essere acquistati a un prezzo che dovrà superare i 400 milioni di euro. Questa somma è da considerare in maniera annuale, perciò se un broadcaster privato decidesse di acquistare il primo pacchetto, si impegnerebbe a versare una cifra che dovrà superare essa stessa la quota di 1,2 miliardi di euro. Se si va a contare tutti i pacchetti disponibili, la Lega di A andrebbe a ricevere una somma che dovrà superare almeno i 3,3 miliardi nel triennio che va dal 2018 al 2020.
Una serie di partite acquistabili in questo calcio sempre più “spezzatino” in termini strettamente economici sono sicuramente una buona notizia per lo sport più popolare in Italia: una gara di acquisizione così aperta garantisce una vera e propria concorrenza che può solamente far guadagnare al prodotto calcio. Se da una parte questo accordo fa contenti i broadcaster che possono partecipare all’acquisizione dei diritti della Serie A, mette in seria difficoltà quelli che sono una parte altrettanto importante di tutto il movimento: i tifosi. Stando così le cose, un vero appassionato della Serie A sarebbe costretto a pagare più di un abbonamento per vedere la sua squadra. Questo è uno dei grandi difetti della nuova riforma sui diritti tv. Questo scenario fortunatamente non è ancora una realtà, perché nella giornata di mercoledì, in cui sono state aperte le buste contenenti le offerte per aggiudicarsi i diritti tv, esiste una clausola chiamata wholesale, che garantirebbe una ritrasmissione del proprio segnale su altre emittenti. In termini pratici si presenterebbe la stessa situazione che vede i canali Eurosport nella rete Sky, trovando un accordo tra i compratori dei singoli pacchetti di fasce orarie. Nell’asta che si è tenuta mercoledì infatti Sky, Mediaset e Perform hanno presentato offerte per garantirsi i diritti di trasmettere la Serie A nel triennio dal 2018 al 2020. L’apertura delle buste ha confermato che nessuna delle interessate è riuscita a offrire il prezzo minimo, e pertanto si è dovuto andare ai rilanci. Dopo aver riformulato le offerte, a ottenere l’esclusiva di trasmettere la Serie A per le prossime tre stagioni sono state Sky e Perform, che stanno già trattando per scongiurare l’ipotesi “doppio abbonamento“. Evitata anche la possibilità che le trasmissioni di approfondimento post partita, ad esempio la celebre 90° minuto, rischiassero di essere cancellate dal palinsesto.
La disparità sempre più ampia tra servizio pubblico e reti private
Un altro grande contro in tutto ciò è che programmi sportivi che trasmettono immagini del campionato in differita avrebbero avuto sempre meno spazio: il servizio pubblico a livello sportivo sta avendo serie difficoltà a competere con quello che è ormai il potere assoluto delle reti private. La radiotelevisione nazionale infatti è già al centro delle critiche da diverso tempo per aver “lasciato andare” i diritti di broadcasting a favore di Mediaset. La rete di Berlusconi infatti ha saputo fiutare l’affare e già prima dell’inizio della rassegna mondiale avrebbe recuperato la cifra investita per garantirsi l’esclusiva. La critica maggiore che venne fatta allora ai dirigenti della RAI fu proprio che la Coppa del Mondo di calcio rimane comunque un evento sportivo di grandissimo spessore, con o senza l’Italia partecipante. Anche perché, vorreste dire che non guarderete nemmeno una partita del mondiale? Non scherziamo, dai.
Una chiara manifestazione di questa disparità tra tv private e pubbliche viene rappresentata perfettamente nelle recenti vicende che hanno deciso il futuro di 90° minuto. La storica trasmissione della RAI, proprio per queste nuove regole iscritte nel bando dei diritti tv, è stata a rischio di una clamorosa cancellazione. Decisione a cui la radiotelevisione si è opposta fortemente, cercando di trovare una soluzione infine arrivata. Fortunatamente infatti si è trovato un punto d’incontro tra Lega di Serie A e RAI, che garantisce la permanenza del consueto appuntamento della domenica pomeriggio. Sebbene la situazione non sia ancora del tutto chiara, viene comunque da pensare: tutti questi cambiamenti, cosa comporteranno al tifoso? Da quello che si può capire, gli appassionati di calcio si adattano e farebbero i salti mortali pur di vedere la propria squadra, anche a costo di cercare uno streaming illegale in lingue incomprensibili. Spinti probabilmente dal fatto che per molti tifosi un abbonamento a una pay-tv può essere una spesa insostenibile da sopportare, figuriamoci se il numero aumentasse da uno a due. Facendo gli scongiuri, sembra essere quasi impossibile quel tipo di ipotesi, ma allo stesso tempo ritorna sempre più di moda andare a vedere la partita al bar, come si faceva una volta. Del resto, in questo mondo sempre più social basta avere una connessione internet e aspettare le sintesi sul web. Oppure, usufruendo del servizio pubblico, guardare la tanto cara trasmissione 90° minuto, la cui sigla è diventata ormai un cult.