Le puntate precedenti:
1. Mama Africa – le origini africane del blues
2. Sinful tunes: il blues afroamericano tra ribellione e rassegnazione
3. La guerra di secessione, il blues dall’emancipazione alla segregazione
4. Da che era Folk: come il blues divenne pop(ular) 5. Chicago: il blues Urbi et Orbi
Nelle puntate precedenti di questa rubrica almeno all’apparenza è stato seguito un criterio, nella scelta di quali stili del blues analizzare, di tipo esclusivamente cronologico. Questo per una sorta di coincidenza storica, cioè una certa corrispondenza tra la nascita di nuovi stili del blues in un determinato periodo storico e la loro grande valenza culturale. Basta citare stili come i blues suonati e scritti prima della guerra di secessione oppure il Chicago blues degli anni Trenta e Quaranta: questi stili hanno anche loro subito una contaminazione, tuttavia hanno sempre conservato una componente blues abbastanza forte da essere bollati come appartenenti alla “cultura blues” e non come mere espressioni musicali.
La particolarità di questi stili è che non sono nati come conseguenza di grandi cambiamenti sociali e poi si sono limitati a essere delle mere espressioni musicali con un retaggio culturale esiguo o molto sbiadito, ma al contrario si è sempre trattato di stili direttamente e massicciamente coinvolti nei cambiamenti sociali del tempo per mezzo dei maggiori interpreti di questi generi. Un esempio quanto mai ovvio è quello dell’importanza del Chicago blues e degli stili immediatamente precedenti per le classi sociali colpite dalla crisi del ’29. Va inoltre specificato che l’identità culturale di questi stili blues era percepita da tutti o quasi (sia interpreti che consumatori) come puramente blues, quindi il blues non era percepito solo come un’influenza culturale derivata da una contaminazione o un semplice filone di un campo culturale più vasto.
Al contrario degli stili appena citati, a partire dagli anni Quaranta e Cinquanta gli stili blues furono figli soprattutto di una contaminazione sul lato puramente estetico, quindi una contaminazione che influenzava il tipo di strumentazione usata, il suono di riferimento per i vari strumentisti o i temi e lo stile di scrittura dei testi (qualora fosse presente la parte cantata). Ovviamente questi stili, pur subendo una contaminazione estetica, non perdevano valenza culturale in senso assoluto, ma semplicemente subivano una contaminazione anche sul piano culturale, con il seguente risultato: il blues non era più la loro componente culturale identificativa.
Di conseguenza questo articolo non seguirà un criterio di analisi cronologico come poteva apparire nelle puntate precedenti: sarà piuttosto un’analisi del ruolo della contaminazione nelle due macro-fasi di storia del blues (riferendoci solo al secolo scorso). Le due fasi comprendono l’una il blues come sviluppatosi fino al Chicago blues, e quindi con un’analisi di una contaminazione culturale in cui il blues resta identitario, mentre la seconda comprende gli stili blues che hanno subito una contaminazione culturale riservando al blues vero e proprio uno spazio ristretto. Per quest’ultima fase, si tratta in particolare degli stili nati tra gli anni Cinquanta e primi anni Settanta.
Il blues nasce proprio con una contaminazione: oltre quattro secoli fa una nave con a bordo un gruppo di schiavi africani e i loro venditori sbarca nel territorio dei futuri Stati Uniti d’America. È l’inizio della storia del blues, anche se per molto tempo non si chiamerà così: questa prima contaminazione culturale avviene, come illustrato nella prima puntata di questa rubrica, sul piano linguistico con l’influenza dell’inglese e sul piano artistico con l’uso di strumenti dalle forme vagamente africane, ma costruiti con materie prime americane.
In quel periodo anche la struttura tipica dei blues subisce una contaminazione: andando man mano a fondersi con la struttura delle canzoni popolari americane viene implementato l’uso delle strofe e del turnaround, col risultato di un blues più schematico e meno libero dei suoi precedenti africani. Questa prima contaminazione non produce però un’apertura degli afroamericani verso la società americana per motivi ovvi, che si possono semplificare con una sorta di “resistenza” degli stessi schiavi a una contaminazione di cui non sentivano il bisogno, una contaminazione verso cui però vireranno nei decenni successivi alla fine dell’Ottocento.
È stato anche detto che quelle forme musicali che subirono questa prima contaminazione non erano chiamate blues dai loro interpreti. Il termine nasce infatti durante la seconda (e forse più importante) contaminazione della storia del blues: alla nascita dello show business contribuì moltissimo quella folla di afroamericani che emigrò in giro per gli Stati Uniti dopo la guerra di secessione. La contaminazione tra le precedenti forme di blues e le logiche dello show business creò le premesse per uno stile di musica vendibile in senso commerciale e orecchiabile sul piano estetico.
Questa contaminazione ebbe come effetto primario quello di rendere il blues aperto al grande pubblico, commisurandolo ovviamente con le proporzioni demografiche del tempo, un grande pubblico che – come accadeva anche in Europa – voleva “consumare” la musica come un vero e proprio prodotto, che doveva essere quanto mai appetibile e conforme alle logiche di mercato.
In quegli anni vengono a costituirsi le fondamenta del music business e in particolare dell’industria della musica dal vivo e di quella discografica. La contaminazione con le regole del neonato mercato musicale ovviamente colpisce tutte le forme musicali, tuttavia quella subita dal blues risulta essere, ad uno sguardo più concentrato sui dettagli non prettamente “musicali”, la più incisiva. Si trattò infatti di una contaminazione che cambiò anche il modo in cui la musica era eseguita dal vivo, che influenzò largamente le gestualità e i modi di fare e che, aspetto in assoluto più importante, fece uscire il blues dalla sua fase di cultura folk, regalandolo al grande pubblico.
Nel corso di questa rubrica è stato dedicato ampio spazio alla vera identità del blues, alla questione della sua autenticità nel contesto industriale e urbano, arrivando alla conclusione che tanto erano integrati e culturalmente importanti gli afroamericani e tanto lo era la loro musica. Il blues che è stato descritto nel paragrafo precedente dimostra come l’aspetto culturale in senso stretto inizi a perdere importanza a favore della musica inserita in una sorta di cultura dello svago. La contaminazione di quel tipo di blues però non era stata completa, infatti si trattava pur sempre di uno show business itinerante che ancora rifletteva una cultura di afroamericani senza fissa dimora e che vivevano di espedienti senza una sistemazione stabile. Dalla fine degli anni Trenta il fenomeno si inverte e il blues subisce una contaminazione che lo renderà “urbano”. Gli afroamericani inizieranno ad integrarsi, con molta difficoltà, nelle grandi città e Chicago darà il nome al blues del periodo.
In questa nuova fase di contaminazione il blues cambia i temi e allarga il suo pubblico, anch’esso frutto di una contaminazione, alle classi derelitte dei neonati poli industriali degli USA. La contaminazione del blues urbano regala al genere un apice di influenza culturale senza precedenti: il giusto equilibrio tra la cultura intima degli afroamericani e le regole del music business lo rende “vero” e appetibile allo stesso tempo.
Una fase del genere non poteva durare e infatti la bilancia inizia già dopo dieci anni a spostarsi verso il music business e le esigenze di mercato. La nascita di vere e proprie star del blues pregiudica l’espressione di una cultura dei derelitti che sia credibile, e infatti il genere subisce una contaminazione che, se anche non lo fa cadere in basso sul mercato, di certo contribuisce a creare distacco culturale con il vecchio pubblico di riferimento.
Negli anni Cinquanta e Sessanta si susseguono una contaminazione dietro l’altra, ma in questo caso più che di “contaminazione culturale” si deve parlare di “contaminazione estetica”. Il modello culturale resta infatti quello della cultura di mercato mentre dal blues si “staccano” generi come il funk, il rhythm and blues e il blues rock, che prima erano considerati niente di meno che sottocategorie blues ed erano usati alla stregua di modelli fissi per comporre i brani.
Tuttavia se ciò che è stato appena detto rappresenta bene il quadro generale, è necessario andare nel dettaglio per capire meglio e a fondo questa contaminazione, che risulta forse la più importante degli ultimi duecento anni di blues, tanto è vero che questa contaminazione lo condurrà a una sorta di “liberalizzazione”.
Durante gli anni Sessanta il fenomeno appena descritto ha avuto il suo picco. Pensiamo ad esempio ai Cream di Eric Clapton: riconosciuto in modo indiscusso come uno dei padrini del blues moderno, la sua formazione, seppure avvenuta su dischi di artisti blues, non è paragonabile dal punto di vista culturale a quella di artisti percepiti come puramente blues. In sostanza: la musica di Clapton è blues e non ci sono dubbi su questo, ma la sua cultura e modo di pensare sono stati influenzati da ben altri campi culturali. In questo il blues degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta è stato diverso dal Chicago Blues e dalle espressioni blues precedenti.
La contaminazione del blues con altre aree culturali che poi, a causa di una successiva contaminazione, sono diventate preponderanti, pone lo stesso problema affrontato in passato: il problema dell’autenticità, cioè qual è il valore di un blues che non è solo blues. Ha lo stesso valore del blues “puro”? Può essere considerato blues?
La risposta risiede nella storia stessa del genere. Si è visto come la storia stessa del blues sia nata con una contaminazione di certe musiche africane e certe circostanze sociali. Poi quella stessa contaminazione ha ceduto il passo ad un’altra e così via fino alla contaminazione più recente. Insomma: il valore culturale del blues è da calcolare proprio in base a questa sua duttilità, che riesce a inglobare o convivere con altre culture attraverso la contaminazione. Non è un caso infatti che pur attraverso espressioni, attraverso una contaminazione dopo l’altra, il blues sia uno dei generi musicali più longevi, con un retaggio che a dispetto di tutto è straordinariamente uniforme.
La riflessione fatta in questo articolo non vuole essere esaustiva. L’argomento della contaminazione in musica è vastissimo anche riducendolo al solo blues, tuttavia sulla nascita e sviluppo dei generi musicali e su come identificarli c’è un testo, disponibile anche online gratuitamente che si chiama A Theory of Musical Genres: Two Applications. L’autore, Franco Fabbri, è uno stimato musicologo italiano.
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