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Anche Mandela lesse l’Antigone

Published by
Caterina Domeneghini

“Teatrino della politica” è un’espressione popolare che il nostro Paese conosce fin troppo bene, se non altro perché è spesso attento a tramutare dibattiti e consultazioni in asfissianti telenovele, a schierare come suoi rappresentanti burattini e marionette (apparentemente senza fili) che sottomettono l’esecutivo a quisquilie e interessi personali. Oggi però, theWise celebra un leader politico “extraeuropeo” che l’attore – udite udite – l’ha fatto per davvero, per svago ma soprattutto per arricchimento professionale: a cento anni dalla sua nascita, il 18 luglio 1918, vogliamo raccontare di Nelson Mandela e della sua lettura (e messa in scena) della tragedia greca Antigone.

Mandela sul palco: l’Antigone come simbolo di libertà e di “sano compromesso”

Diciamoci la verità: di tutto ci saremmo aspettati dalla personalità dinamica e scoppiettante di Mandela, fuorché una sua partecipazione nel mondo del teatro. Carattere genuino e senza mezze misure sin dalla gioventù – tanto da portarlo alla fuga per scampare al matrimonio combinato per lui dalla sua tribù – rivoluzionario, lottatore, attivista per i diritti civili, premio Nobel per la pace: un bagaglio di esperienze e conseguimenti concreti che sembra escludere sonoramente finzione e simulazione teatrale. E in effetti, Mandela e il teatro non si erano quasi mai incontrati durante la gioventù: Nelson aveva ben poca esperienza del palcoscenico, limitata a un solo spettacolo per il college in cui – paradossalmente – recitava il ruolo di John Wilkes Booth, l’assassino del presidente americano Lincoln. Un primo indizio, sicuramente non fortuito, dell’apertura mentale di un leader straordinario, della sua camaleontica capacità di abbracciare il “diverso” e immedesimarsi nel punto di vista del nemico.

Fu soltanto la sua lunga prigionia a Robben Island, durata ben diciotto anni (a cui vanno aggiunti i sei trascorsi nel carcere di massima sicurezza di Pollsmoor) che lo mise in contatto con i più grandi capolavori tragici del mondo antico. Mandela, leader colto, aveva tratto vantaggio dal suo ozio forzato leggendo liriche, poesie, libri in inglese (lingua che imparò a leggere e scrivere perfettamente da autodidatta) e, soprattutto, opere teatrali. Una su tutte lo aveva colpito: la tragedia greca che aveva per protagonista una giovane lottatrice per la libertà, Antigone, da annoverare tra le meglio riuscite del drammaturgo Sofocle.

Mandela sull’isola-prigione di Robben Island (Città del Capo). Qui Nelson trascorse 18 dei suoi 27 lunghi anni di prigionia. Foto: https://mycapetown.it/robben-island-cape-town/

La storia dell’eroina greca era, a ben vedere, molto simile a quella di Nelson, anch’egli lottatore a modo suo contro la politica di segregazione razziale in Sudafrica, l’apartheid. Antigone, figlia del celebre e sventurato Edipo, decide di seppellire il fratello Polinice, caduto in una sanguinosa battaglia per il trono di Tebe contro il nemico e fratello Eteocle, ugualmente deceduto nel confronto. La decisione va contro gli ordini del nuovo re della città e zio di Antigone Creonte, che aveva giudicato Eteocle il legittimo erede al trono e vede perciò in Polinice un impostore da non onorare con la sepoltura a differenza del fratello, conformemente alle leggi della città. Ma Antigone sente una norma ben più premente dentro di sé, che le viene dettata direttamente dagli dèi e che quindi considera superiore a quella imposta dallo Stato. Per quest’obbligo morale universale nei confronti di un suo congiunto, l’eroina sarà disposta a lottare fino alla morte in un conflitto di opinioni e di idee che la contrapporrà sempre allo zio Creonte, garante della legislazione cittadina. Civile contro morale, Stato contro famiglia, locale contro universale: anche la lotta di Mandela si colloca ad un polo di queste opposizioni, quello che fa prevalere l’uguaglianza di tutti i cittadini sulle politiche vigenti nelle corrispondenti realtà circoscritte.

Antigone si reca furtivamente a seppellire il fratello Polinice.
Foto: http://manualeinapplicabile.it/periagoge-2/conversazioni-sul-femminile-1-antigone-il-femminile-che-ama/

Il folgore di Nelson per la tragedia di Sofocle trovò ragion d’essere nella sua messa in scena da parte di quella che lui chiamava “la nostra società teatrale amatoriale”. Il teatro era ormai divenuto prassi tra i prigionieri di Robben Island per dare un po’ di caloroso intrattenimento alle fredde notti di Natale in cella. Per Mandela, gli eroi delle tragedie greche erano esemplari in quanto uomini capaci di non farsi abbattere nemmeno dalle circostanze più intollerabili. È facile quindi percepire il fascino che la straordinaria Antigone esercitava su di lui: come scriverà nella sua opera autobiografica Long Walk to Freedom (Lungo cammino verso la libertà), pubblicata nel 1994, «fu Antigone a simboleggiare la nostra lotta. In un modo tutto suo, era una lottatrice per la libertà, poiché sfidò la legge sulla base del fatto che era ingiusta» (traduzione dell’autrice).

Ben più straordinario della rappresentazione di un’opera così “eversiva” per i tempi fu però il ruolo tragico inaspettatamente scelto per Mandela, quello di Creonte. Ad essere davvero iconica per il leader sudafricano non fu tanto la posizione di Antigone, di cui condivideva appieno sentimenti e ideologie, quanto piuttosto una riflessione sul ruolo del più grande oppositore dell’eroina, Creonte per l’appunto. L’appropriazione di un personaggio così diverso da lui è una scelta che va ben al di là di una ragionevole incompatibilità di sesso tra Mandela ed il suo alter ego femminile Antigone (Nelson avrebbe potuto tranquillamente recitarne la parte stando alle norme del teatro greco, che assegnava ad attori rigorosamente maschi anche i ruoli femminili). Piuttosto, la sua è quasi una presa di posizione politica. Leggiamo un altro passo tratto da Long Walk to Freedom:

«All’inizio, Creonte è sincero e patriottico, c’è saggezza nei suoi discorsi iniziali quando suggerisce che l’esperienza è il fondamento della leadership e che gli obblighi verso la comunità hanno la precedenza su quelli verso un singolo individuo».

Se è vero che, come Mandela stesso riconosce, «Creonte tratta i suoi nemici impietosamente» – e non è dunque il prototipo di leader ideale, poiché «un leader deve saper moderare la giustizia con la misericordia» – la gestione del potere nei panni di Creonte gli ha comunque offerto diversi spunti interessanti: «Di certo», dice Creonte in un passo dell’Antigone, «uno non può conoscere a fondo un uomo, il suo carattere, i suoi principi, la sua capacità di giudizio, finché non avrà dato prova di sé, governando il popolo, applicando la legge. L’esperienza, questa è la prova». La “prova”, nel caso di Mandela, è stata ragionare (sul palco, d’accordo, ma non solo) con la testa di un uomo che rappresentava l’establishment, lo status quo, le istituzioni vigenti che, oltre all’individuo, andavano contro il suo rispetto e i suoi diritti. Eppure, a detta di Mandela, è stata una prova di successo. “Giocare al Creonte” è stata un’esperienza catalizzante per una meditazione sui requisiti della leadership e la risoluzione del (suo) conflitto. E nessuno può negarne gli effetti.

C’è chi ha visto, nell’Antigone di Mark Rothko, un’allusione a Mandela: Nelson sembrerebbe essere la figura violacea appena percettibile tra Creonte e Antigone (le due figure rossastre al centro). Mandela, a teatro come nella vita politica, seppe rappresentare entrambi. Foto: http://minusplato.com/2013/12/finding-nelson-mandelas-creon-in-mark-rothkos-antigone-2.html

Primo fra tutti: la rivisitazione dell’Antigone stessa in The Island, una rappresentazione teatrale ad opera di Athol Fugard con la collaborazione degli attori sudafricani John Kani e Winston Ntshona. Il set di questa nuova rappresentazione è un’isola con i tratti di Robben Island dove, in una straordinaria play within the play, gli attori si esercitano per inscenare l’Antigone di fronte agli altri prigionieri, John nella parte di Creonte, Winston nella parte dell’eroina. In The Island, vestirsi con indumenti femminili turba non poco Winston, che viene così consolato dal compagno: «Arriverà il giorno in cui la smetteranno di deriderci, e quello sarà il giorno in cui la nostra Antigone li colpirà con le sue parole». La rappresentazione, fortemente influenzata dall’Antigone in cui Mandela e altri prigionieri avevano preso parte, fu straordinaria per il ritratto drammatico che fece della dignità dei dimostranti anti-apartheid a discapito del loro trattamento umiliante, influenzando la libera opinione in Sudafrica e all’estero (un risultato concreto è visibile nell’istituzione della Commissione per la verità e la riconciliazione).

Gli attori e attivisti John Kani e Winston Ntshona in The Island, l’opera teatrale ispirata all’Antigone di Robben Island. Foto: http://exeuntmagazine.com/reviews/the-island/

Tuttavia, risonanza ancor più decisiva fu quella che l’Antigone ebbe sulla personalità politica di Mandela stesso. Un uomo che ha saputo essere vicino sia alle istanze di Antigone che a quelle di Creonte è un leader in grado ascoltare anche la voce del suo nemico (esterno o interno), facendone tesoro. Mandela è consapevole che spesso, in politica, occorre un “creontiano” pugno di ferro: così, sebbene per anni avesse prediletto la protesta pacifica (egli fu un forte rappresentante della filosofia Ubuntu), per altrettanto tempo sosterrà la lotta armata come strumento di libertà – e non come negoziazione, perché “chi non è libero non negozia”. Mandela non raggiunse i suoi obiettivi solo con la calma, il dibattito, la riconciliazione: in questo, è stato un po’ Creonte. Eppure, in un Paese deve l’oppressione razziale era diventata insostenibile, forse la violenza – se non giustificabile – appariva in quel caso circoscritto l’unica alternativa possibile e necessaria, in una lotta per cui egli si dichiarava disposto a morire: per ogni sfumatura di Creonte, Mandela ne ebbe sempre una da Antigone che la bilanciava, portandolo a denti stretti alla conquista del Premio Nobel per la pace.

L’esempio di Madiba oggi: un eroe umile

A ben vedere, l’uomo pragmatico che in gioventù non sembrava ammettere mezze misure, fu in realtà (anche) un leader del compromesso. Il che non si traduce nell’imbecille e ruffiano cambiamento di rotta ideologica che siamo abituati a vedere oggi, con strizzatine d’occhio che spesso tradiscono corruzione: da questo punto di vista, Mandela non scese a compromessi con le autorità bianche che cercavano di abbindolarlo con concessioni e favori, perché questo avrebbe comportato diverse rinunce politiche cui non era disposto. Il compromesso di Mandela ha qualcosa di nobile e pragmatico al tempo stesso: far cedere ai bianchi il loro potere politico, in cambio del mantenimento di quello economico; far ripartire l’economia sudafricana, per evitare pericolose battaglie ideologiche.

Mandela fu un eroe senza sognare di diventarlo, come Antigone, che aveva sofferto per le sue idee ed era pronta a soffrire ancora. Essere portavoce della libertà e uguaglianza di ogni individuo era l’entità della sua responsabilità, non la misura della sua importanza. Ma Mandela, in qualità di Creonte, seppe anche interpretare il malcontento e le ragioni dei suoi oppositori, la comunità bianca, cercando il dialogo, lo scontro, il compromesso – sempre a suo vantaggio. Un leader a tutto tondo, perché sapeva rivolgersi a tutti, capace di prendere spunto da voci diverse dalla sua, di cambiare idea con saggezza: un segno di forza da cui i politici fossilizzati unicamente sulla propria dovrebbero prendere esempio.

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Caterina Domeneghini

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