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L’assegno divorzile alla luce della recente giurisprudenza

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Michele Corato

E vissero per sempre felici e contenti: una frase sempre più rara al giorno d’oggi e quasi assimilabile a mondo dell’immaginario da cui trae origine. Questo è ciò che può tranquillamente affermare chiunque, per motivi di lavoro o di studio, abbia dimestichezza con il diritto o, più semplicemente, chi ha accesso a un televisore o a un qualsiasi altro mezzo di informazione. Il fallimento del matrimonio è infatti sempre più diffuso, il divorzio non costituisce più un argomento tabù e il legislatore si è trovato a intervenire più volte in materia spinto proprio dalle esigenze dei cittadini. Per descrivere in modo diretto tale evoluzione, senza doversi spendere in analisi sociologiche e giuridiche, basti pensare che, all’epoca di introduzione del divorzio in Italia, nel 1970, proprio la parola “divorzio” non appare mai all’interno del testo legislativo. Attualmente, di converso, è possibile parlare tranquillamente di questo istituto equiparabile a qualsiasi altro evento ordinario nella vita umana. Tuttavia questo particolare ramo del diritto di famiglia non è ancora cristallino; nonostante quanto appena premesso, sono ancora molte le sfaccettature oggetto di critiche e analisi dottrinali e giurisprudenziali di cui, la più rilevante e conosciuta, quella economica imputabile all’assegno di divorzio. Proprio sull’assegno divorzile, infatti, si sono espresse recentissimamente le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la volontà di stabilire, dati i pregressi orientamenti contrapposti, una disciplina univoca per la sua determinazione.

La base normativa

Al fine di poter meglio comprendere l’esistenza e il funzionamento dell’assegno divorzile, tuttavia, non è possibile esimersi dal ripercorrere brevemente il funzionamento, in Italia, del divorzio. Innanzitutto il divorzio permette lo scioglimento del matrimonio civile o, nel caso di matrimonio religioso, la cessazione dei suoi effetti civili. Elemento essenziale per procedere con il divorzio è la separazione che, a seguito della riforma del c.d. “divorzio breve” già precedentemente accennata, deve perdurare da 6 mesi nel caso di separazione consensuale e 12 mesi nel caso di separazione giudiziale e ciò diversamente dai 3 anni precedentemente necessari. Le due differenti tipologie, in poche parole, fanno riferimento a una separazione raggiunta di comune accordo, da una parte, e a una separazione contenziosa e decisa dal Giudice, dall’altra. Per quanto attiene ai predetti tempi, questi decorrono dal momento della prima udienza dinnanzi al Presidente del Tribunale passaggio, questo, obbligato in entrambe le forme di separazione. Gli effetti del divorzio sono molteplici e possono essere stabiliti dalle parti o, in caso di contrasto, dal giudice e principalmente possiamo ricordare l’affidamento della casa coniugale, dei figli e la disposizione di un assegno in favore dell’ex coniuge e dei figli. Tutto quanto stabilito in sede di divorzio o, meglio, ciò che perdura oltre il divorzio e quindi l’assegnazione della casa, dei figli e la disposizione degli assegni, non sono eterni ma possono essere modificati o addirittura eliminati qualora vengano a mancare o a modificarsi le condizioni per i quali sono stati a suo tempo concessi in particolare la legge stabilisce che ciò possa avvenire per giustificati motivi sopravvenuti. Ricordiamo, in conclusione a questo excursus, le gravi conseguenze in caso di mancata corresponsione dell’assegno.

 

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La quantificazione dell’assegno ed il conseguente dibattito giurisprudenziale

Arriviamo, così, a uno dei punti fondamentali e, per alcuni versi, più discussi in tema di scioglimento del matrimonio: quello dell’assegno divorzile. Quest’ultimo non deve confondersi con l’assegno di mantenimento ossia quello disposto dal Giudice al momento della separazione. Tale distinzione poteva dirsi più marcata a seguito della recente ed importante sentenza, la numero 11504 del 2017, ma andiamo con ordine per comprendere il perché del verbo al passato.
La natura dell’assegno, fin dalla sua origine, è sempre stata quella assistenziale e ciò poteva tranquillamente desumersi, a detta della più datata dottrina, principalmente dall’indisponibilità dello stesso. Durante il primo ventennio della sua esistenza è stato possibile assistere alla nascita e alla diffusione dei fenomeni per cui il divorzio è purtroppo famoso, il mantenimento vita natural durante dell’ex coniuge il cui buon affare è stato unicamente il matrimonio con la persona “giusta”. La dottrina maggioritaria riteneva che la funzione dell’assegno era quella di porre rimedio ad una situazione di squilibrio tra le due parti e ciò indipendentemente da uno stato di bisogno i cui fattori di concessione erano principalmente due: la mancanza di un reddito ed il mantenimento dello stesso tenore di vita adottato durante il matrimonio. Nel 1987 il legislatore è intervenuto in materia ma, ancora una volta, la situazione rimane invariata. Viene infatti introdotto il criterio dei mezzi adeguati al proprio sostentamento ma, in linea con la precedente dottrina, viene generalmente ricondotto al tenore di vita precedentemente adottato dai coniugi.

Un’importante battuta d’arresto avviene, come precedentemente accennato, nel 2017 con la sentenza della Corte di Cassazione n. 11504. In tale sentenza, infatti, viene superata la natura assistenziale dell’assegno e vengono rivoluzionati i criteri di determinazione dello stesso. La Corte, nella citata sentenza, ha posto in rilievo il  mutamento del clima social-culturale sostenendo come il criterio del “tenore di vita” fosse ormai superato e non più in linea con la società moderna. In un ottica di indipendenza e autoresponsabilizzazione dei coniugi, dunque, non è pensabile che il matrimonio, una volta terminato, continui a produrre i suoi effetti in maniera così pregnante nella vita dei singoli. Diviene, così, essenziale il nuovo criterio dell’autosufficienza che di fatto scardina il tenore di vita chiamando, in pratica, il Giudice a un’analisi specifica dell’effettiva impossibilità del coniuge debole di procurarsi reddito. Tale orientamento viene poi ribadito e confermato nella parimenti famosa e importante sentenza che ha coinvolto Berlusconi e l’ex moglie Veronica Lario.

Le Sezioni Unite di Cassazione sono intervenute, in data 11 luglio 2018, per mettere o, almeno tentare di mettere, un punto a tale annosa questione. La pronuncia, innanzitutto, ribadisce la natura strettamente assistenziale dell’assegno di divorzio ma, a questa, affianca due ulteriori criteri ossia quello perequativo e compensativo. Tale presa di posizione deve, in primo luogo, attribuirsi al rispetto dei principi costituzionali di uguaglianza e solidarietà che non possono annullarsi al momento dello scioglimento del matrimonio una posizione, questa, opposta a quella adottata dalle recenti sentenze. La Corte, nel complesso ragionamento adottato, pone l’accento in particolare su quei matrimoni di lunga durata dove, come spesso accade, un coniuge fa delle scelte, traducibili il più delle volte in rinunce, per consentire all’altro un maggiore sviluppo in ambito economico e lavorativo. Così facendo l’assegno si tinge di una nuova funzionalità, quella di compensare il sacrificio del coniuge debole e dar rilievo alle scelte di vita compiute durante il matrimonio. In quest’ottica, infatti, si può affermare che non sia il matrimonio ad avere una funzione ultrattiva dopo il divorzio ma che le scelte compiute da entrambi i coniugi, di comune accordo, si ripercuotono sulla vita futura di ciascuno di essi.

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Tale pronuncia che, a primo impatto, può sembrare un passo indietro o, che dir si voglia, un ritorno alle origini, in realtà è condivisibile sotto diversi aspetti. Essa tiene conto di quei casi particolari, che in realtà sono la maggioranza, in cui la situazione di squilibrio economico è conseguenza diretta proprio delle scelte di vita compiute in accordo durante il connubio. In tale visione innovativa del rapporto patrimoniale tra i coniugi e, in particolare sulla funzione compensativa e perequativa dell’assegno, in futuro si potrebbe arrivare a riconoscere l’applicabilità dei contratti prematrimoniali volti a determinare, a origine, un eventuale compensazione per la cessazione del rapporto. Non è questa, tuttavia, la sede idonea per analizzare l’applicabilità concreta e la natura di tale istituto seppur affascinante. Ritornando sul tema oggetto di trattazione, infine, un punto di criticità di tale pronuncia è facilmente ravvisabile e, purtroppo, largamente conosciuto in Italia. Il Giudice, in questo caso, è chiamato a un’attenta analisi della situazione familiare prima di disporre la quantificazione precisa dell’assegno. Così facendo, ancora una volta, si alimenta in maniera esponenziale la durata del processo che, in Italia, tutt’altro può dirsi tranne che immediato.

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