John Isner – Sarebbe stato difficile esplorare la testa di John Isner, tennista statunitense, dopo la semifinale di Wimbledon 2018 persa la settimana scorsa contro il sudafricano Kevin Anderson in 5 set. Non tanto per il risultato finale, poiché nel tennis non esiste la strada del pareggio e quando si perde è quasi sempre per merito dell’avversario. Quanto, invece, per la modalità tramite la quale si è arrivati a raggiungere quel risultato: una partita durata ben 6 ore e 36 minuti, una tempistica che avrebbe devastato qualsiasi persona sportivamente non preparata a livello fisico. Per John Isner, in realtà, il tennis ha rappresentato sempre una questione di tempo prolungato, di sfide protratte all’infinito, di imprese titaniche pur senza grandi trofei. Molti sportivi passano (e passeranno) alla storia per il numero di vittorie accumulate. Per Isner, probabilmente, sarà diverso, poiché il ragazzo di Greensboro si è reso protagonista nel corso della carriera di vie alternative per farsi ricordare dai posteri. Per gli esseri umani il tempo scorre via tradizionale, per John Isner ha invece rappresentato quasi sempre un alleato o un nemico.
John Isner, il tennis e il tempo
Ormai Isner, arrivato a 33 primavere, non ha più moltissimo da chiedere al mondo del tennis. Certo, fino a qualche anno veniva considerato uno dei giovani più interessanti e promettenti del panorama mondiale, soprattutto in virtù di un’altezza invidiabile (208 cm, un vero e proprio titano) e della sua incredibile capacità al servizio, che gli è valsa svariati ace nel corso della lunga carriera da professionista, iniziata nel 2007. In carriera lo statunitense ha vinto 13 titoli, senza mai aggiudicarsi uno Slam (anzi, la semifinale di settimana è il suo miglior risultato in uno dei 4 tornei principali del mondo). Dopo un calo negli ultimi periodi, quest’anno il tennista sembra aver raggiunto una particolare maturità sportiva mancatagli fino ad ora, tanto da vincere il suo primo Masters 1000 in carriera. Isner vanta, comunque, anche un passato in Top 10 ATP, con il sesto posto come miglior ranking di sempre. Come detto, però, Isner non sarà ricordato per queste statistiche, quanto invece per ciò che accadde a Wimbledon a partire dal 22 giugno 2010, in un incontro che ha letteralmente riscritto gran parte della storia del tennis. Isner ha 25 anni, si trova nel pieno del processo sportivo ed è professionista ormai da tre anni. Al primo turno dello Slam deve affrontare il francese Nicolas Mahut, reduce dalle qualificazioni per via del suo posizionamento troppo basso a livello di ranking. Il match sembra essere tra i più normali: i primi set scorrono via senza particolari conseguenze, ma la partita è molto combattuta e, a fine giornata, si arriva al 2-2 dopo gli ultimi due atti molto lunghi. La partita, come molte altre, viene dunque sospesa per oscurità, in attesa di disputare il set decisivo. A Wimbledon, in tal senso, la situazione è un po’ diversa rispetto agli altri tornei: al quinto set non c’è tie break ed è necessario che il set si chiuda con due punti di vantaggio per ottenere la vittoria. I due si ritrovano alle 14:07 del 23 giugno ma, incredibilmente, dopo quasi 8 ore nessuno dei due ha ancora vinto la partita. I ragazzi sono fermi sul 59-59, hanno mandato in tilt il tabellone del punteggio e lottato punto su punto per avanzare al turno successivo, sfiancando loro stessi (e il giudice di linea, stoicamente rimasto sempre seduto) ed elettrizzando gli spettatori. Proprio durante la giornata il match batte il record di sfida più lunga nella storia del tennis, distruggendo anche altri primati in fatto di punteggio, successo al servizio e game giocati. La partita, inevitabilmente, viene nuovamente sospesa per oscurità e rinviata al giorno successivo. Isner e Mahut, due signor nessuno del tennis, diventano improvvisamente notissimi e fanno il giro del mondo per via di questo incredibile record frantumato. Partono addirittura appelli per farli giocare sul campo centrale, che però vengono ignorati. I due ripartono dallo stesso campo, il 18, per il terzo giorno di fila. Sono esausti e stremati, sia fisicamente che mentalmente. Nessuno dei due, però, vuole mollare. I numeri diventano sempre più incredibili: entrambi i tennisti superano i 100 ace abbondantemente (113 a 103 per Isner) e mettono insieme punti su punti (502 a 478 per Mahut). Dopo ben 11 ore di tennis, follia, stanchezza e storia, Isner riesce finalmente a prendersi l’highlight della carriera riuscendo a breakare il suo avversario e vincendo il set per 70-68. La sfida è durata ufficialmente 11 ore e 5 minuti, un record quasi impossibile da battere in futuro. Entrambi i tennisti vengono premiati con un riconoscimento speciale al termine dell’incontro e ancora oggi, a Wimbledon, esiste una targa commemorativa per ricordare la loro battaglia senza esclusione di colpi. Entrambi i ragazzi – che, ironicamente, si risfideranno proprio al primo turno del Wimbledon successivo, con vittoria (stavolta più celere) sempre di Isner – saranno eliminati al turno successivo dai loro rispettivi avversari, con Isner che si ritirerà a causa di problemi fisici anche dal doppio. Rispetto al francese (che avrà una carriera mediocre, vincendo 4 titoli e arrivando al massimo alla posizione 37 del ranking ATP) Isner ha modo – come visto – di costruirsi una carriera su più alti livelli. Negli anni successivi, però, i veri acuti mancano. Questo almeno fino a venerdì 13 luglio 2018, giornata nella quale Isner si vede costretto ad affrontare un’altra maratona.
Non sempre si può vincere
Il palcoscenico è sempre Wimbledon, anche se con 8 anni in più sul groppone. Isner si qualifica per la prima volta a una semifinale in un torneo Slam e trova come avversario il sudafricano Kevin Anderson, che nel turno precedente aveva addirittura estromesso Sua Maestà Roger Federer dal torneo. Tutti si aspettano un incontro ovviamente equilibrato e dettato anche da ritmi piuttosto bassi. Le aspettative, però, superano ogni attesa: anche in questo caso Isner si trova coinvolto in una battaglia sportivamente incredibile, con i due giocatori che arrivano sfiniti al termine dell’incontro. Stavolta si decide tutto in un giorno e a vincere non è l’americano: Anderson si impone per 3 set a 2 vincendo il quinto con il punteggio di 26-24. Anche questo caso, Isner si dimostra un recordbreaker pronto a giocare con il tempo. Il suo match contro il sudafricano, infatti, passa alla storia come la semifinale più lunga nella storia di Wimbledon grazie alla durata di 6 ore e 36 minuti. Inoltre, in fatto di game, Anderson-Isner è diventata la terza partita più lunga della storia del tennis, stracciando dunque un altro primato. Nello sport è sempre facile ricordare chi vince di più o chi ha maggiori possibilità per farlo. John Isner, però, sarà ricordato specialmente per aver regalato, ad appassionati e spettatori casuali, uno spettacolo impossibile da dimenticare. Perché d’altronde, si sa, anche il tennis – come tutte le cose della vita – è puramente una questione di tempo.