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Una serata con i Jeunes avec Macron

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Pietro Lepidi

Sono le sette e mezza di sera nel secondo arrondissement di Parigi e il caldo afoso di fine luglio ci opprime quando io e Leo arriviamo alla quartier generale di En Marche nella capitale francese. Leo è il coordinatore per il tredicesimo arrondissement del movimento Jeunes Avec Macron (JAM), la giovanile del nuovo partito del presidente francese Emmanuel Macron, e questa sera mi ha invitato a partecipare alla riunione di luglio dei coordinatori JAM a Parigi. Accetto volentieri, per quanto possa essere fuori luogo essere presente a un tavolo di tra soli coordinatori cittadini, non resisto alla curiosità di scoprire di più sulla politica francese e specialmente su Macron: il vincente paladino dell’europeismo e del moderatismo di destra in un clima del mondo occidentale in cui il sovranismo populista conquista un paese nuovo ogni nuova elezione.

Macron, eletto presidente della repubblica francese con la République En Marche nel 2017

Non è facile scoprire l’esatta posizione della sede di EM senza conoscere l’indirizzo preciso, nessun cartello o effigie di alcun tipo distinguono questo portone da quelli degli edifici circostanti, non è nemmeno presente il nome del partito accanto al citofono. «È per essere meno vulnerabili alle proteste dell’opposizione» mi spiega Leo, e in effetti rischio di essere oggetto di rappresaglie si è già materializzato ad aprile di quest’anno quando esponenti vicini alla sinistra radicale hanno rovesciato, durante uno sciopero, la spazzatura di diversi cassonetti davanti a questa sede. Lo sciopero fu organizzato in risposta alla privatizzazione delle ferrovie, decisa da Macron per il prossimo anno. Per En Manche è la manifestazione di Jean-Luc Mélenchon. «Mélenchon è il più grande pericolo per Macron in questo momento» mi conferma Leo. Il leader della sinistra radicale e il suo nuovo movimento La France Insoumise (letteralmente “La Francia indomita”) sono infatti i principali oppositori del governo dopo la clamorosa sconfitta elettorale dei “tradizionali” partiti di destra e sinistra, nonché dell’estrema destra populista di Marine Le Pen al ballottaggio, politico in grande sintonia con il nostro Ministro Matteo Salvini.

Jean-Luc Mélenchon

Uno ad uno arrivano dunque i coordinatori e dopo aver fatto la bise ci sediamo nella sala riunioni. La riunione è condotta dalla coordinatrice dei JEM di Parigi e si incentra su come coinvolgere i giovani militanti al ritorno dalle vacanze. Vengono dunque discussi programmi di informazione, l’accoglienza dei nuovi membri e la frequenza del “questionario politico” diffuso ai cittadini. Riguardo a questo ultimo punto ho chiesto poi dei chiarimenti a Leo. «Il movimento di En Marche ha scritto il suo programma per le strade, chiedendo le opinioni alla gente comune. Lo ha fatto per le ultime presidenziali, lo farà per le elezioni europee di maggio 2019 e per le elezioni municipali dello stesso periodo. Questo ci differenzia dagli altri partiti: noi non scriviamo il nostro programma nelle segrete stanze. Subire qualche insulto è in ogni caso preferibile a dimenticare cosa quotidianamente per strada si pensa di noi».

Un altro elemento di discussione durante la riunione capta il mio interesse. Uno dei punti all’ordine del giorno riguarda la necessità di trovare una risposta istituzionale all’abbandono del movimento da parte di un coordinatore. Un partito come En Marche, fondato da poco più di due anni, non ha mai avuto fino ad ora problemi di popolarità, soprattutto nella sua giovanile. Tuttavia, la figura del presidente francese è sempre più fragile e di conseguenza cominciano a verificarsi i primi adii per motivi ideologici all’interno del partito. Macron è salito al potere predicando la fine del binomio destra-sinistra e la sintesi hegeliana delle migliori qualità delle due storiche linee di pensiero politico. Al contrario, le sue proposte di legge hanno progressivamente svelato i suoi principi appartenenti alla destra liberale, specialmente riguardo ai temi del welfare e dei diritti sul lavoro. La sua legge sul lavoro, che ha diminuito protezioni e potere contrattuale dei lavoratori, e il parziale taglio della patrimoniale hanno donato al presidente francese l’appellativo, coniato da Mélanchon, di «presidente dei ricchi».

Se la riunione si conclude con altri accordi organizzativi per il mese di settembre, poco appetibili da un outsider, è davanti a una birra e un tipico piatto di formaggi di un bar vicino che Leo e gli altri coordinatori cominciano a parlare di attualità. Impossibile glissare sull’affaire Benalla, lo scandalo che ha coinvolto uno tra i più influenti consiglieri all’Eliseo di Emmanuel Macron. Su Alexandre Benalla è stato infatti recentemente pubblicato un video in cui il fidato membro del gabinetto presidenziale colpisce ripetutamente e molesta una donna e un uomo durante la protesta del 1° maggio 2018 per i diritti dei lavoratori. La vera scintilla dello scandalo non è tanto questo quanto la flebile reazione di Macron, già informato dell’accaduto a partire al 2 maggio. Solo il 24 luglio, di fronte all’imbarazzo generale e allo scaricabarile dei ministri e ufficiali francesi, il presidente prende piena responsabilità dell’accaduto, dichiarandosi il solo colpevole. «Questo è il primo grande scandalo per En Marche» mi racconta un coordinatore del centro di Parigi «penso che l’abbia risolto, Benalla è fuori dal governo e dovrà affrontare le accuse a suo carico». Chi invece non pagherà nulla per non aver informato il pubblico di un crimine commesso da uno dei suoi funzionari è Macron. Il presidente sa bene che per l’articolo 67 della Costituzione Francese non è perseguibile «di fronte a nessuna giurisdizione o autorità amministrativa francese». Alla luce di questo articolo, l’assunzione di responsabilità sul caso Benalla più che una scusa sembra un atto di cinica tattica politica. «Comunque», conclude il coordinatore, «è uno scandalo in cui non sono coinvolte somme di denaro, corruzione, interessi terzi o criminalità organizzata».

Alexandre Benalla e Macron

La presenza alla tavolata del bar di un italiano inevitabilmente sposta la discussione in un confronto tra i due paesi. «C’est compliqué» è la mia risposta più comune alle molte domande sulla politica italiana, sia perché non è facile spiegare alcuni meccanismi sociali basati su una mentalità che ha radici profonde nella storia e cultura del nostro paese, sia perché per quanto il mio francese a Parigi sia leggermente migliorato non è certo in grado di affrontare i massimi sistemi. «È vero che ci sono regioni in Italia in cui è impossibile praticare l’aborto? È per la forte influenza della chiesa?”. Domanda questa che mi fa ripensare alle ultime dichiarazioni del ministro Fontana sulla necessità da parte dello stato di impedire l’aborto. «Cosa vuol dire sciogliere un comune per mafia?». Bastano solo queste due domande postemi da dei giovani aspiranti politici francesi per vedere la profonda differenza sociale e culturale che intercorre fra noi e i cugini d’oltralpe.

Alcuni hanno paragonato il Movimento 5 Stelle a En Marche, Grillo o Di Maio a Macron, in effetti ci sono numerosi punti in comune. Entrambi i partiti rispondono a due paesi in crisi, con crescenti problemi di coesione sociale, e la risposta sembra essere la stessa: accettare la morte della vecchia politica caratterizzata dal bipolarismo destra-sinistra e sintetizzare in qualcosa di nuovo le migliori proposte presenti a destra e a sinistra (la famosa “terza repubblica” di Di Maio). Inoltre, entrambi hanno accettato la sfida di moralizzatori della politica, esponendo la loro fedina penale pulita come qualità sufficiente per poter governare di fronte agli scandali dei vecchi partiti. Infine, entrambi hanno costruito il loro programma attingendo direttamente alle richieste del popolo chiesto per strada o sulla rete.

Sebbene questi punti avrebbero potuto accomunare i due movimenti prima delle rispettive elezioni che li hanno visti vincenti, la differenza si è vista nell’applicazione pratica. Al governo Macron e i 5 Stelle hanno dimostrato l’ipocrisia della nuova ideologia qualunquista. Arriva infatti per tutti il tempo di fare delle scelte al governo e non tutti gli interessi possono essere tutelati allo stesso tempo. Le scelte di governo hanno svelato quanto le direttrici ideali dei due siano agli antipodi. Da un lato i grillini (o almeno la maggioranza di essi) hanno appoggiato la linea sovranista ed euroscettica della Lega, aumentando allo stesso tempo il potere contrattuale dei lavoratori e irrigidendo il mercato del lavoro. Dall’altro En Marche si propone come centro del rilancio del federalismo europeo mentre cerca di dare flessibilità al lavoro e privatizzare le aziende di stato, considerando accettabile la precarietà dei lavoratori. Anche nella strategia comunicativa i movimenti sono molto diversi: se Di Maio si propone di procedere per piccoli e simbolici provvedimenti, ovvero per «briciole» che «tutte insieme fanno una bella pagnotta», l’ego e la boria (ma forse anche la preparazione) di Macron fanno sì che ogni sua proposta sia «epocale» e «totale» nel cambiare la legge.

Di fronte a ciò è evidente che il partito francese non può essere annoverato tra i partiti populisti. La preparazione, l’onestà e il premio del merito all’interno del parito di Macron hanno eclissato il forte partito populista di Marine Le Pen, il Front National, condannandolo a una seria riflessione interna e probabilmente a un cambio di leadership. È verosimile infatti che alle prossime elezioni presidenziali sarà Marion Le Pen, nipote dell’attuale leader dalle posizioni più moderate, a prendere le redini del partito.

Molti giovani si sono uniti alla causa di Macron perché vedono in lui una seria e credibile politica del merito, fondata sullo studio, la preparazione e il savoir-faire, al di là delle singole politiche. «Io sono stato scelto come coordinatore per le mie attività nel partito sull’Unione Europea, solamente per questo, per il mio merito» mi racconta Leo. Questa è la speranza di chi si unisce a Macron: che egli sia la forte figura repubblicana, pura, seria e decisa, di cui il paese ha bisogno per rinforzare la sua comunità e per dialogare con i paesi esteri in un’ottica di collaborazione. Oggi tuttavia di fronte al suo operato il paese si chiede se Macron sia questo o un cinico demagogo disposto a tutto per soddisfare la sua cupidigia, asservito al potere degli interessi finanziari.

La serata finisce verso mezzanotte, io e Leo torniamo a casa in metro. È sempre più comune per i parigini muoversi esclusivamente con la metro avendo a disposizione 303 stazioni sotterranee sparse nel territorio metropolitano.

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