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Cronaca di una partita del Mondiale di Russia

Published by
Diego Salvadori

Nel 2015, di ritorno da tre settimane di Transiberiana, quando chiesi informazioni su quale direzione prendere per arrivare all’imbarco del mio volo, il dipendente dell’aeroporto mi squadrò, indicò con un cenno del capo a destra e sibilò qualcosa tra i denti che poteva essere «Da quella parte, amico mio!» ma suonava più come «Di là, stupido incapace». Bene, dopo tre anni, il vero miracolo riuscito alla Russia non è aver eliminato una pur tribolata Spagna nonostante il siderale dislivello tecnico, né aver realizzato quel senso di tranquillità e sicurezza che ai nostri giorni, a torto o a ragione, specialmente all’estero e soprattutto durante i grandi eventi, sembra perduto. La grande impresa è aver fatto sì che ogni russo cerchi di aiutare il tifoso che si guarda intorno smarrito, cercando di decifrare i caratteri cirillici delle varie fermate della immensa (e meravigliosa) metropolitana di Mosca. Dai militari, richiamati in massa nella capitale (e, presumo, nelle varie host cities del mondiale), ai ragazzi poco più che maggiorenni volontari, vestiti di viola e arancione, con le loro mani giganti più americane che sovietiche, a dare il cinque a ogni passante tra un’informazione e l’altra, ad appunto i moscoviti, che ricordavo immusoniti e silenziosi, diventati quasi invadenti nel volerti aiutare se potevi sembrare a loro indeciso, quando invece stavi solo ammirando le statue di Ploščad’ Revoljucii.

D’altro canto mi sono sentito veramente mortificato quando un giovane in giacca e cravatta insisteva per regalarmi il suo biglietto per il treno da Vnukovo alla stazione Kievskaya e io, da uomo di mondo e fine conoscitore delle truffe più improbabili, continuavo a ripetere che me lo volevo comprare da solo, il mio biglietto (e sarebbe bello aprire un dibattito su come il nostro paese ci porti a rapportarci con il prossimo). Guardando invece all’organizzazione e alla gestione della rassegna, la mia esperienza diretta ha rasentato il mistico: penso di non aver mai visto ottantamila persone sobrie tutte insieme, oltretutto dentro uno stadio di calcio!

Perché, sembra incredibile, ma né dentro la struttura, né nei dintorni dello stadio, era consentita la vendita di alcolici. Dentro lo stadio non era concesso nemmeno fumare né svapare! Eppure, continuamente vedevo passare intorno a me persone con la confezione da quattro di medie analcoliche Bud (unico rivenditore autorizzato), con lo slogan che recitava più o meno «bevi furbo oggi, festeggia domani». Sicuramente tali misure sono state prese per evitare che qualcuno si facesse prendere troppo dall’emozione, anche perché i tifosi erano completamente mescolati, senza settori di riferimento; ma fa comunque un po’ strano non potersi concedere non dico una vodka, ma almeno una birra vera. C’è da dire però che una volta finita la partita tutte le ottantamila persone si sono tranquillamente incanalate negli unici due percorsi consentiti (metro o treno), senza spintoni o eccessivi assembramenti, e che la maggiore intemperanza sono stati alcuni ragazzi spagnoli che intonavano Kalinka a una ragazza che, da una scaletta stile giudice del Roland Garros, istruiva i presenti sulla direzione da prendere; il tutto sotto lo sguardo divertito ma sempre vigile degli onnipresenti militari.

La sera non sono andato in centro a festeggiare perché, nonostante i cori e nonostante abbia tifato per i ragazzi di Čerčesov, quella non era comunque una mia vittoria, e quindi non posso raccontarvi storie di bagordi e caroselli, orsi su decappottabili e bicchierini di vodka e caviale mangiato direttamente da storioni che nuotavano negli acquari dei grandi magazzini GUM. Posso però assicuravi che è bellissimo osservare con un certo distacco persone che si presentano a una partita quasi sicure di soccombere, soffrire due ore sapendo che alla fine probabilmente non ce l’avrebbero fatta e infine vedere realizzata sotto i loro occhi la più grande impresa sportiva degli ultimi trent’anni.

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Diego Salvadori

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