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Rovazzi ha fondato un nuovo tipo di pop italiano

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Michele Maestroni

Il 16 luglio 2018 è uscito Faccio quello che voglio, il nuovo singolo di Fabio Rovazzi. Una riapparizione in leggero ritardo, per uno che da sempre ci aveva abituati a spadroneggiare in radio e nelle classifiche su Spotify per tutta l’estate con i suoi tormentoni da record. Il ritorno del non-cantante e videomaker milanese è stavolta un’inaspettata sorpresa, dato che tutti avevano cominciato a ritenerlo ormai un assente ingiustificato dall’estate 2018; ancora più sorprendente è il pezzo che Rovazzi ha stavolta lanciato nel mondo musicale italiano: Faccio quello che voglio costituisce l’apice dell’intrattenimento rovazziano, creazione che consacra definitivamente l’autore e sancisce una svolta definitiva non solo per la carriera artistica del giovane Fabio, ma soprattutto per l’intero panorama pop del nostra musica.

Rovazzi, il fondatore di un nuovo pop italiano

Prendiamo in considerazione il video su YouTube, lungo nove minuti. Una durata enorme per una canzone che non è Jesus of Suburbia dei Green Day. Prima che parta la musica bisogna seguire tre minuti e mezzo di introduzione per inquadrare bene la storia che deve essere raccontata – Rovazzi che ruba da un fittizio Caveau dei Successi i talenti delle celebrità, come le loro voci racchiuse in boccette e l’aspetto fisico sotto forma di pillole, e cerca di fuggire dai poliziotti che lo inseguono. Infine, un minuto e venti di epilogo, in cui Fabio viene tirato fuori di prigione grazie al pagamento della cauzione da parte di Briatore. Tirando le somme, su quasi dieci minuti di clip, solo tre scarsi (la durata media di una canzone pop) sono dedicati al pezzo. È chiaro, quindi, come in Faccio quello che voglio l’elemento a cui bisogna guardare, il prodotto vero e proprio, sia il video, non la canzone. Fin da quando esiste il videoschermo, prima in TV e poi sulle piattaforme broadcast, il filmato è sempre stato utilizzato come veicolo della canzone, un mezzo per confezionare in modo più appetibile il brano che doveva essere consumato dall’ascoltatore-spettatore. Con la sua nuova creazione, Rovazzi rovescia definitivamente questa gerarchia, subordinando il sonoro al visivo: Faccio quello che voglio non è né una semplice canzone né un video musicale, ma un video musicato. Il brano è solamente un pretesto per girare e pubblicare quello che è un vero e proprio corto: nell’intervista a Radio 105, lo stesso Rovazzi rivela di aver prima immaginato e strutturato le scene del video e solo in un secondo momento di aver scritto la canzone. In questo modo, il tormentone pop è ridotto a mezzo di supporto del suo video, e la rivoluzione è servita.

Questa scelta, in verità, non è maturata all’improvviso: già nel precedente singolo, Volare, Fabio dimostra di stare per imboccare questa strada. In quel caso, però, la narrazione del rapimento di Gianni Morandi e l’elevato numero di guest star non hanno minacciato la fruibilità della canzone, la quale, anzi, ha tratto dal video coinvolgente e dal fatto che si trattasse di un featuring l’equazione perfetta del suo successo, come dimostrano i numeri sia su YouTube che su Spotify, nonché la sua permanenza in radio ad alta rotazione da maggio fino ad agosto 2017. In Faccio quello che voglio, però, la rottura con il passato è definitiva: il video è lungo, altamente narrativo e spettacoloso perché Rovazzi vuole che lo sia, mentre la canzone è sì orecchiabile ma non regge decisamente il confronto con le precedenti in quanto, stavolta, è un elemento secondario; non è un caso, infatti, che su YouTube il pezzo di Rovazzi abbia bruciato ogni record, totalizzando dieci milioni di visualizzazioni in una settimana, mentre su Spotify si trova solamente a due milioni scarsi di ascolti (veniamo da un inverno in cui Cara Italia di Ghali ci ha dimostrato che se un pezzo funziona davvero può macinare anche cinque milioni di stream in soli tre giorni). Questo nuovo brano non è stato creato per diventare facilmente un tormentone in radio, ma su YouTube; il Rovazzi di Andiamo a comandare è ora più che mai lontano e diverso da quello odierno: il musicante che sfornava successoni estivi e che fino al sodalizio con Fedez e J-Ax guadagnava facendo lo youtuber è stato anno dopo anno, pezzo dopo pezzo, soppresso dalla vera vocazione di Rovazzi, che è quella del videomaker – tanto che, sempre nell’intervista già citata, Fabio dice che questo suo video è un tentativo preliminare di avvicinarsi veramente alla creazione di un film, la sua più grande ambizione.

La copertina del singolo.

Faccio quello che voglio, quindi, nasce per fare il botto su Youtube, infischiandosene della fruibilità della canzone, perché vuole raccontare una storia, narrare una finzione, non fare musica. La già detta lunghezza del video e l’esagerato numero di comparse, cameo e citazioni alla cultura pop italiana e non solo evidenziano più che mai questo obiettivo: tenere incollato lo spettatore-ascoltatore allo schermo, catturato
dallo spettacolo dell’inimitabile intrattenimento alla Rovazzi. Partendo da questi presupposti, non ha senso aspettarsi che questo nuovo brano riscontri successo come i precedenti, come non ha senso ascoltarlo senza tenere conto del video, proprio perché è lo stesso Rovazzi che ha voluto pubblicare Faccio quello che voglio focalizzandosi e impegnandosi soprattutto sull’aspetto visivo del prodotto. Il brano è solamente la colonna sonora del corto, ha la stessa funzione degli stacchi musicali nei film Disney. La clip è la tela, la canzone è la cornice che la racchiude. Dentro la tela, è un susseguirsi di personaggi e situazioni che hanno lo scopo di divertire lo spettatore che riconosce i volti e le strizzate d’occhio e che, quando la Leotta balla sullo yatch o Al Bano spunta all’improvviso, probabilmente non bada nemmeno più alla musica. Faccio quello che voglio e tutte le creazioni che seguiranno dovranno essere, quindi, più guardate che ascoltate: da non-cantante, attraverso la sua fulminea carriera artistica, Rovazzi è cambiato rimanendo comunque se stesso, tramutandosi in un vero e proprio regista a modo suo.

Fabio Rovazzi, tra personaggio nazionalpopolare e artista innovativo.

Analizzato il prodotto, quindi, non resta altro che classificarlo, etichettarlo. Ora dovrebbe essere chiaro: Faccio quello che voglio non è semplicemente una canzone pop con un video musicale sotto. L’ultima creazione di Fabio Rovazzi, che sotto questo aspetto appare davvero simile a This is America di Childish Gambino, è qualcosa che stravolge gli annosi meccanismi del pop italiano: rovescia il rapporto tra audio e video, perché all’improvviso la canzone, che già in questo genere musicale da sempre si piega quasi totalmente alla logica del mercato, adesso conta ancor meno – mentre è fondamentale il coinvolgimento visivo e narrativo di chi guarda e ascolta; confonde la distinzione tra i vari prodotti dell’industria culturale, sposando il multimediale per antonomasia, decidendo di volta in volta, di pezzo in pezzo, il mezzo migliore per trasmetterlo (fino all’anno scorso la radio e lo streaming musicale, oggi YouTube e la viralità sul web) e interagendo con la cultura di massa viva; si presenta, fin da subito, come una realizzazione senza precedenti nella storia del nostro pop, quasi un’opera d’avanguardia. Possa piacere o non piacere, con Faccio quello che voglio Rovazzi segna un’importante svolta, rompendo con il passato e fondando un nuovo tipo di pop italiano: più sofisticato, meno piatto e sottomesso alla canzonetta, e per questo decisamente più interessante.

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Michele Maestroni

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