«I rent a room and I fill the spaces with/ wood in places to make it feel like home/ but all I feel’s alone/ it might be a quarterlife crisis», cantava l’americano John Mayer in Why Georgia nel 2001 quando, dopo essersi trasferito ad Atlanta per inseguire i propri sogni, anche lui si ritrovava ad affrontare la cosiddetta quarterlife crisis (QLC). La crisi del quarto di secolo colpisce moltissimi giovani adulti, oggi chiamati millennials. Secondo il Pew Research Center, che ne ha ridefinito la classificazione, i millennials, nati tra il 1981 e il 1996, si ritrovano in una fase instabile della propria vita, di transizione e cambiamento. Approfondiscono l’argomento nel 2001, per la prima volta nero su bianco, la giornalista statunitense Alexandra Robbins e la scrittrice Abby Wilner nel loro libro Quarterlife Crisis, the unique challenges of life in your twenties. Il loro lavoro è il primo ad analizzare questo fenomeno in modo dettagliato, cercando di trovare risposte alle domande dei giovani impegnati nel passaggio alla vita adulta.
Cosa accade di preciso a questa età? Il problema è che coloro che affrontano la crisi non lo sanno e non riescono a trovare delle risposte. Tutto quello che si sa è che, all’improvviso, ci si accorge di non sapere più niente. Non si è più sicuri di nulla. Tutte le certezze svanite.
Chi sei? Cosa vuoi fare? L’università si è conclusa e i colloqui, ancora, non portano a risultati soddisfacenti. Ci si continua a chiedere se si è abbastanza, se si sta sbagliando qualcosa. Tutto quello che si pensava di volere solo qualche anno fa adesso forse non lo si vuole più. E forse non si è neanche così bravi come si credeva. E sono proprio tutti questi forse a mandarci in paranoia. Insomma, è proprio una situazione senza vie d’uscita e ci si sente un fallimento. La mattina ci si sveglia e non si sa bene che fare. Dovremmo cambiare città per dare una smossa alla nostra vita? E dove andare? Ma soprattutto, il lavoro? Tornare a casa, per chi è stato un universitario fuori sede, è difficile. Ci si sente bloccati mentre sembra che tutti gli altri riescano a raggiungere i loro obiettivi. E ci si chiede se si è i soli a sentirsi così o è una fase della vita che tocca tutti. Il cervello non sembra aver intenzione di spegnersi neanche per un attimo e le domande offuscano la mente. Si pensa ai colloqui andati male, alla precarietà, al futuro incerto. Si pensa che, in fondo in fondo, di quel 110 non ce ne si fa nulla.
«Because I wonder sometimes/ about the outcome/ of a still verdictless life/ Am I living it right?/ Am I living it right?», continuava a cantare Mayer.
La nota positiva, se qualcosa di positivo c’è, è che questa crisi colpisce un gran numero di venticinquenni to be: secondo uno studio condotto dal ricercatore Oliver Robinson dell’università di Greenwich e con il supporto di Gumtree.com, dove si è effettivamente svolto il sondaggio, l’86% dei 1100 giovani intervistati ammettevano di sentire la pressione di avere successo nelle relazioni, finanziariamente e nel lavoro prima di raggiungere i trent’anni.
C’è da dire che non tutti attraversano questa fase, o alcuni la attraversano con minore intensità di altri. I fattori possono essere molti: si può essere in una situazione sentimentale stabile che garantisce punti di riferimento, si può essere tanto fortunati da aver trovato già il lavoro dei propri sogni, ma soprattutto si possono vivere situazioni economiche favorevoli che permettono di tormentarsi un po’ meno. Insomma, ad esempio, puoi avere venticinque anni e chiamarti Chiara Ferragni. Probabilmente lei non ha affrontato una crisi del genere.
Ma, se si rientra nella categoria dei comuni mortali, cosa bisogna fare quando si sta attraversando una fase di cambiamento, quando ci si sente tremare la terra sotto ai piedi e tutto quello che si prova ci immobilizza? Dopo un periodo di paralisi, l’unica cosa che si può davvero fare è saltare. Lasciarsi andare e affrontare il cambiamento. Sempre secondo Robinson infatti la QLC, che dura in media due anni, può essere un’esperienza positiva. La crisi, che attraversa quattro fasi, passa dalla sensazione di sentirsi in trappola fino a trovare il modo di canalizzare questi sentimenti verso una fase di trasformazione, che potrebbe portare alla costruzione e al consolidamento di una nuova vita. Come tutti i cambiamenti, è una rottura netta rispetto alla vita vissuta negli ultimi anni ed è forse paragonabile alla rottura di un osso: fa un male cane sul momento, ma poi l’osso si calcifica e si continua a vivere. È solo il modo della vita di dirci che stiamo diventando grandi e può fare paura, ma sta solo iniziando una nuova fase. E magari ci potrebbe andare pure bene. Come con John Mayer.