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Favola: Filippo Timi e la libertà di essere ciò che si è

Published by
Elia Brocchini

In un periodo nel quale, salvo rare eccezioni, il cinema italiano sembra dividersi in maniera netta tra commedie dal sapore nazionalpopolare e drammi esistenziali, Filippo Timi con la sua opera riesce a trovare un punto di incontro tra questi due generi. Favola è una commedia che contiene al suo interno temi e argomenti dai risvolti drammatici ed è la dimostrazione di come sia possibile produrre un film innovativo, interessante e qualitativamente valido anche a fronte di un budget modesto.

Filippo Timi porta con successo Favola dal teatro al cinema

Tratto da una pièce teatrale dello stesso Timi, Favola riesce ad adattarsi, tramite un uso accurato della regia e del montaggio, al mezzo cinematografico. La sensazione che si prova non è quella dell’opera teatrale ripresa e portata al cinema, seppur il film si sviluppi quasi totalmente in un unico ambiente. Un ambiente che, nonostante la sua semplicità, viene gestito fino al minimo dettaglio. Uno dei punti di forza del film è infatti la parte artistica: scenografie, costumi e trucco sono curati seguendo un’estetica prettamente camp e riescono a caratterizzare in modo chiaro e diretto sia l’ambiente che i personaggi.

Costumi e scenografie sono elementi fondamentali per la riuscita del film.

Ma qual è la favola alla quale fa riferimento il titolo del film? Nient’altro che la vita di Mrs. Fairytale (Filippo Timi), una tipica casalinga dell’America degli anni Cinquanta che vive la sua esistenza nella monotonia delle faccende di casa, alternate alle feste, sempre rigorosamente in casa, che organizza per amici e vicini. Il tutto però cambia quando improvvisamente diventa un uomo e finirà per innamorarsi della sua migliore amica, Mrs. Emerald (Lucia Mascino). Il film gioca quindi sulla trasgressione rispetto all’ordinaria vita borghese, su impulsi e sentimenti che non sono conformi alle consuetudini sociali. Così come bizzarro e fuori dal comune è l’animale domestico di Mrs. Fairytale, ovvero Lady, una cagnetta impagliata che rappresenta l’alter ego della protagonista. Mentre lei è sempre confinata tra le mura domestiche, Lady scappa sempre di casa dando sfogo a quella sete di libertà insita nell’animo della donna.

Una menzione a parte la merita la recitazione in questo film, il quale punta tanto a un impatto estetico e visivo quanto a una sceneggiatura e a dialoghi a effetto che conquistino lo spettatore. In particolare a colpire è l’interpretazione di Filippo Timi che ricorda il mitico Tim Curry nell’interpretazione di Frank-N-Furter in The Rocky Horror Picture Show. Nonostante infatti stia interpretando una donna, l’attore non cade negli stereotipi di genere, facendo una voce stridula o assumendo atteggiamenti effeminati, anzi mantiene una sua virilità che per assurdo lo rendono ancora più credibile ai nostri occhi. Non assistiamo insomma a un uomo che fa la macchietta di una donna, ma subito dopo la sua presentazione la vediamo come una donna vera e propria, a discapito della voce o della corporatura maschile.

Una delle scene più significative: Fairytale si specchia e scopre la sua vera natura.

In Favola si parla di tanti argomenti legati alla società, con un occhio di riguardo nei confronti della comunità LGBT e dell’emancipazione femminile. È chiaro il riferimento critico alla condizione totalmente maschilista degli anni Cinquanta, durante i quali la donna era vista sì come regina della casa ma questa era anche una prigione, in quanto non le era possibile fare altro nel mondo esterno. Una mentalità che viene confermata dalla madre di Mrs. Fairytale, chiamata semplicemente Mother (Piera degli Esposti) la quale senza mezzi termini fa capire alla figlia che la donna deve servire il marito e vivere accettando anche gli abusi domestici, al fine di non essere giudicata in maniera negativa dal resto della società. Tutti questi elementi hanno tuttavia anche una seconda chiave di lettura, che arriva a pochi minuti dal finale quando scopriamo che la favola che stiamo vivendo non è nient’altro che la fantasia di Stanislao, un uomo rinchiuso in un istituto psichiatrico a causa della sua transessualità e che appunto immagina la sua vita come quella di Mrs. Fairytale. Dopo questa scoperta tanti elementi riguardanti i nomi o le situazioni viste nel film assumono un altro significato, in quanto prodotti della mente e dell’inconscio di Stanislao. Ad esempio, il fatto che Mother abbia una predilezione per Stan (Sergio Albelli), il marito di Mrs. Fairytale, a dispetto della figlia è riconducibile a come la madre non accetti la transessualità del figlio, continuando a chiamarlo e a ‘preferire’ Stanislao rispetto a Fairytale. O ancora l’amica della quale Mrs. Fairytale si innamora non è altro che una dottoressa della clinica, che si innamora di Stanislao (o per essere più precisi, di Fairytale) e lo aiuta a fuggire.

La libertà di essere sé stessi come conquista finale

La vera forza di Favola è quella di riuscire a trattare questi temi mantenendo un’ironia di fondo che non riesce a non farci ridere anche di situazioni che non sono poi così comiche. In particolare, non viene proposta un’ironia che fa ridere dei personaggi o dei loro problemi ma che ci fa ridere con loro, una risata dal retrogusto amaro che ci porta a riflettere sui temi affrontati. Il finale del film, ad onor del vero forse un po’ troppo frettoloso e sbrigativo, si chiude comunque con un lieto fine e con il riconoscimento di Fairytale non solo come figlia, madre e fidanzata ma, ancora più importante, come persona agli occhi della società. Un riconoscimento che culminerà con la creazione di una famiglia insieme ad Emerald e alla bambina che le due crescono insieme alla luce del sole in totale armonia.
La favola, in fondo, è diventata realtà.

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Elia Brocchini

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