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Innovazioni e problematiche del decreto dignità

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Michele Corato

Una legge, successivamente alla sua entrata in vigore e nel corso degli anni, viene generalmente ricordata con il nome del suo promotore ma, in Italia, è ormai una scelta diffusa quella di accompagnare la nuova norma con un epiteto evocativo. Quest’ultimo può rimandare al contenuto generale della stessa o allo scopo che questa si prefigge, facilitando così il successivo lavoro dell’interprete, come ad esempio il c.d. decreto “svuota carceri”. In altri casi, invece, la scelta è ricaduta su un nome altisonante in una strategia che ricorda, a tratti, il modus operandi del Ventennio (si pensi alla famosa Battaglia del grano) e così hanno trovato posto nella legislazione più recente il decreto “Salva Italia” del governo Monti e, ora, il decreto dignità.

Seppur l’analisi della scelta del nome sarebbe interessante, occorre, ora, prescindere dallo Stoicismo, dalle basi della religione cattolica e dalle disquisizioni di Montesquieu; non si indagherà, quindi, su quale dignità intenda il Ministro del Lavoro dando, quindi, per assodata la classica interpretazione di dignità quale valore intrinseco dell’esistenza umana che nell’antica Grecia veniva associata, semplicemente, al mantenere in vita l’orgoglio dei propri avi. Dietro il sostantivo “dignità” prende forma una legge che spazia dalle importanti riforme in ambito lavorativo, passa per lo sport dilettantistico e arriva a una dettagliata regolamentazione del gioco d’azzardo. Con l’approvazione del Senato e qualche impercettibile modifica, dunque, prende vita il primo provvedimento per cui il Ministro Di Maio si è fatto principale promotore e si è esposto personalmente negli ultimi mesi.

Il contenuto del decreto in ambito lavorativo

Come poc’anzi detto i punti di intervento sono diversi ma, a rigor di logica, appare doveroso iniziare con il settore di competenza del Ministro promotore ossia quello, appunto, del lavoro. Un punto estremamente rilevante, modificato, in realtà, diverse volte negli ultimi anni e da ultimo con il Jobs Act, è quello relativo ai contratti a tempo determinato. Un primo punto riguarda la loro quantificazione: all’interno di un’azienda il numero totale di contratti a tempo determinato non potrà superare il 30% dei contratti totali. Un’ulteriore stretta, in merito a questa tipologia di contratto, è di tipo intrinseco e relativo alla durata totale dei rinnovi dove la precedente legislazione prevedeva una durata massima complessiva di 36 mesi l’attuale decreto la riduce a 12 mesi prorogabili fino a 24 all’avverarsi di determinate condizioni. Queste ultime devono, innanzitutto, essere indipendenti dall’ordinaria attività dell’impresa, temporanee e oggettive oppure connesse a incrementi temporanei e e significativi, non programmabili, del’attività lavorativa o, infine, relativi ad attività stagionali. A ogni rinnovo contrattuale il datore di lavoro dovrà sottostare ad un aumento contributivo pari allo 0,5% mentre, in caso di violazione delle suddette circostanze e quindi in caso di proroga, il contratto diverrà a tempo indeterminato. Così come per altre leggi viene previsto un periodo transitorio fino al 1 novembre 2018 affinché le imprese possano adeguare i contratti in essere alla nuova normativa che diverrà efficace dopo il classico periodo di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Un successivo, ma non meno importante, intento è quello di favorire l’occupazione giovanile e, a questo fine, vengono previsti specifichi sgravi fiscali per il datore di lavoro che assumerà giovani al di sotto dei trentacinque anni con contratti di lavoro a tempo indeterminato. Tale regime sarà applicabile anche ai datori di lavoro privati o, meglio, alle famiglie che assumono collaboratori domestici, baby sitter e via dicendo. In un ottica più tecnica tali benefici fiscali si traducono in una riduzione del contributo fiscale pari al 50% nel doppio limite di 36 mensilità e in un tetto massimo di € 3.000 annui.

Sul lato sanzionatorio, infine, vengono modificati gli estremi applicabili alle indennità erogate dal datore di lavoro al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo, trasformando l’attuale minimo di 4 mensilità e un massimo di 24 in un maggiore scaglione compreso tra le 6 e le 36 mensilità nel solo caso di conciliazione senza ricorso, dunque, al Tribunale; aggiunta, quest’ultima, fortemente voluta dalle opposizioni per ridurre i contenziosi civili.

Il decreto, oltre agli ambiziosi obiettivi fin’ora citati, mira a fermare, o quanto meno rallentare, la delocalizzazione delle imprese in paese terzi con regimi fiscali o sindacali più favorevoli. Per far ciò vengono previste specifiche e dure sanzioni, dal doppio fino al quadruplo di quanto ricevuto, per quelle imprese che hanno beneficiato di aiuti di Stato e, nell’arco dei cinque anni dall’erogazione decidano di trasferire tutta o parte della produzione in paesi terzi rispetto all’Unione Europea. Oltre alla sanzione verrà meno il beneficio e, quindi, le aziende saranno costrette a restituire quanto ricevuto maggiorato degli interessi.

Per concludere l’analisi nell’ambito lavorativo del decreto, possiamo assistere al ritorno dei voucher, fortemente incitato dall’ala leghista del governo. Tale risurrezione, però, non è completa: come i famosi zombie che conservano solo le funzioni vitali di ciò che era umano, i voucher conservano il loro stato esistenziale unicamente in determinati settori come quello alberghiero e agricolo o come forma di pagamento per soggetti di età inferiore ai 25 anni, disoccupati o pensionati. In particolare, nel settore turistico e alberghiero, il loro impiego sarà possibile unicamente in quelle strutture con meno di 8 dipendenti tenendo come termine massimo, come già era previsto alla loro prima introduzione, quello di 10 giorni.

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Gli altri settori toccati dal decreto

Per quanto attiene, invece, agli altri ambiti toccati dal decreto il più rilevante è sicuramete quello inerente alle slot machines o, più in generale, al gioco d’azzardo. Con riferimento alle slot machines queste dovranno essere, dal 2020, dotate di lettore di tessera sanitaria al fine di impedire il gioco ai minorenni e, nel caso di mancato adeguamento, è prevista una multa pari ad € 10.000 per ogni apparecchio non a norma. Lo stesso scopo, quello di lotta alla ludopatia, viene perseguito dal divieto di pubblicità, in qualsiasi forma, relativa a giochi d’azzardo con possibile vincita di denaro; anche in questo caso, per la violazione, viene prevista una sanzione minima di € 50.000 e parametrata nel massimale al valore della sponsorizzazione. Viene previsto un aumento della tassazione dei giochi il cui provente, si auspica, verrà destinato a coprire le riforme del lavoro della presente riforma. Infine, sempre sul tema, si prospetta una maggior partecipazione dello stato nel monitorare la diffusione del gioco nonché la destinazione, di tutte le sanzioni sin qui accennate, al fondo per le dipendenze ed il contrasto del gioco d’azzardo.

Un altro punto in cui si muove la riforma è quello del fisco. In primo luogo vine prorogata la fatturazione elettronica, al 2019, per i distributori di carburante mentre viene estesa a tutto il 2018 la possibilità, per chi vanta crediti nei confronti della Pubblica Amministrazione, la possibilità di compensarli con debiti iscritti in cartelle esattoriali. Per quanto riguarda l’I.V.A. viene abolito il meccanismo dello split payment, pertanto, per i professionisti che erogano beni e servizi alle Pubbliche Amministrazioni non saranno più queste ultime a trattenere l’I.V.A. e versarla all’erario ma, questo compito, graverà direttamente in capo al privato. Vengono poi, sulla carta, aboliti lo spesometro per gli imprenditori agricoli, rinviando di quattro mesi la fatturazione per gli altri interessati, e il redditometro. Su questo punto, tuttavia, occorre precisare che il redditometro, di fatto, continuerà a essere utilizzato come strumento generico di accertamento rimesso al mero arbitrio del fisco mentre, al giustificare quanto poco fa detto, lo spesometro fu già abolito dal precedente governo in favore della fatturazione elettronica.

Viene prevista una proroga per quegli insegnanti, non di ruolo, in possesso del solo diploma magistrale, conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002 fino al giugno 2019 inducendo, al contempo, una procedura straordinaria per gli stessi per la copertura dei posti di lavoro vacanti nelle scuole dell’infanzia e di primo grado.

L’ultimo settore di intervento è quello in merito alle associazioni sportive che altro non fa che sopprimere quanto previsto in tema dalla Legge di bilancio 2018. Ora, infatti, le società sportive dilettantistiche non potranno essere esercitate da società con scopo di lucro e, inoltre, vengono soppresse le agevolazioni fiscali ad esse dedicate dalla citata legge. Le risorse recuperate da questa soppressione saranno dirottate in un apposito fondo per le associazioni sportive dilettantistiche.

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Le critiche al “decreto dignità” sono diverse e mosse, oltre che dall’opposizione, da due parti diametralmente opposte ossia datori di lavoro e sindacati. Questi ultimi, oltre a essere particolarmente critici sulla reintroduzione dei voucher che vista come un favoreggiamento alla diffusione del lavoro in nero, attaccano direttamente la cristallizzazione delle motivazioni del rinnovo dei contratti a tempo determinato auspicando, dal canto loro, una devoluzione dell’individuazione degli stessi ai singoli contratti collettivi. La problematica della previsione di cause determinate ex lege, in effetti, non è da porre in secondo piano: un aumento del contenzioso in Tribunale, così facendo, è praticamente scritto.

Tutte le altre critiche, in maniera peraltro condivisibile, sono rivolte al clima di caccia alle streghe che si è venuto a creare sulle forme contrattuali a tempo determinato. In particolare viene presa di mira la scelta del legislatore che, invece d favorire una transazione verso il contratto a tempo indeterminato da quello a tempo determinato, ha eretto una barriera invalicabile verso quest’ultimo. Tale scelta porterà senz’altro il datore di lavoro a non rinnovare diversi contratti creando, così, inevitabilmente nuovi disoccupati o, quantomeno, orienterà la scelta delle aziende verso forme contrattualistiche diverse, magari desuete, che offrono ancora meno garanzie al lavoratore ma risultano più gestibili per il datore di lavoro.

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Michele Corato

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